La Calabria è la Beirut dell’assistenza socio sanitaria
Speranza cercasi in Calabria. Una ce l'ha regalata la DDA di Catanzaro. L'altra è insita nel cognome dell'attuale ministro della salute e, soprattutto, fondata sulla sua storia politica e la sua sensibilità sul tema. Io ci credo, nonostante le debolezze dimostrate nel lasciare in vigenza un provvedimento dagli effetti macabri
07 GEN - La Calabria ha chiuso il proprio bilancio, quello del 2019. È più maledetto dei precedenti. Come ogni documento «contabile» che si rispetti anche quello politico-istituzionale calabrese rintraccia nei suoi saldi finali il valore del risultato. Il prodotto finale è certamente da bancarotta, verosimilmente fraudolenta.
A fronte delle «rimanenze finali», invero mai state così precarie e pericolose per la popolazione, c'è necessità di effettuare velocemente, nell'anno appena iniziato, un importante «reso ai fornitori»: il decreto legge Grillo, convertito nella legge 60/2019. Uno strumento legislativo che, a memoria d'uomo, non ha modo di rintracciare uguale perniciosità sociale, da restituire pertanto al mittente. Esso ha generato un autentico disastro per i calabresi, solo perché capricciosamente voluto dalla allora ministra alla salute che, si spera, abbia a suo tempo agito inconsapevolmente.
Le colpe e i rimedi elusi
L'anno appena trascorso è iniziato male e finito peggio, così come meritava. I calabresi (gente onesta e sofferente, compromessa dai ben noti!) sono finiti nel solito mirino della solita peggiore ignominia, solo perché considerati come soggetti appartenenti alla patria della 'ndrangheta e alla regione infiltrata nelle istituzioni e nei ceti dominanti. Un bel regalo per i nostri giovani costretti a lavorare altrove.
Una responsabilità grave, la nostra, quella di non aver saputo generare, negli anni che furono e che sono, gli anticorpi giusti per porvi rimedio. Per imporre quel freno sociale e istituzionale che il fenomeno avrebbero meritato, man mano che andava ad assumere l'attuale dimensione. Certamente un adempimento collettivo molto difficile da concretizzare a causa dell'efficienza «aziendale» del nemico e delle megarisorse a disposizione della 'ndrangheta. Basta, infatti, constatare il proliferarsi ovunque di una siffatta organizzazione delinquenziale, tale da rendere permeabile con la sua vis mafiosa qualsivoglia organismo pubblico/privato e tutti i segmenti che costituiscono il Mercato. Da qui, la certezza che la 'ndrangheta rappresenta un problema nazionale (e non solo) con la conseguenza che le politiche governative devono essere improntate alla depurazione del sistema, cominciando dalla Calabria, con la previsione di importanti investimenti strutturali, sia in termini di bonifica che di prevenzione.
Il catalogo dei princìpi
Meno male che quest'anno c'è stato il giudice Nicola Gratteri e il gruppo dei bravi magistrati che gli collaborano alla DDA di Catanzaro a lasciare la speranza sotto l'albero di Natale dei calabresi. Essi non si sono resi solo autori di una importante retata ma hanno somministrato a tutti noi una lezione dalla quale assumere il «catalogo» dei nuovi principi e dei rinnovati canoni cui deve ispirarsi la società civile. Non solo. Anche quelli cui deve attenersi il sistema istituzionale ed essere improntato l'andamento della Pubblica amministrazione nostrana. In proposito, spero proprio - da calabrese desideroso di investire sul futuro della propria regione - che i candidati alle elezioni del prossimo 26 gennaio ne sappiano approfittare, assumendo le nuove regole ad ispirazione, prima da parte di tutti i competitor, della campagna elettorale e, poi per gli eletti, dell'esercizio del mandato legislativo regionale!
Toccano alla politica i presupposti per la rinascita
Ritornando alle «giacenze di magazzino», a risorgere dovrebbe essere soprattutto la sanità che, dalle nostre parti, oltre ad essere terreno fertile per le consorterie di ogni genere e grado, è fonte di disperazione, di morti colpevoli, di spreco di danaro pubblico, del peggiore clientelismo ma soprattutto di insicurezza sociale. Ivi, fanno gola i 320 milioni di euro di mobilità passiva, che la Calabria regala al centro-nord (Lombardia in primis), in favore della quale, pare, lavorino personaggi che eccellono molto di più nell'esercizio della mediazione commerciale retribuita dai destinatari che in quello delle arti mediche.
Ivi, oggi più che mai attraggono gli incarichi extraregionali e le conduzioni straordinarie delle aziende della salute (Asp, Ao e Aou), caratterizzate da decenni da una malagestio da manuale e dall'assenza assoluta dei controlli aziendali, regionali e commissariali. A tal proposito, risulta da dieci anni inutile e costosissima la presenza degli advisor, nei confronti dei quali si fa davvero fatica a giustificare l'inerzia di chi dovrebbe mandarli a casa.
Insomma in Calabria, tra sprechi vergognosi e incapacità, si registra una inefficienza da scandalizzare chiunque. Basterebbe pensare che da queste parti vengono ancora tollerate aziende sanitarie territoriali senza bilancio da anni, altre sciolte per 'ndrangheta, aziende ospedaliere che, pare, non esercitino il pronto soccorso e chiudano nei week-end. Tutto questo nonostante dieci anni di commissariamento ad acta, che si sta svendendo la pelle dei calabresi anche attraverso pratiche occupazionali orride e gestite nel peggiore cinismo verso il fabbisogno epidemiologico e sociale, che (audite!) mai nessuno ha rilevato.
Peccato non aver usato la scopa della Befana per spazzare via il decreto Grillo
A tutto questo ha ampiamente contribuito il decreto salva-Calabria, vero campione di sadismo certificato, che a distanza di otto/nove mesi impone la conta dei saldi, con le partite in dare che non provano alcun apporto migliorativo e quelle in avere che registrano danni irreversibili alle persone e al sistema, destinati sensibilmente a crescere!
Insomma, un provvedimento così cinico e un risultato così aberrante sarebbero stati ovunque improponibili e assolutamente non tollerati dalla società civile, certamente produttivi di dimostrazioni pubbliche ad elevatissima partecipazione sociale. Avrebbero meritato altro che sardine!
In Calabria nulla, nonostante l'incredibile prodotto generato a sfavore dell'utenza, finanche demolitivo di quel poco che c'era. Neppure nei programmi dei candidati alle elezioni regionali del 26 gennaio prossimo c'è la proposta della benché minima soluzione. Tutto scorre come se qui ci fosse l'assistenza sanitaria della Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana ecc.
Per non parlare dell'assistenza sociale ulteriormente affossata da un improvvido e improvvisato regolamento approvato dalla Giunta regionale uscente che metterà al tappeto imprese del settore, che a fatica sbarcano il lunario aziendale, e famiglie con persone disabili e caratterizzate da fragilità psico-fisiche.
La Calabria è la Beirut dell'assistenza socio sanitaria
L'inventario di fine anno. Tre aziende ospedaliere della quali, per il momento, soltanto una con una manager ufficiale concretamente preposta alla direzione di una Ao (Cosenza) e due mandate avanti alla bene meglio da esponenti della burocrazia interna, che hanno campicchiato tra una dimissione e l'altra.
Un'azienda ospedaliera universitaria senza testa né coda ovverosia senza manager e impegnata in un molto creativo percorso di integrazione, "interpretativo" di una procedura di fusione che non c'è con l'azienda ospedaliera operante nel territorio cittadino di Catanzaro. Cinque aziende territoriali provinciali delle quali nessuna gestita sino ad oggi da manager nominati, atteso che ci vorrà ancora qualche giorno perché si insedino quelli individuati a circa un anno dalla loro previsione normativa.
Due aziende territoriali (l'Asp di Reggio Calabria e quella di Catanzaro) sciolte per infiltrazione/condizionamento mafioso, ex artt. 143 e 146 Tuel ed entrambe "fantasiosamente" dichiarate in dissesto, ex art. 244 Tuel e seguenti, con qualcun'altra destinata più che verosimilmente a seguire la medesima (assurda) sorte.
Una novità in assoluto in diritto, quest'ultima, intendendo per tale il superamento (incostituzionale) di quell'autonomia riconosciuta alla Regione dalla Carta, atteso che le aziende sanitarie in default obbligano le Regioni di appartenenza al risanamento dei loro bilanci, a partire dalla copertura delle loro perdite annue sino ad arrivare al ripianamento dei deficit patrimoniali prodotti. Un dovere ineludibile e una prassi peraltro evidenziabile dal pagamento del rateo annuo di circa 31 milioni di euro del mutuo a suo tempo contratto a fronte del debito pregresso contabilizzato al 2009 dal Commissariamento di protezione civile all'epoca attivo.
E ancora. I danni sono tendenzialmente in crescita per incapacità gestionale di preposti a generare la programmazione del cambiamento. L'attuale improvvisata governance commissariale sta facendo, infatti, di peggio di quanto si faceva prima del suo insediamento, che rappresentava il massimo del deterioramento progressivo del servizio.
L'ultima vicenda è il segno evidente dell'assenza totale di una saggia pianificazione degli investimenti che sottolinea la mancanza di una idea complessiva di organizzazione della salute che si ha il dovere costituzionale di rendere ivi efficiente ed efficace come altrove.
A fronte di programmazione di spesa delle risorse ex art. 20 legge 67/1988, finalizzate all'acquisizione di tecnologie rafforzative delle eccellenze operanti in Calabria (tra tutte, in contrapposizione ad una programmazione aziendale tendente a consolidare quelle già rese dall'AO di Cosenza, gli stop: all'acquisizione di una risonanza magnetica di tipo 3Tesla da rendere disponibile alla neuroradiologia interventistica di assoluto riconosciuto pregio nazionale; all'acquisto del robot chirurgico Leonardo da Vinci da «consegnare» alla urologia e alla chirurgia toracica di altrettanto indiscusso valore professionale, attività peraltro segnatamente impattanti positivamente avverso l'enorme mobilità passiva di settore che impoverisce annualmente il Ssr), si è pensato di disperdere le relative risorse distribuendole a pioggia nei diversi presidi spock e di conseguenze renderle di fatto improduttive di erogazione qualificata di assistenza.
Tante le aspettative, sino ad oggi deluse
Speranza cercasi in Calabria. Una ce l'ha regalata la DDA di Catanzaro. L'altra è insita nel cognome dell'attuale ministro della salute e, soprattutto, fondata sulla sua storia politica e la sua sensibilità sul tema. Io ci credo, nonostante le debolezze dimostrate nel lasciare in vigenza un provvedimento dagli effetti macabri.
L'augurio è anche quello che la Calabria riesca a trovare un/una Presidente della Regione capace di esercitare la riscossa e materializzare il rinascimento di una terra che ha ormai capitalizzato un credito di civiltà così alto da apparire difficile da essere riscosso nonché il risarcimento dei drammi sopportati da una società generalmente impoverita.
Ettore Jorio
Università della Calabria
07 gennaio 2020
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