A Catanzaro Seminario su “La Distribuzione del Farmaco al Soggetto Anziano o con Disabilità in Struttura”
Organizzato da Fondazione Betania Onlus, ha visto la partecipazione dello stesso Presidente della Fondazione Biagio Amato, del Direttore Sanitario e Operativo Fulvio Bruno. Insieme a loro, tra gli altri, il Farmacologo e Rettore dell’Università “Magna Graecia” Giovambattista De Sarro, Domenica Costantino dell’Asp di Reggio Calabria e l’Infermiera Camilla Boeri
11 OTT - Ha suscitato grande interesse il seminario su “La Distribuzione del Farmaco al Soggetto Anziano o con Disabilità in Struttura”, organizzato da Fondazione Betania Onlus di Catanzaro presso ilproprio Auditorium venerdì 05 ottobre 2018. I lavori, dopo la introduzione del Presidente di Fondazione Betania,
Biagio Amato e del Direttore Sanitario e Direttore Operativo,
Fulvio Bruno, sono stati moderati da
Piercarlo Rizzi (Direttore dell’Uo Medicina Legale dell’Asp di Catanzaro).
Il primo relatore,
Giovambattista De Sarro, Farmacologo e Rettore dell’Università “Magna Graecia” di Catanzaro, ha dapprima inquadrato quantitativamente il tema in analisi: il 19% della popolazione è composta da persone anziane con età superiore a 65 anni, un terzo delle prescrizioni dei farmaci sono destinate all’anziano, un terzo dei ricoveri dei medesimi soggetti è a causa di reazioni avverse.
È noto che la politerapia, diffusa negli over 65, è di per sé un fattore di rischio che si accresce all’aumentare del numero di farmaci assunti. Quindi il relatore, raccomandando la cautela in fase prescrittiva, ne ha spiegato la esigenza mediante una accurata analisi del metabolismo del farmaco nel soggetto anziano, con particolare accento al ruolo giocato dai vari enzimi coinvolti nel processo. Questi ultimi, infatti, condizionano l’efficacia farmacologica e possono essere influenzati da vari fattori: decadimento funzionale e fisiologico di alcuni organi e apparati deputati al metabolismo ed escrezione del farmaco, presenza di altre sostanze in grado di condizionarne il funzionamento (altri farmaci, alimenti, ecc.).
Ecco quindi la necessità di soppesare attentamente la interazione farmaco-farmaco, farmaco-nutraceutico e farmaco-alimento. Ma il monito conclusivo di De Sarro è quello di contenere l’abuso di prescrizione farmacologica, mirando a conseguire il massimo di vantaggio terapeutico con il dosaggio più basso possibile. Bisogna avere il coraggio di stabilire una scala di priorità delle comorbilità trattando quelle più insidiose e assegnando un minor significato a quelle meno rilevanti, per evitare un eccesso di prescrizione. Ciò abbisogna, fra l’altro, del recupero di una visione olistica del paziente, che non è un semplice insieme di organi; e della rivalutazione del ruolo del medico, non inteso come semplice prescrittore. Sono questi aspetti fondamentali per circoscrivere l’abuso e limitare i rischi di eventi avversi.
A seguire,
Domenica Costantino, Direttore della Struttura Complessa Servizio Farmaceutico Territoriale dell’Asp di Reggio Calabria, area implementazione sistemi di qualità Sifo, che ha analizzato, con dovizia di particolari e di riferimenti normativi, le fasi dalla prescrizione alla dispensazione del farmaco in struttura, che richiedono la massima attenzione per evitare fenomeni avversi: dalla compilazione della ricetta (leggibilità della grafia, ricorso eccessivo a sigle, chiarezza nella indicazione dei dosaggi, ecc.) ai malcostumi da evitare assolutamente (la prescrizione telefonica, la prescrizione verbale che può essere giustificata solo in caso di emergenza salvo poi trascriverla in cartella per successiva rivalutazione); dai farmaci Lasa (quei farmaci cioè che per fonetica e/o per grafica possono generare confusione ed essere scambiati) alle metodiche di conservazione dei farmaci e agli stratagemmi per facilitarne il riconoscimento.
Costantino ha inoltre sottolineato il ruolo del farmacista all’interno delle strutture e di quello sul territorio (quest’ultimo che può svolgere ruolo di consulente per le strutture che ne sono sprovvisti). Infine, la relatrice ha posto l’accento sulla importanza della procedura di riconciliazione farmacologica, la esigenza cioè di rivalutare il profilo terapeutico del paziente nel tempo e in ogni occasione di transizione di cura (per esempio accoglienza in struttura, dimissione, trasferimenti da un reparto all’altro o in struttura differente o passaggio in assistenza domiciliare).
“Cosa fare dunque per limitare i rischi - conclude Costantino - mentre vagheggiamo il momento nel quale la sanità, pubblica e non, possa diffusamente dotarsi delle nuove tecnologie, anche di quelle più avveniristiche (robotizzazione)? Puntare di più sulla organizzazione, sulla analisi dei processi e sulla adozione anche di semplici ed economici accorgimenti che possono far sì che l’obiettivo venga raggiunto anche nelle attuali ristrettezze finanziarie. L’aggiornamento, la corretta comunicazione sono alla base di tutto e la costruttiva interazione fra le varie figure professionali oltreché mettere mano alla organizzazione”.
Dopo l’intervallo del pasto, ha aperto i lavori
Camilla Boeri, Infermiera presso l’ospedale privato accreditato ad alta specializzazione in medicina riabilitativa “San Giacomo” di Ponte dell’Olio (Pc), la quale ha approfondito il tema dei farmaci tritati e camuffati all’interno delle strutture. Il paziente neurologico, con o senza con deficit cognitivo, sovente presenta disturbi della deglutizione oppure atteggiamento oppositivo al momento della assunzione del farmaco. Da ciò scaturisce la esigenza, quotidiana, di trovare forme che possano aggirare questi ostacoli. Una accurata disamina delle diverse implicazioni che le due pratiche comportano sulla efficacia del farmaco, piuttosto che sul rischio di ingenerare effetti collaterali, ha galvanizzato l’attenzione dell’uditorio.
“C’è ancora molto da fare per far fronte a questi bisogni; forse uno stimolo giunge - ha concluso Boeri - dalla pediatria. Infatti, per il paziente pediatrico oggi esistono nuove interessanti proposte per rendere sia più accettabile (gusto) sia più assumibile (consistenza, dimensioni, ecc.) il farmaco. Si spera quindi, ha concluso, che, oltre la necessità di approfondire l’argomento con nuovi studi, le case farmaceutiche si impegnino per trasferire anche all’anziano soluzioni già adottate per altre fasce di età”.
Ha chiuso i lavori il moderatore Rizzi che, dopo aver ripercorso a volo radente numerosi degli argomenti già emersi nel corso dei precedenti interventi per sottolinearne le implicazioni medico legali, ha incentrato la sua esposizione sul ruolo che le singole figure professionali hanno di fronte alla legge, penale e civile per quanto riguarda il tema della terapia. Dal medico, nei vari ruoli, fino all’infermiere nessuno può considerarsi immune dalle ricadute per le scelte che opera, o non opera, convinto che la responsabilità ricada su altri. Si è lungamente parlato del medico di strutture territoriali extra-ospedaliere sanitarie e socio-sanitarie residenziali che in Calabria non prescrive ma riceve spesso una indicazione terapeutica dal consulente esterno e poi la trasferisce al medico curante della persona ricoverata affinché la converta in prescrizione. In questa catena tutti condividono la medesima responsabilità, soppesata in maniera differente dal magistrato, ma nessuno può chiamarsi fuori. In questo contesto ritorna il riferimento alla esigenza della riconciliazione farmacologica, argomento già affrontato in precedenza di Costantino.
Ne consegue che analogamente cruciale è il ruolo e la responsabilità dell’infermiere che non è un mero esecutore di ordini. Di fronte a una prescrizione, l’infermiere deve valutare attentamente, giacché il corso di studi per il titolo infermieristico prevede numerose ore dedicate alla farmacologia, cosa sia indicato e come quella prescrizione debba essere portata a termine. In caso di dubbi interpretativi o perplessità sui contenuti, senza esitazioni, l’infermiere deve rivolgersi al medico di struttura prescrittore per chiedere spiegazioni e chiarimenti. Non deve eseguire pedissequamente. Un nuovo concetto emerge a margine di questa considerazione, l’importanza del lavoro di squadra e della rimozione di quelle barriere mentali e culturali per le quali il medico si considera superiore e mal tollera l’intervento dell’infermiere.
Solo dal riconoscimento delle rispettive professionalità e ambiti di competenza si può addivenire a un miglior e più sicuro risultato. Rizzi non manca di richiamare l’attenzione anche sugli aspetti documentali: da un lato l’adozione della scheda unica di terapia che ha ridotto sensibilmente il rischio di errori da trascrizione, dall’altro sulla fondamentale importanza di scrivere tutto sulla cartella clinica, prassi questa spesso disattesa dalla classe medica che poi, però, in caso di incidente, viene considerata determinante dalle autorità. L’importanza di scrivere è anche dovuta al fatto che si mette in evidenza il processo logico che si è seguito, anche se il risultato non è stato quello desiderato; almeno si dimostra che si è seguito un processo di analisi e valutazione. Infine, l’importanza, con i rischi e i vantaggi connessi, della adozione della cartella clinica integrata e della cartella clinica informatizzata. In ultimo non poteva mancare un cenno agli operatori sociosanitari e a quanto il loro profilo consente in merito al problema della terapia. Gli Oss “possono solo aiutare nell'assunzione” dei farmaci, ma è l'infermiere a preparare la terapia.
Da parte dei partecipanti, sempre sollecitati a intervenire alla fine di ogni intervento, in chiusura un ringraziamento corale per l’interessante giornata che aveva lo scopo di fornire utili strumenti informativi che, nella speranza degli organizzatori, potessero essere già messi in pratica da domani.
11 ottobre 2018
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