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Lo slalom dei decreti Calabria

11 GEN - Gentile Direttore,
la reiterazione per il SSR della Calabria di norme e disposizioni con carattere di straordinarietà e d’urgenza (d. legge n. 35, convertito in legge n. 60 del 2019; d. legge n. 150 convertito in legge n. 181 del 2020) legittima un dubbio: se i processi di riqualificazione dell’offerta dei servizi e di risanamento dei conti richiedano nuove leggi che devono colmare vuoti giuridici, o se invece non siano piuttosto le logiche, le prassi e gli strumenti gestionali il punto debole di un sistema che si dibatte tra guasti storici accumulati e aggrovigliati in una situazione complicata dal particolare contesto socio-economico.

Nel Piano sanitario regionale 2007-2009 (deliberazione Giunta 9 novembre 2007, n. 694) l’obiettivo strategico era così definito: “Il nuovo PSR individua le scelte strategiche fondamentali per realizzare una profonda riforma …, con l’obiettivo di dare ai cittadini livelli essenziali di assistenza qualitativamente e quantitativamente paragonabili a quelli offerti nelle Regioni più avanzate del Paese”.

Nello stesso giorno dell’approvazione del PSR, la Giunta (deliberazione n.695) chiedeva aiuto al Governo per realizzarlo, accettando di sottoscrivere il piano di rientro, poi declinato in programmi operativi che – dopo tredici anni, anche prima della pandemia – non hanno portato a sensibili risultati di miglioramento.

Dev’esserci un’altra ragione, diversa dall’apparato normativo, se gli obiettivi sono stati mancati. Verosimilmente, la riforma non è stata “profonda” come la situazione reclamava e reclama. Un servizio sanitario ordinato, per rispondere bene alla sua missione, deve essere costruito come un mosaico. Il disegno finale, se tutti i suoi tasselli non sono al loro giusto posto, ne è più o meno trasfigurato.

La Corte dei Conti e altre autorità di controllo, professionisti e accademici calabresi, società scientifiche e altre agenzie specializzate insistono da anni sull’inadeguatezza di un’ottica, quella dei programmi operativi, focalizzata sulla riparazione di problemi settoriali tra loro scollegati, mentre sarebbero necessari un respiro e una visione orientati alla ricostruzione del SSR con azioni rigorosamente coordinate, che invece mancano o di cui si intravedono soltanto i contorni.  

Basti pensare all’assistenza primaria ferma al modello del medico di famiglia single handed e alla scarsa diffusione della medicina in associazione; alle reti, pubbliche e private ospedaliere e di altri servizi non ospedalieri, all’evidenza dei risultati – nonostante sporadiche eccezioni – insoddisfacenti, incapaci di arginare l’emigrazione dei pazienti verso altre regioni ma costosissime per famiglie e imprese della Calabria, gravate da imposizioni fiscali straordinarie, e per la finanza pubblica in generale, chiamata a versare contributi di solidarietà (articolo 1, comma 4-quater; articolo 6, comma 1, decreto legge n. 150).

Il quadro generale è complicato dagli approssimativi strumenti gestionali che dovrebbero assistere i processi decisionali: i sistemi informativi, contabili ed extra-contabili, che presentano un incerto grado di affidabilità; le regole di finanziamento delle aziende, che di fatto perpetuano il vecchio criterio del piè di lista, anziché essere ancorate al valore delle prestazioni e dei servizi effettivamente prodotti ed erogati, per cui finiscono per essere mascherate le aree gestionali di vera criticità sulle quali intervenire; i piani di investimento in strutture e tecnologie e di reclutamento di personale che precedono la definizione dell’assetto stabile della struttura di offerta del SSR costruita sui fabbisogni desunti da un’accurata analisi della domanda.

Ciò che la legislazione straordinaria e d’urgenza sembra più d’ogni altra cosa sottovalutare è il fattore tempo, l’unico – in verità – non fungibile né riproducibile. Il decreto legge 150, all’articolo 2, comma quarto, chiede che le Usl e ospedali autonomi adottino entro novanta giorni gli atti con i princìpi e le regole fondamentali di governance aziendale. Tra queste, le procedure di controllo interno. Ma al comma quarto dell’articolo 6, riconosce che oggi il controllo non esiste o è approssimativo, per cui stanzia somme cospicue affinché la regione e le aziende possano dotarsi di un sistema contabile, che consenta la certificabilità dei bilanci, e il controllo di gestione, che raccolga ed elabori informazioni “per l’interpretazione gestionale continuativa” che, quindi, allo stato dell’arte non è possibile.

Tempi che appaiono irrealistici. Un sistema di programmazione e controllo direzionale, che deve prima aggiustare la contabilità generale e quella analitica, adeguare l’architettura informatica di supporto, formare gli utenti, a parte i tempi della gara per selezionare i consulenti e i fornitori, non si impianta e non si porta a regime in tre mesi. Anche l’approvazione, sempre in tre mesi, dei bilanci di esercizio delle aziende che per anni non li hanno redatti alle ordinarie scadenze di legge, più che un obiettivo è un atto di fede. Il rischio che l’atto formale formale prevalga sul risultato concreto è altissimo, come già è avvenuto con il decreto del 2019. Ma il cambiamento non avviene per decreto.

Così, anche le severe sanzioni a carico dei commissari straordinari inadempienti o saranno disattese, come quelle delle grida manzoniane, e sarà un bene, o produrranno un danno maggiore dell’inadempimento, continuando a generare instabilità delle direzioni aziendali. Se, come in questo caso, il percorso vero di rientro nella normalità è lungo, perché le situazioni sono pesantemente critiche, per andare veloci occorre riflettere con calma su tutto. A questo serve la stabilità dei vertici gestionali, un altro fattore di successo che il decreto non prende adeguatamente in considerazione.

C’è un’ultima questione che lascia perplessi. Il legislatore del 2007 (decreto legge n. 159, legge n. 222) stabilì che le regioni in piano di rientro mettessero a disposizione del Commissario ad acta personale, uffici e mezzi necessari all’espletamento del mandato. Voleva evitare che il commissariamento si configurasse come una struttura separata dall’organizzazione regionale.

Il legislatore del 2020 fa l’opposto. Dota il commissario di un contingente numerico di personale (non si sa come calcolato) in distacco obbligatorio o in comando dalle amministrazioni di appartenenza. Crea, insomma, un organismo nuovo. Ma creare sempre organismi nuovi, come la gestione nazionale della pandemia Covid dimostra, delegittima quelli esistenti e genera conflitti di competenza: in questo caso delegittima il dipartimento regionale preposto alle politiche sanitarie.

Ne viene travolto il capitolo 2 del programma operativo 2019-2021, che delinea il ruolo cardine del dipartimento per il coordinamento delle azioni di risanamento del SSR. Lo stesso programma operativo che il Commissario ad acta secondo la legge deve “attuare” (articolo 1, comma 1 del decreto) e che costituisce parametro di valutazione per i Commissari delle aziende sanitarie (articolo 2, comma 6).

L’impressione è che il SSR sia chiamato ad uno slalom su un tracciato non ben delineato. Occorrerà molto buon senso per evitare i deragliamenti, sia per il policy making del commissario ad acta, sia per il day to day management, dei commissari straordinari aziendali; un lavoro di lunga lena, difficile, paziente e coraggioso.

Nicola Rosato
già sub commissario del Governo per il Piano di rientro della regione Molise


11 gennaio 2021
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