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Troise (Anaao): "Fermiamo il ciclone che sta investendo il servizio sanitario"

19 OTT - A dispetto del merito di associare, pur tra carenze e limiti, una spesa tra le più basse in Europa con indicatori di salute tra i migliori, e della importanza economica della filiera della salute, capace di produrre, compreso l’indotto, l’11% del PIL ed occupazione complessiva di circa 2,5 milioni di unità, la Sanità italiana è diventata il settore più bersagliato da tagli lineari come testimoniano le ultime leggi finanziarie.

La spending review produrrà un’ulteriore riduzione quantitativa e qualitativa delle prestazioni, a dispetto del velleitario ed ipocrita obiettivo della “invarianza dei servizi per i cittadini”, grazie ad un definanziamento superiore a 20 miliardi nel prossimo triennio, un taglio dei posti letto pubblici che, aggiungendosi a quanto è stato fatto dal 2004 in poi, ne fa scomparire 50.000 relegandoci a fanalino di coda in Europa, un blocco del turnover del personale esteso fino al 2015 che riduce progressivamente gli organici aumentando la età media degli operatori sanitari italiani alla faccia dei lavori usuranti. Senza dimenticare la dinamica retributiva azzerata fino al 2014, con perdita del potere di acquisto valutabile nel 20%, in un contesto caratterizzato da dinamica inflattiva e significativo incremento della pressione fiscale e ben 25 provvedimenti legislativi ad hoc negativi per il pubblico impiego. In queste condizioni è più difficile rispondere ad una domanda di prestazioni sempre più numerose e complesse, ricoverare ed effettuare dimissioni in un sistema in cui l’ospedale rimane l’unico ammortizzatore sociale ed il lavoro del medico ospedaliero equivale già a 14 mesi/anno con livelli di contenzioso, anche penale, senza eguali al mondo.

La crisi della sanità pubblica, stretta tra carenza di risorse economiche, strutturali e professionali, conflitti istituzionali, commissariamento dei commissari regionali alla Sanità, afasia della politica, sta cambiando pelle al nostro servizio sanitario. Diminuisce il perimetro di intervento pubblico ed il numero dei presidi sanitari, cresce il ticket a carico dei cittadini favorendo il trasferimento di risorse economiche nel settore privato puro, sale il carico fiscale mentre calano quantità e qualità delle prestazioni erogate. Si attaccano i principi di universalismo ed equità, propri di un servizio sanitario pubblico e nazionale, caricando la spesa sanitaria, pur inferiore del 40% a quella dei nostri vicini europei, sulle tasche dei cittadini. Ticket, tagli e tasse sono gli unici provvedimenti in campo, insieme con il cedimento delle tutele, forieri di un sistema pubblico povero per i poveri che si intravede in prospettiva, al di là della mancanza di una esplicita volontà politica in tal senso. Altro che tagli a sprechi, disservizi e cattiva gestione.

Questi fenomeni allargano le diseguaglianze frantumando la coesione sociale, e, nello stesso tempo, rallentano lo sviluppo della moderna medicina, della ricerca tecnologica sanitaria, della innovazione, della formazione, ipotecando così anche un pezzo di futuro della nostra professione. E acuiscono la crisi del carattere unitario del servizio sanitario la cui disarticolazione, con la presenza di più sistemi a diverse garanzie, rende efficacia, qualità e sicurezza delle cure funzione del codice postale, il rischio clinico una variabile della latitudine in una inaccettabile ri-modulazione dei diritti dei cittadini che porta a galla tutti i limiti di un declamato e decantato federalismo sanitario. La spending review del Governo nel merito dei singoli fattori produttivi condanna le Regioni ad una sostanziale irrilevanza, di cui si lamentano almeno quanto della entità dei tagli subiti, costrette a subire una gestione centralistica della crisi ed a rifugiarsi in una logica di sindacato. Il braccio di ferro osservato durante la lunga gestazione del decreto Balduzzi è un esempio lampante dei guasti di una legislazione concorrente i cui confini vengono spostati a seconda delle convenienze di ognuno ed invocati a garanzia di un sostanziale nichilismo.

Sono oggi a rischio gli obiettivi di tutela della salute fissati dalla Costituzione e senza risposte i problemi quotidiani di medici e dirigenti sanitari:
* la crisi dei Pronto Soccorso, scomparsa dalle prime pagine dei giornali, continua sotterranea pronta a riesplodere;
* il contenzioso medico-legale cresce in maniera esponenziale favorendo la fuga delle e dalle assicurazioni ed il trionfo della medicina difensiva;
* i carichi di lavoro non sono diventati meno pesanti, solo perché le Aziende, pur di risparmiare, negano i servizi;
* le dotazioni organiche continuano a ridursi sino a pregiudicare i livelli di assistenza;
* aumenta la solitudine del medico, alle prese con cittadini arrabbiati e magistrati che gli negano ciò che rivendicano per se stessi: il diritto di giudicare in serenità richiama il diritto di curare in serenità;
* sono decimate le prospettive di carriera dalla riduzione numerica delle strutture complesse e semplici, ospedaliere e territoriali;
* il blocco contrattuale falcidia, specie per i più giovani, il potere di acquisto di retribuzioni ferme fino al 2014.

Aumento dei carichi di lavoro con migliaia di ore extraorario e riposi compensativi disattesi, obsolescenza della tecnologia che non utilizza l’innovazione a salvaguardia della sicurezza, vetustà di ambienti ed impianti: non occorre andare lontano nella ricerca di spiegazioni al ripetersi di eventi avversi , in maniera superficiale etichettati dai mass media come malasanità . Lo smantellamento in atto del SSN non risparmia nemmeno la sicurezza delle cure ed alimenta lacrime di coccodrillo e caccia a capri espiatori dietro il cinismo finanziario della partita doppia. In fondo risparmiare in sanità è facile: basta non curare più e sorvolare sugli effetti collaterali della terapia. Invece che assistenza, gli ospedali producono contenziosi, disaffezione e fughe. E chi lascia porta via pezzi di servizi sanitari che diventeranno disponibili solo sul mercato privato. Con buona pace dei demagoghi impegnati in una caccia alle streghe che sta producendo un progressivo strangolamento della attività libero professionale intramoenia rendendola più onerosa dal punto di vista amministrativo e meno attraente da quello economico.

Intanto, continua l’abuso di contratti atipici, spesso di breve durata, perché il costante blocco delle assunzioni alimenta forme di lavoro flessibile trasformatesi ben presto in sacche di precariato destinate a durare impedendo ad una intera generazione di progettare un futuro, perché è ormai evidente che la carenza di medici, determinata da ragioni anagrafiche e da errori di programmazione, non verrà colmata a breve, con drammi personali e professionali.

Il modello aziendale ci spinge ai margini dei processi decisionali, fattori produttivi tra gli altri e pacchi postali, su cui fare leva per processi di abbattimento dei costi, macchine banali cui negare anche il diritto di contrattare le condizioni del proprio lavoro. Nella morsa di un aziendalismo orientato solo a spendere meno, in aziende sempre più incattivite dalle carenze di risorse , mal tutelati e con la prospettiva di pensioni fortemente ridotte, minacciati, nemmeno velatamente, dalla definizione di nuovi profili delle professioni non mediche sulle quali si cimentano senza sosta tavoli tecnici che Ministero e Regioni animano a getto continuo.
L’attacco a tutto campo ai professionisti del SSN, lascia alla Sanità italiana meno soldi, meno personale, meno sindacato. E meno diritti.

Se così è non stupisce il messaggio in chiaroscuro che proviene dal Decreto Balduzzi. Per le cure primarie si prospetta una riorganizzazione sperando, o illudendosi, di attingere alle risorse liberate dalla spending review, e la medicina universitaria è lasciata indisturbata, quasi una linea rossa che chi tocca muore, nella funzione di variabile indipendente, absoluta da ogni dovere rispetto a piani di rientro che si applicano, quindi, solo al personale dipendente del Ssn, chiamato a sopportarne tutti i costi, unico bersaglio della ristrutturazione, Medici e dirigenti sanitari diventano oggetto di mobilità coatta, precarietà organizzativa, mortificazione professionale ed economica. In prima linea, senza prospettive di vero cambiamento, e con risorse in diminuzione, resteranno loro i più esposti alla delegittimazione sociale e quindi facilmente trasformabili in comodi capri espiatori. Con un CCNL progressivamente trasformato dalla invadenza legislativa in un simulacro vuoto, cui vengono inferte ferite più o meno profonde. Una deregulation inaccettabile della forza-lavoro professionale che segna un arretramento sostanziale rispetto allo spirito ed alla lettera, del Dlgs 229/99, nonché al patto stipulato con i Professionisti dal Governo di allora. La svalutazione di una categoria professionale compromette, però, il destino di un diritto dei cittadini alla efficacia e alla sicurezza delle cure, diritto uno e indivisibile non declinabile col codice di avviamento postale.

A fronte della evoluzione regressiva del nostro SSN, aggravata da sacche di spreco, di interessi illegali, di improprie relazioni tra politica e gestione, che mette in discussione i paradigmi interpretativi, operativi e le stesse finalità del sistema salute, oggi servirebbe alla Sanità una riforma-quater, che affronti finanziamento e Lea, assetti istituzionali e ruolo enti locali, governance del sistema, organizzazione del lavoro e ruolo dei professionisti. Nel frattempo dobbiamo costruire attivamente una civile e forte difesa del Servizio sanitario nazionale e, al suo interno, della nostra professione, della sua autonomia e dei suoi legittimi interessi. Legando questione sociale e questione professionale, interessi e diritti, per portare al centro il nostro lavoro ed i bisogni sociali.

Il servizio sanitario rappresenta un valore fondamentale per un Paese civile, anche e soprattutto in tempi di profonda crisi economica e, mentre gli inglesi ne celebrano la nascita alla apertura delle Olimpiadi, in Italia è in atto una sua progressiva disgregazione. Ma non si salva il sistema delle cure senza o contro chi quelle cure è chiamato a garantire, anzi “la valorizzazione del personale del Ssn, a partire dalla dirigenza, è condizione imprescindibile per salvaguardare la sanità pubblica”. I Professionisti del SSN, che si identificano con i luoghi del loro lavoro, a loro volta luoghi di identità collettiva delle comunità meritano , in nome della fatica e della complessità del compito che essi ogni giorno si assumono a tutela del diritto alla salute che la Costituzione riconosce ai cittadini, più rispetto e maggiore valorizzazione.

Per queste ragioni saremo in piazza il 27 ottobre insieme con tutti coloro che condividono il pensiero forte dell’articolo 32 della nostra Costituzione e vogliono opporsi a chi nell’abbandono delle cure vede l’unica fonte di risparmio. Solo la apertura di una nuova stagione da parte di tutte le forze che hanno a cuore il patrimonio del SSN potrà salvarlo da un evidente e progressivo abbandono. Noi faremo la nostra parte ma la sfida è per tutti.

Con queste finalità intendiamo portare una categoria forte e unita ALLA MANIFESTAZIONE NAZIONALE CHE SI SVOLGERÀ A ROMA SABATO 27 OTTOBRE 2012, sapendo di chiedervi molto, ma è di molto che abbiamo bisogno, perché ad accontentarsi di poco ci si riduce a forza residuale e marginale. Dipende anche da noi come la Sanità uscirà dalla crisi, se più o meno aderente ai principi costituzionali ed ai valori che da molti decenni animano la nostra passione civile nel difendere la sanità pubblica e i nostri diritti.

Costantino Troise
Segretario nazionale Anaao Assomed

19 ottobre 2012
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