Sulla Gazzetta Ufficiale del 22 scorso è stato pubblicato il decreto del Ministro della Salute n. 77 del 23 maggio 2022, che introduce nell’ordinamento il “Regolamento recante la definizione di modelli e standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale nel Servizio sanitario nazionale.
Occorre partire e subito
Toccherà ora al PNRR trasformare l’assistenza territoriale sanitaria, dalla sua quasi attuale inesistenza in una realtà godibile, e che lo faccia a seguito del parere positivo espresso dal Consiglio di Stato su cosiddetti “DM71” e prima che gli investimenti vadano effettuati in senso sbagliato, necessita fare una profonda autocritica nel determinare le primarie esigenze di salute da soddisfare sistematicamente. Ciò sia nell’individuare i territori più difficili e le comunità più sofferenti allo scopo - nell’organizzare le cose in modo che le strutture e le iniziative, finanziate con i circa sedici milioni resi disponibili all’uopo dalla Missione 6, Componenti 1 e 2, del piano nazionale di ripresa e resilienza – di farle diventare al più presto usufruibili, uniformemente, da parte della collettività tutta.
Riprogrammiamo in corsa
Per arrivare, quindi, ad una corretta riforma dell’assistenza da assicurare fondata sui bisogni reali, da rilevare con «elmetto di minatore in spalla e lampada all’acetilene in testa», occorre acquisire correttamente: a) la composizione orografica della regione; b) la condizione della rete viaria da utilizzare per la ricerca dei siti assistenziali; c) l’individuazione delle diversità che caratterizzano i diversi segmenti della popolazione ivi residente; d) i dati epidemiologici provvedendo all’elaborazione di una mappa dei rischi di salute diversificata per gradi e per formazione delle patologie riscontrate; e) l’individuazione delle soluzioni strutturali indispensabili per soddisfare le esigenze salutari primarie, generiche, specialistiche e così via.
Correggiamo le anomalie
Tutto questo indispensabile viatico non ha tuttavia rintracciato nella organizzazione della salute il suo essere preventivamente dominante ai fini della programmazione degli interventi, attesa l’abitudine consolidatasi di ritenere centrale l’assistenza ospedaliera rispetto a tutto il resto. Ciò è accaduto nonostante avessimo goduto dal 1978 della più importante riforma sanitaria del Pianeta, garante dell’universalismo, attraverso il ricorso al finanziamento proveniente dall’impositivo, dell’uniformità e della programmazione fondata sui fabbisogni epidemiologici espressi e rilevati sul territorio tutto. Non solo. Collaborata dalla rilevazione dei rischi di salute esistenti, da codificare in un’apposita mappa, dai quali iniziare per pianificare gli interventi territoriali, strumenti principali dell’assistenza globale.
Un vizio che è nella cultura popolare è quello di ritenere l’ospedale - a partire dal ‘700 sino alla quasi metà del 900 ove l’attività ospedaliera era limitata alla cura delle malattie infettive e di talune patologie cui porre rimedio con tecnica chirurgica – “l’ombelico del mondo” assistenziale. La garanzia per tutti di poter contare, sempre e comunque, su un presidio salvavita, cui ricorrere alla bisogna. Un convincimento che, collaborato da un frequente scaricabarile della medicina di famiglia, ha portato l’utenza a ritenere il pronto soccorso la soluzione di ogni male, appesantendo così disagi inenarrabili sia al sistema della salute che alle famiglie.
Con la riforma intervenuta sugli enti ospedalieri nel biennio 1968-69, de-istituzionalizzati poi con la riforma del 1978 istitutiva del SSN ove gli ospedali più meritevoli venivano trasformati in aziende ospedaliere e gli altri in presidi minori resi strutture di ricovero delle aziende territoriali, l’ospedale è rimasto al centro del sistema viziato sia nella forma che nella sostanza. Un errore che ha determinato un forte appesantimento della istanza sociale che si riversava verso una siffatta offerta e da un legislatore che non ha saputo fare bene il proprio mestiere. Tant’è che a divenire degni protagonisti di una degna offerta di ricovero fossero le migliori aziende ospedaliere e quegli IRCCS che, tra i 52 esistenti, sono riconosciuti come la migliore offerta nazionale in tal senso (pandemia docet).
Utilizziamo l’errore come risorsa
Tutto questo ha determinato un grave corto circuito, ove nel sistema ospedaliero si è accumulato un capitale di informazioni sulla salute dei cittadini istanti, sulla loro provenienza, sui ceti rappresentativi, sull’età e sul sesso degli assistiti e così via. Di conseguenza, ha reso questo bagaglio disponibile per una programmazione accurata che, in assenza totale delle rilevazioni sul campo, fosse di principale aiuto a rinvigorire il sistema della prevenzione ma anche quello della corretta distribuzione delle neostrutture di prossimità e all’attività svolta dai medici di famiglia.
Insomma, una programmazione che rintraccia le fonti alla rovescia. Anziché rintracciare il fabbisogno sul territorio e da lì riprogrammare l’offerta ospedaliera, dovrà farlo elaborando i saldi, disgregati e scomposti, dei livelli di assistenza ospedaliera per ridisegnare quelli relativi all’attività distrettuale. Un modo per assumere capacità conoscitiva, risalendo e classificando le cause generative dei ricoveri abusati con naturale individuazione dei siti di provenienza, e di quelli a più alto rischio epidemico.
Avv. Vincenzo Massimo Pezzuto
Capo struttura presidente Regione Calabria