Il quadro generale delle aziende ospedaliere e di quelle universitarie
Oggi sono trenta (30) le Aziende Ospedaliere Universitarie costituite e funzionanti nel Paese. Erano ventisei (26) dodici anni fa, sino al 2010, al lordo degli ex policlinici, per come rilevato dal Ministero della Salute al 31 dicembre 2020.
Tutto questo malgrado che nelle indicazioni in possesso del Ministero della Salute a fine 2022, ne risultano essere così codificate venticinque (25), perché ivi non vengono, stranamente, prese in considerazione le Aziende Ospedaliere Universitarie di Bologna (AOU S. Orsola), di Trieste (ridenominata ASU Giuliano Isontina) e di Udine (ridefinita ASU Friuli Centrale), ma correttamente compresi i due già policlinici universitari privati romani (Gemelli e Campus Bio Medico).
Trenta, quindi, AA.OO.UU. (al lordo delle due ASU friulane) integrate con il Ssn, con una azienda ospedaliera universitaria (l’Azienda Ospedaliera Universitaria S. Giovanni Battista di Torino) che ha mutato però nel 2013 i suoi connotati costitutivi. Non solo, dunque, la denominazione, in Azienda Ospedaliera Universitaria “Città della Salute e delle Scienze” di Torino, bensì anche la sua consistenza patrimoniale in una entità valoriale considerevole, conseguita attraverso una fusione per incorporazione di sette presidi ospedalieri.
Ad un siffatto totale di trenta (30), si è pervenuti - rispetto all’inventario di fine 2010 (26) - aggiungendo anche due nuove AAOOUU: una inserita a partire dall’elenco 2013, perfezionata dall’allora ministro Renato Balduzzi che l’ha resa operante a Salerno sotto la denominazione di Azienda Ospedaliera Universitaria “S. Giovanni di Dio d’Aragona - Scuola Medica Salernitana”, e un’altra insediata nel 2018 con l’istituzione ad Ancona della “AOU Ospedali Riuniti”.
Una trasparenza elusa
Al riguardo, prescindendo dal difficile compito istituzionale di conservazione degli atti relativi alla mappa delle aziende ospedaliere e ospedaliere universitarie funzionanti, a partire dai loro provvedimenti costitutivi originari e aggiornati con le variazioni eventualmente intervenute, entrambi gli elenchi (Open data e Ministero Salute) presentano il rilevante limite di rendere difficile la loro consultazione.
Le aziende sono, infatti, scandite indistintamente per regione di appartenenza con l’indicazione, messa a margine, della diversa tipologia, alimentando così una confusione tra le diverse species.
Sarebbe stato più conforme ai canoni della massima trasparenza distinguerle, invece, in due diversi e ben distinti elenchi esaurientemente tecnici, più facilmente consultabili, suddivisi per differenziata classificazione istituzionale, distinti per azienda ospedaliera ovvero ospedaliera-universitaria, anche per evidenziarne la diversa fonte giuridica di costituzione.
Una difficoltà di lettura, questa, aggravata nel report governativo (Open Data) ove sono inseriti nel mucchio anche gli IRCCS che, per la loro specificità, meriterebbero un elenco a parte, anche perché una siffatta importante attribuzione può essere riconosciuta anche in aggiunta a quella di A.O.U., così com’è avvenuto, per esempio, in quella bolognese (AOU Malpighi Irccs).
Una modalità compilativa, quella utilizzata in entrambe le fonti statali, che non offre alcuna possibilità di effettuare con facilità una qualsivoglia approfondita ricerca, resa difficile dalla evidenziata incomprensibile commistione e da una non affatto condivisibile esclusione dall’elenco dell’AOU di Bologna e delle Aziende Sanitarie Universitarie di Trieste e Udine, che peraltro presentano una interessante neo-classificazione sulla quale dovere fare i dovuti approfondimenti
Tutto questo risulta aggravato, attesa la rilevanza della provenienza delle fonti governative e ministeriali, dall’assenza a fianco di ogni struttura erogativa di Lea ospedalieri dei provvedimenti amministrativi costitutivi, a firma del Presidente del Consiglio dei Ministri per le AA.OO.UU., tale da rendere quasi impossibile venire alla conoscenza del loro “atto di nascita”, con l’individuazione del tempo dell’intervenuto evento e del titolo giuridico abilitante, e delle loro spesso ricorrenti variazioni di status giuridico-economico, di sovente a seguito di processi di fusione, prevalentemente per incorporazione ma anche per unione.
Una modalità di rilevamento un tantino superficiale
Un tale stato di cose ha ovviamente reso possibile l’impossibile, ovverosia la generazione perdurante dell’esistenza anche di sedicenti aziende ospedaliere universitarie, che tali non sono mai state formalmente riconosciute, al di là di quelle perfezionate nel corso del regime transitorio di quattro anni di cui all’art. 2, comma 2, del d.lgs. 517/1999 di ridenominazione dei già policlinici universitari.
Un evento incomprensibile concretizzatosi nella inconsapevolezza delle Istituzioni interessate (Ministero e Regioni), ivi compresi persino i Tavoli romani deputati ad esercitare il monitoraggio e i controlli sulle Regioni in piano di rientro.
Un fatto inspiegabile, sotto il profilo della inosservanza della ineludibile trasparenza della Pubblica Amministrazione, e grave perché generativo di errori di valutazione e definizione dello status di collaborazione accademica, funzionali ad acquisire un maggiore stato di fiducia del cittadino bisognoso di ricovero, nel senso di attrarlo nella sua scelta di ricorso alle cure attraverso un ingannevole attributo di competenza universitaria non posseduta dalla struttura di che trattasi.
Non solo. Un tale ricorrente errore di indebita attribuzione della qualifica universitaria determina, nell’eventualità, un ingente danno per la finanza pubblica consistente nella produzione di maggiori costi gestionali e di revisione, di errati riparti annuali di risorse regionali provenienti dal Fondo sanitario nazionale, di una indebita frequentazione e retribuzione dei cosiddetti studi clinici, di assunzione di illegittime obbligazioni verso terzi e di stipulazioni di contratti di collaborazione altrimenti negate.
Insomma, a ben vedere, risulta alquanto ricorrente il vizio costitutivo atto a compromettere il principio costituzionale della regolarità e controllabilità finanziaria nonché quello garante dell’adeguatezza prestazionale, oltre che violare apertamente le leggi che impongono l’esercizio delle AA.OO.UU. integrato con il sistema della salute.
Ciò che è accaduto oltre ogni limite
Il massimo di una tale negativa rappresentazione di manifestazione pubblica di performance erogativa di Lea ospedalieri la si è raggiunta con la presunta esistenza della “Azienda Ospedaliera Universitaria Mater Domini” di Catanzaro. Lasciata funzionare come tale da oltre un ventennio, senza peraltro neppure un pronto soccorso attivo, con responsabilità gravi assunte da parte di chi ne ha consentito il perdurare erogativo e retributivo, ordinario e aggiuntivo. Il tutto nonostante riportata in entrambi i report, quello governativo e quello ministeriale, come mera azienda ospedaliera, seppure in assenza di un provvedimento legittimo che l’avesse costituita legittimamente neppure in tal senso.
Infatti, la stessa - non solo è stata erroneamente considerata per decenni Azienda Ospedaliera Universitaria senza mai essere stata costituita come tale - ha goduto di una tale appellazione di Azienda Ospedaliera sulla base di un decreto del presidente della Giunta regionale (DPGR 8 febbraio 1995 n. 170) a tutti gli effetti nullo. Ciò in quanto lo stesso rintracciava il suo presupposto giuridico in una norma (art. 3, ultimo periodo, vigente sino al 28 luglio 1993 nel testo del d.lgs. 502/92) dichiarata incostituzionale diciotto mesi prima dalla Consulta - per l’appunto - con la sentenza n. 355/1993 (pronunciata l’11 giugno del 1993 e depositata il 28 luglio successivo).
Tutto questo ha conseguentemente inficiato insanabilmente la totalità degli atti successivamente assunti, siano essi provvedimenti amministrativi adottati dal management che contratti stipulati, con relative obbligazioni al seguito. Una conclusione, questa, che la si ricava, del resto, dalla lettura del Dpr del 31 agosto 1993 (G.U. 24 febbraio 1994), che individuava le aziende ospedaliere di rilievo nazionale, non ne citava, riferendosi alla Calabria, neppure l’esistenza, limitandosi a riconoscere come funzionanti l’AO di Cosenza, quella di Reggio Calabria e quella di Catanzaro denominata Ospedale Pugliese Ciaccio.
Una anomalia di dimensioni notevoli, questa, emersa grazie ad una attenta elaborazione del Programma Operativo Regionale 2022-2025, redatto dal commissario ad acta nominato dal Governo, allorquando ha affrontato il tema della revisione della programmazione ospedaliera calabrese. Una diligente prontezza dell’attuale commissario ad acta, Roberto Occhiuto, a scoprire l’indebito - trascurato dai sedici precedenti presidenti di giunta e da cinque commissari ad acta avvicendatesi sino alla fine del 2021 – nei confronti del quale il medesimo ha già individuato e proposto la soluzione secundum legem.
Ha infatti individuato, con la fattiva collaborazione del Ministero della Salute sviluppatasi mesi orsono, il percorso rimediale utilizzando strumentalmente la procedura della fusione per incorporazione in atto, per come previsto nell’anzidetto Piano Operativo Regionale al paragrafo 10.1.
Un percorso funzionale a “sanare” i provvedimenti adottati in carenza di attribuzione e le obbligazioni assunte e, con essi, dare regolarità ai bilanci attraverso quello della disposta fusione per incorporazione, pretesa dalla Consulta. Il tutto con buona pace per la precarietà delle attuali condizioni aziendali, meritevoli tuttavia di consistenti interventi riparatori dei saldi economici e patrimoniali, questi ultimi in negativo per centinaia di milioni di euro, anche a causa delle ricadute registrate sulle diseconomie recate dalla Fondazione Campanella e di procedimenti giudiziarie sommari sopportati passivamente, per decine di milioni di euro.
Un modo per portare a buon fine la fusione per incorporazione in corso, dell’AO catanzarese “Pugliese Ciaccio” nella sedicente AOU “Mater Domini, sollecitata dalla Corte costituzionale, con la sentenza 50/2021, e sancita dalla L.R. 33/2021, da rivedere in alcune parti.
Un approfondimento è d’obbligo
Perdipiù, risultano - dai dati rappresentati in entrambi gli elenchi – esistenti e funzionanti numerosissime aziende ospedaliere universitarie integrate con il Ssn, riconosciute tuttavia tali da provvedimenti regionali. In quanto tali afflitti da nullità per difetto assoluto di attribuzione, evocativa di un esercizio autorizzativo ad efficacia costitutiva “perfezionato” in totale carenza di potere, non affatto riconosciuto dall’ordinamento, anzi dallo stesso esplicitamente attribuito doverosamente all’Autorità statale.
Una tale anomala situazione inficia del tutto la tenuta del registro pubblico delle aziende ospedaliere universitarie, proprio per l’importanza e il ruolo che le stesse rivestono nel funzionamento del sistema della salute, nel quale le università coinvolte riversano i risultati della loro ricerca, attraverso la sua concreta applicazione in regime di assistenza alla persona, e per il tramite del quale garantiscono dell’acquisizione della necessaria formazione pratica sulle materie cliniche ai laureandi e di quella specialistica agli specializzandi.
Una tale eccezione, proprio per l’importanza che riveste nel processo di libera scelta dell’individuo dei luoghi di cura e della correttezza dell’esercizio formativo medico, merita un serio approfondimento, non disdegnando in questo lavoro di formulare, sulla base degli esiti conseguiti dalla ricerca effettuata, le proposte intese a sanare le anomalie riscontrate.
Proprio per questa aspirazione di carattere costruttivo, verranno prese in considerazioni le AOU per regioni di competenza, messe in ordine alfabetico, anche allo scopo di predisporre un elenco finale facilmente consultabile da studenti e istituzioni, pubbliche e private, coinvolte e comunque interessate. A tal uopo è necessario evidenziare che le regioni che ospitano aziende universitarie ospedaliere, ma anche sanitarie ospedaliere, sono in tutto undici (checché ne dica il report ministeriale che le limita a dieci), così suddivise: Campania (3), Emilia-Romagna (4), Friuli Venezia-Giulia (2), Lazio (5), Marche (1), Piemonte (3), Puglia (2), Toscana (4) Sardegna (2), Sicilia (3), Veneto (1).
L’esito della ricerca del Laboratorio dell’UniCal e la soluzione proposta
Dalla griglia appena evidenziata delle aziende ospedaliere universitarie rinvenute nel Paese - come attivamente funzionanti nelle undici regioni, delle quali due del Friuli Venezia Giulia definite come Aziende sanitarie universitarie - emergono alcune particolarità che è bene sottolineare, rinviando alla relazione finale della ricerca dell’UniCal ogni utile approfondimento.
Fatta eccezione per quella “S. Giovanni di Dio d’Aragona - Scuola Medica Salernitana” di Salerno, costituita secondo i canoni con il Dpcm del 31 gennaio 2013 (G.U. n. 55 del 6 marzo successivo), quasi tutte le altre AAOOU - finanche l’ultima di Ancona denominata “AOU Ospedali Riuniti”, pare che non risultino essere state correttamente insediate nel SSN attraverso il rilascio dei rispettivi previsti decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri. Non è dato, infatti, rilevare per ciascuna di esse la presenza dei previsti DPCM sanciti dal vigente d. lgs. 517/1999, quali provvedimenti costitutivi, sia per quei già policlinici provenienti da esistenze giuridiche antecedenti al 1999 che per quelle formatesi successivamente.
Per non parlare di quelle aziende ospedaliere universitarie - se mantenute in esercizio in difetto di procedura ex d.lgs. 517/99 non possono essere così considerate e, quindi, neppure appellarsi come tali – formatesi ovvero incrementate della loro consistenza giuridico-economica attraverso procedure di fusione, sia per incorporazione che per unione, risulta essere stata ossequiata la corretta applicazione delle regole fissate in materia dal Codice Civile agli artt. 2501 e seguenti e né tampoco è stato possibile rinvenire il provvedimento amministrativo statale finale dal quale fare legittimamente emergere la chiara espressione della loro neo-acquisita consistenza civilistica e fiscale.
Dunque, ove saltate le regole e ciò è avvenuto praticamente ovunque, per legittimare la loro esistenza giuridica, economica e istituzionale si dovrà accedere - così come si sta facendo in Calabria, addirittura in presenza dell’anzidetto caso limite - a procedure di conversione degli atti illegittimamente intervenuti, alcuni dei quali affetti da nullità per difetto assoluto di attribuzione. Una soluzione obbligata, attesa la presenza di atti comunque nulli e dunque non affatto suscettibili di convalescenza, in quanto tali non soggetti a sanatoria ovvero a convalida così come invece può avvenire con gli atti annullabili.
Un argomento, questo, che è stato affrontato e approfondito nel testo della ricerca sul tema del sistema ospedaliero italiano effettuata dal “Laboratorio permanente per gli studi e la ricerca nel settore del diritto e dell’economia sanitaria dell’UniCal”. Ad esito del quale è stato scandito l’elenco dettagliato anche delle trenta aziende ospedaliere universitarie, al lordo delle aziende sanitarie universitarie di Trieste e Udine, distinte per regioni di appartenenza e in ordine decisamente alfabetico con la rappresentazione dei loro rispettivi percorsi “costitutivi”, con evidenziata ogni patologia procedurali.
Enrico Caterini ed Ettore Jorio
Laboratorio permanente per gli studi e la ricerca nel settore del diritto e dell’economia sanitaria dell’UniCal