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Covid. Leoni (Cimo Veneto): “Vent’anni di decrescita del personale sanitario, ed ora è allarme”

Il segretario regionale del sindacato evidenzia come, dopo anni di tagli al personale, le istituzioni stiano ora chiedendo di risolvere l’emergenza covid a un numero davvero limitato di unità. “Questo personale, questi ‘soliti noti’, meritano, ed in forma tangibile, un riconoscimento, non solo economico”. Leoani chiede che vengano poi emanati “piani terapeutici chiari necessari ai medici di medicina generale per trattare i pazienti a domicilio, che sono l’assoluta maggioranza dei casi”.

di Endrius Salvalaggio
10 NOV - “Stanno aumentando i pazienti positivi al virus Sars-Cov-2 e stanno riaprendo i reparti Covid che erano stati chiusi durante il periodo estivo. Dopo anni di oblio, sono diventati improvvisamente  strategici i reparti di malattie infettive e pneumologia, ma con lo stesso personale di sempre, meno il numero di chi è andato in pensione. Ed è su questa cornice che nei vari ospedali oggi noi stiamo fronteggiando la pandemia”. A denunciarlo è Giovanni Leoni, segretario di Cimo Veneto.

Le carenze del personale medico, evidenziate dai sindacati alla Regione Veneto, erano di milletrecento e risalgono al dicembre 2018. Il sistema era già in affanno in particolare per anestesia, rianimazione e pronto soccorso. A queste carenze, andrebbero sommate quelle degli specializzandi di altre branche come la pneumologia, medicina d'emergenza-urgenza ecc, e molte altre.

“La carenza del personale medico - osserva Leoni – trova le sue origini nei progressivi ed implacabili  tagli al personale del 1,4 % decisi dal Governo Monti nel lontano 2004, e sempre confermati dai governi successivi. Un processo che dura ormai da circa vent’anni non si inverte nel breve periodo. Se noi facessimo un giro nei reparti di medicina, malattie infettive e pneumologie, troveremo gli stessi medici di prima, anzi meno, perché nel frattempo qualcuno è andato in pensione e/o perché alcuni si sono dimessi dall’ospedale pubblico perché è diventato meno attrattivo”

Se, come sostiene Leoni, per invertire la rotta dopo un ventennio di blocchi e di tagli al personale sanitario non è possibile farlo in poco tempo, la domanda che lo stesso segretario di Cimo Veneto è: “Adesso a chi ci affideremo per affrontare la pandemia, che giorno dopo giorno sta diventando sempre più grande? La risposta è che ci affideremo ancora una volta ai soliti medici ed infermieri di prima, con l’aggravante che la qualità del lavoro, il rischio biologico, il rischio di errore per queste persone, sono peggiorati”. “A queste persone – scandisce – stiamo chiedendo per l’ennesima volta di risolvere un problema vecchio di vent’anni, e perciò i soliti noti meritano, ed in forma tangibile, un riconoscimento, non solo economico. Non possiamo chiedere ancora una volta a questi professionisti che fanno già turni no stop ed a volte si contagiano da Covid, comprese le loro famiglie, di entrare in trincea senza considerare quello che stanno facendo”.

Nella sua analisi il Segretario non tralascia nemmeno quel personale che, a causa dell’impennata dei ricoveri nelle malattie infettive, viene spostato dal proprio posto per lavorare nei reparti di malattie infettive e pneumologia. “Chi sceglie di andare a lavorare in questi reparti, come chi sceglie di andare a lavorare nei pronti soccorso, ha delle motivazioni particolari e delle vocazioni personali. Prendere del personale che lavora ad esempio in medicina per metterlo in un reparto Covid, vuol dire cambiare la vita di quel medico, di quell’infermiere e tutta la sua famiglia. A questi lavoratori cosa è stato dato? Cosa abbiamo riconosciuto in termini di sicurezza, di responsabilità professionale, di considerazione di un rischio biologico personale completamente diverso dalla loro specialità originale ?

Tutto il personale sanitario, anche con la consapevolezza di rischiare di contagiarsi ed anche di morire, ha sempre avuto grande dedizione per il proprio lavoro e per la cura dei propri pazienti. “Ciononostante per ottenere il minimo riconoscimento economico come lo scorso premio Covid, sono state necessarie autentiche battaglie sindacali da cui sono stati esclusi gli specializzandi, medici universitari e medici in extramoenia, che pure loro hanno collaborato attivamente durate la prima fase e saranno chiamati a farlo anche adesso”.

Giovanni Leoni fa un’ulteriore considerazione sui contagi: nella prima ondata di pandemia eravamo prossimi all’estate, stagione favorevole per la limitazione della diffusione dell’epidemia. Mentre ora che abbiamo appena iniziato la stagione autunnale, in termini di diffusione del virus siamo tornati al punto di partenza.  

Per ultimo ma non per importanza, conclude Leoni “mancano dei piani terapeutici chiari necessari ai medici di medicina generale per trattare i pazienti a domicilio, che sono l’assoluta maggioranza dei casi. Sono necessarie delle linee guida su come procedere e che farmaci usare, perché al di là dei tanti studi che in questi mesi sono stati pubblicati, a volte con risultati contrastanti, mancano tuttora degli adeguati indirizzi per curare il paziente domiciliare. La pandemia va combattuta sul territorio, l’ospedale è l’ultima spiaggia oltre a servire anche per i malati di altre patologie”.

Endrius Salvalaggio

10 novembre 2020
© Riproduzione riservata

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