Campania. Musella (Aima): “Bene il fondo disabili, ora l'assistenza domiciliare ai malati di Alzheimer”
Il presidente campano dell'Associazione italiana malati di Alzheimer commenta la ricostituzione del fondo annunciata dal governatore De Luca e chiede che le risorse vengano “utilizzate per erogare servizi a sostegno della domiciliarità e delle cure a ciclo diurno all’interno di una Rete integrata pubblico-privata”.
16 LUG - Caterina Musella, presidente di L’Aima Campania (Associazione italiana malati di Alzheimer) chiede a gran voce che le risorse nel piatto per la disabilità, annunciate ieri dal governatore De Luca, siano utilizzate per erogare servizi a sostegno della domiciliarità e delle cure a ciclo diurno all’interno di una Rete integrata pubblico-privata e che prenda in carico “oltre ai malati di sclerosi multipla, storicamente destinatari di tale tipo di assistenza anche i pazienti affetti da gravi demenze come previsto dalle recenti leggi per il sostegno sociosanitario ai non autosufficienti”.
Il fondo nazionale non autosufficienze, aggiunge Musella, “prevede che gli enti locali assegnino voucher ed assegni di cura di circa 700 euro da attribuire direttamente alle famiglie per riconoscere il lavoro di cura del caregiver che assiste a domicilio un proprio caro non autosufficiente”.
I 33 mln che già spettano alla Campania per le non autosufficienze 2015 (lo Stato ha appena stanziato per le Regioni 390 mln di cui 33 destinati alla Campania a cui vanno aggiunti ulteriori 278.192.953 mln a valere sul riparto del Fondo nazionale per le politiche sociali per l'anno 2015 di cui 28 mln alla Regione Campania) sono attribuiti, osserva, “ai Comuni e ai Consorzi capofila dei 52 ambiti territoriali della Regione Campania. Noi chiediamo semplicemente l’applicazione delle leggi”.
Il sostegno alle persone non autosufficienti è previsto dal 2000 con la L. 328 ed è finalizzato all'attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni su tutto il territorio regionale a valere sul Fondo per le non autosufficienze (Fna) istituito dallo Stato.
“Vivere in casa piuttosto che in istituto – sottolinea - consente al paziente una migliore qualità della vita, rallenta la progressione dei deficit funzionali e contiene i costi di istituzionalizzazione ma tutto ciò comporta la capacità della famiglia, e in particolare del caregiver, di svolgere in modo efficace il proprio compito di cura”.
Ma a fronte dei benefici che se ne potrebbero ottenere, le famiglie, attualmente, “sono lasciate sole nella gestione di una cura continuativa 24 h/24 ed oltre ad aumentare i costi per la cura della persona aumentano anche i costi, a carico del Ssn, per la cura del caregiver principale…. la seconda vittima della malattia, che molto spesso è anch’egli un anziano/a o una donna divisa tra la gestione di due famiglie e bisognosi/e anche loro di cure, e su cui ricade unicamente l’intero carico assistenziale”.
E alla richiesta di aiuto nei casi di emergenza “non vi è nessuna risposta specifica, molto spesso alla richiesta di assistenza domiciliare le nostre Famiglie si sentono rispondere che non ne hanno diritto perché la Persona non è allettata, non è in una fase terminale, oppure la procedura per il servizio domiciliare è talmente complessa e farraginosa che – conclude - preferiscono rivolgersi a servizi privati o rinunciare alle cure”.
16 luglio 2015
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