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Per un nuovo “Oss”, a partire dal nome...

Oggi vista la conquista dell’inserimento dell’OSS nell’area delle professioni sociosanitarie è pensabile definire questo nuovo profilo professionale nelle modalità con cui  lo si definisce da decenni in altri Stati europei cioè assistente infermieristico o aiuto all’infermiere

di Saverio Proia
22 LUG -

Si è sviluppato in queste settimane un accesso dibattito sulla questione della delibera della Regione del Veneto per l’istituzione del c.d. “super oss” nonché sulla proposta della Regione Lombardia di istituire il vice infermiere ed infine sulla proposta elaborata dalle Regioni di revisione del profilo di OSS.

Preliminarmente vorrei affrontare una questione di metodo, senza nulla togliere ad una parte pubblica sia ministeriale che regionale della possibilità di  confrontarsi anche con i suoi enti sussidiari quali sono gli ordini professionali, quindi parte della parte pubblica , per le evidenti ragioni che le suddette questioni investono sia la sfera dell’organizzazione del lavoro che la sfera dell’inquadramento contrattuale e il conseguente trattamento economico e normativo non potrebbero che essere esaminate, confrontate, concertate e, speriamo condivise con le  rappresentanze sindacali.

Mi ricordo che quando, quale consulente sulle professioni sanitarie nel primo Governo Prodi, si riuscì a far approvare all’unanimità la legge 42/99 che abolendo l’ausiliarietà al medico, i mansionari e descrivendo l’ambito di competenze in forma dinamica e progressiva delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione e della professione di ostetrica, mi fu posto anche in forma preoccupata  da più parti anche all’interno del ministero il problema di come gestire questa evidente rivoluzione professionale senza contraccolpi nella organizzazione del lavoro.

Posi subito come necessità quello di dar corso alla istituzione di nuovi profili professionali non laureati ai quali far svolgere tutte quelle competenze nel processo assistenziale che potevano essere individuate sia  da loro gestibili autonomamente o da essi a loro delegate, liberando i professionisti sanitari laureati da queste competenze per permettere loro di svolgere appieno la conquistata funzione ed operatività di professione sanitaria autonoma con un più elevato ambito professionale successivamente  implementabile in relazione sia all’evoluzione scientifica e tecnologica e al mutato quadro epidemiologico e tecnologico.

Quindi si trattava di andare oltre il preesistente operatore tecnico addetto all’assistenza, evoluzione dell’ausiliario sociosanitario specializzato a sua volta evoluzione dell’ausiliario sociosanitario…tutti inseriti e ingabbiati nel ruolo tecnico dello stato giuridico del personale del SSN.

Si riuscì a far inserire nella legge 1/2002 che si sarebbe potuto individuare “profili professionali di interesse sanitario” il che permettendo si la nascita dell’OSS non consentì, però,  la sua emancipazione dal ruolo tecnico, una vera contraddizione in terminis:  è un profilo  di interesse sanitario ma rimane nel ruolo tecnico?!

Con una geniale e quanto mai provvida innovazione legislativa,  rianimando l’area delle professioni sociosanitarie già prevista dal dlgs 502/92 ma mai attuata, un altro mistero della Repubblica di norme mai attuate senza spiegazione,  con l’articolo 5 della legge 3/2018, l’OSS, insieme ad altri tre profili, fu inserito ope legis nell’area delle professioni sociosanitarie chiarendo, una volta per tutte, che l’OSS è una componente dell’equipe assistenziale, insieme agli altri professionisti sanitari e sociosanitari, che opera per la tutela e la promozione della salute quale benessere biopsicosociale e non solo assenza di malattia, quindi non un operatore di supporto ma un operatore  che nel proprio ambito di competenze proprie , anche esse implementabili con formazione teorica e pratica successiva verificabile e verificata e nell’ambito di ulteriori competenze delegabili da professionisti sanitari interviene nel ciclo produttivo appunto della tutela e promozione della salute. .

Come ero e sono favorevole per le competenze avanzate e specialistiche degli infermieri e di tutte le altre professioni sanitarie e sociosanitarie, figuratevi se posso essere contrario a che possa essere previsto anche per altri operatori e professionisti a cominciare, appunto dagli oss.

Forse, però, in questo caso sarebbe più opportuno, considerato sia l‘attuale quadro demografico e nosologico del Paese, l‘evoluzione ordinamentale e formativa delle professioni sanitarie e sociosanitarie nonché la contemporanea evoluzione scientifica e tecnologica, proseguire nel perfezionamento formativo e comportamentale di un profilo professionale che collabori con gli infermieri e gli altri professionisti della salute appunto nella promozione e tutela della salute individuale e collettiva.

Se questo è vero, come è vero, l’attuale profilo professionale dell’operatore sociosanitario appare inadeguato nelle competenze e nella formazione alla nuova e più adeguata missione professionale di concorso alla promozione e alla tutela della salute, riconosciutagli dall’articolo 5 della legge 3/18 e dalla conseguente istituzione del ruolo sociosanitario e inserimento in esso di tale profilo per quegli operatori dipendenti del SSN.

Si tratta di una necessità quanto mai attuale di evoluzione spinta e progressiva dell’OSS, ma che  già con preveggenza e acume dalla stessa IPASVI (ora FNOPI)  oltre dieci anni fa fu avanzata nel “Tavolo Ministero-Regioni su ruolo, funzioni, formazione e programmazione del fabbisogno dell’operatore socio sanitario” vista con attenzione dai rappresentanti del Ministero della Salute ma non da quelli del Coordinamento delle Regioni, purtroppo,  infatti  si proponeva di far evolvere l’oss e l’oss con funzioni complementare in un nuovo profilo professionale “il cooperatore sociosanitario”.

Oggi vista la conquista dell’inserimento dell’OSS nell’area delle professioni sociosanitarie è pensabile definire questo nuovo profilo professionale nelle modalità con cui  lo si definisce da decenni in altri Stati europei cioè assistente infermieristico o aiuto all’infermiere ma è preferibile il primo termine…e visto che “ho visto cose che voi umani…” mi ricordo che già negli anni 80/90 dell’altro secolo il maggiore sindacato confederale liberatosi dal dogma dell’infermiere unico e polivalente non solo proponeva un’articolazione della carriera professionale dell’infermiere sino allo specialista, già allora ante legge 43/06 ma già proponeva l’istituzione dell’aiuto infermiere sulla base dell’esperienza francese, il tutto grazie all’acculturazione, richiestale appunto dall’allora vertice del sindacato,  svolta dalla mitica Italia Riccelli, di cui quest’anno ricorrono i cento anni dalla sua nascita, insegnamenti che poi furono tradotti nelle leggi 42/99, 251/00 e 43/06… e di tutto ciò fui non solo testimone… .

E’ evidente che questa denominazione ne eleva la collocazione in quel ciclo produttivo della tutela e promozione della salute non più nella fase di assistenza e igiene ma nella prima fase in tale ciclo del processo assistenziale infermieristico, quindi, senza veli, nella prima fase di base di tale ciclo produttivo  che oggi ha una fase successiva  quella ordinaria e diffusa dell’infermiere generalista e in quella successiva dell’infermiere specialista, rilanciata dalla recente intesa sul contratto della sanità che ne ha posto le basi per la sua generalizzazione oggi con i master e, speriamo presto, con gli indirizzi clinici o specialistici della laurea magistrale.

Si tratta quindi di archiviare definitivamente la perniciosa teorizzazione dell’infermiere “unico e polivalente” giustamente a suo tempo definita allora dal padre, ma lui si definiva il nonno, della riforma sanitaria,  Giovanni Berlinguer subalterna e negatrice della complessità ed articolazione anche specialistica del processo di assistenza infermieristica che, quindi non può che essere diversamente articolato e non massificato in un unico profilo assorbente.

Scherzando con l’allora Presidente IPASVI Annalisa Silvestro, visto il dibattito che si sarebbe scatenato sul nome, proposi di chiamarlo “Ugo” non solo in omaggio ad una celebre battuta del compianto Troisi, ma per una considerazione verificabile per la quale in sanità quando un profilo conta nell’organizzazione del lavoro ha un nome breve per esempio medico…invece operatore sociosanitario specializzato con funzione complementare di assistenza sanitaria o prima ausiliario sociosanitario specializzato…quindi  allorché lo chiami è già finita la sua necessità…è ovviamente una battuta…ma chiamandolo “Ugo” lo si pone in una diversa posizione nella catena assistenziale…a parte le battute, allora non ci fu interesse da parte delle Regioni nel cogliere questa disponibilità della rappresentanza istituzionale della professione infermieristica, disattenzione, è un eufemismo ovviamente che in questi anni è costata sotto ogni punto di vista non solo economico.…ora, sembrerebbe, che questa disattenzione venga meno…era ora …

Non sta a me, certamente, individuare e delimitare quale la base delle competenze di “Ugo” nel processo assistenziale infermieristico ma solo proporre il metodo che non può che essere il risultato di un confronto, a livello nazionale non parcellizzato regione per regione, tra la parte pubblica composta dai Ministeri interessati, le Regioni e la FNOPI con le rappresentanze sindacali firmatarie dei vari (troppi per la verità sarebbe il caso di unificarli) contratti nazionali sanitari e sociosanitari, confronto che dovrebbe definire le competenze di base e quelle, se del caso implementabili, la sede di formazione che, per me non può che coincidere con le sedi formative nelle aziende sanitarie della professione infermieristica, anche se al contrario di essa non potrà essere di livello universitario, salvo modifica legislativa, richiedendo quale requisito per l’accesso al corso il diploma di maturità…tutto ciò posto,  va definito il corretto  collocamento contrattuale corrispondente normativo ed economico.

Non si tratta di compiere la solita riqualificazione di massa da OSS a “Ugo” , sia gli OSS che gli OSS con funzioni complementare possono rimanere ma il nuovo profilo di assistente infermieristico potrà essere formato dall’interno degli OSS ma anche e a regime dall’esterno con  nuove generazioni motivate a questa nuova scelta professionale.

Se così si potesse operare, ci sarebbe tutta la probabilità che, non solo si potrebbe compiere un’operazione concertata, condivisa e compresa tra le parti ma, soprattutto si darebbe una risposta positiva a quanto previsto nel PNRR e nel  DM 77 ma soprattutto quanto  dovrebbe fare “Ugo” (sulla denominazione ho depositato il copyrigt)  nel processo assistenziale infermieristico in relazione ai mutamenti intervenuti nel Paese negli ultimi decenni, quali l’aumento della speranza di vita, il miglioramento delle condizioni sociali,  l’invecchiamento della popolazione e l’espandersi di forme di disagio e di fragilità che necessitano di un ripensamento dell'organizzazione sanitaria, socio sanitaria e socio assistenziale al fine di promuovere la tutela della salute e il benessere dei cittadini ad iniziare da una diversa e articolata nelle varie fasi presa in carico della persona.

Saverio Proia

 



22 luglio 2022
© Riproduzione riservata

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