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L’Omeopatia stia fuori dal Ssn

28 GEN - Gentile Direttore,
l’omeopatia sta godendo di una popolarità e consenso sempre maggiore negli ultimi anni, per quanto nessuno abbia mai dimostrato altri effetti che non il placebo: al momento la letteratura scientifica è concorde nella sistematica bocciatura di tale pratica. Questa controversa metodica si basa su principi formulati alla fine del '700, epoca in cui fervevano intuizioni ed empirismo, ma non era ancora stato definito un rigoroso metodo scientifico.
 
In questi 300 anni però non sono mai stati provati i due principi fondamentali su cui si basa questa teoria: che il simile cura il simile, e che esista una memoria dell'acqua. Secondo la cosiddetta teoria della memoria dell'acquaaumentando la diluizione del principio attivo di cui è composto il prodotto omeopatico e agitando la soluzione, se ne aumenterebbe l’efficacia.
 
Nonostante il fiorire di lavori commissionati e realizzati dalle case produttrici di prodotti omeopatici, tale teoria è stata smentita più volte dalla comunità scientifica. Di fatto, avendo una diluizione estrema, nei preparati omeopatici non c'è più traccia della sostanza d'origine.
 
La medicina omeopatica ha dei meriti: ha contribuito a confermare l’efficacia e la potenza dell’effetto placebo e ha saputo sviluppare un approccio alla “persona malata” e non all’organo malato, costruendo con i pazienti un rapporto di presa in carico della persona nel suo complesso, cosa che aiuta nella guarigione e che troppe volte invece manca nella medicina ufficiale.
 
Che l’omeopatia sia usata da tanta gente non è affatto una prova che funzioni: il fatto che l’80% degli italiani si professi cattolico non prova che Dio esiste.
 
Non è una prova neppure la sensazione da parte degli omeopati che l’omeopatia funzioni. E non si può dire “funziona, la clinica lo conferma, non ha bisogno di essere dimostrato”.
 
E’ vero che dimostrare l’efficacia e la sicurezza di una terapia è sempre difficile, per le complesse correlazioni di causa-effetto fra un farmaco e le risposte dell’organismo. Ma le aziende sono tenute a farlo, con studi adeguati: le osservazioni personali non possono mai sostituire studi realizzati secondo criteri scientifici internazionali (randomizzati, in doppio e triplo cieco,  multicentrici, eseguiti su numeri di pazienti statisticamente significativi). Solo in questo modo si  ottiene la registrazione come farmaco con indicazioni terapeutiche.
 
E non è vero, come sostengono alcuni, che la registrazione oggi obbligatoria presso AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) per seguitare a commercializzare tali prodotti, corrisponda a un riconoscimento di efficacia: le procedure di autorizzazione in corso per i medicinali omeopatici prevedono un percorso semplificato, che prescinde da valutazioni sulla loro efficacia. Anzi, per potervi accedere i medicinali devono essere privi di indicazioni terapeutiche.
 
Non si valuta, cioè, se il farmaco è davvero in grado di raggiungere un determinato effetto curativo, ma solo se è conforme ai requisiti igienici di qualità e sicurezza. Sulla confezione va riportata la dicitura “senza indicazioni terapeutiche approvate”: ulteriore ufficiale bocciatura dell’efficacia farmacologica. Nessuna ditta produttrice ha fatto richiesta di inserire i propri prodotti nel percorso autorizzativo per i farmaci con indicazione terapeutica.
Al momento non ci sono studi riconosciuti dalla comunità scientifica che dimostrino l’efficacia dell’omeopatia. L'Organizzazione Mondiale della Sanità(OMS)afferma che “l'omeopatia non è una cura e di per sé non apporta alcun beneficio”.
 
Un luogo comune da sfatare è che l’omeopatia sia un contenimento alla medicalizzazione.
Viviamo in un sistema eccessivamente medicalizzato, in cui si cerca di risolvere con i farmaci qualsiasi problema. Ma la sostituzione del farmaco con il prodotto omeopatico (cosiddetti “farmaci dolci”) non è una soluzione.  L’omeopatia non solo non risolve questo errore culturale, ma rischia anzi di alimentarlo, con cure assidue ed estremamente lunghe (somministrazioni che durano mesi e mesi).
 
Nei bambini ad esempio il più delle volte vi si ricorre quanto, stanchi del continuo ammalarsi del figlio, si prova con l’omeopatia. La sensazione che queste cure funzionino e che effettivamente il bambino si ammali di meno è dato dal fatto che, dopo due o tre anni di asilo, avendo sperimentato raffreddori, diarree, tossi, il suo sistema immunitario si è rafforzato, ha un bagaglio anticorpale maggiore e quindi si difende meglio contro virus e germi e se ne ammala meno.
L’omeopatia rischia di raccogliere un merito che non gli spetta.
 
In realtà dovremmo insegnare ai genitori a non somministrare ai figli farmaci per sintomatologie e disagi che dovrebbero essere solo tollerati, aspettandone la spontanea risoluzione. Il raffreddore passa da sé e non devo curarlo, devo solo imparare a conviverci, al massimo attenuandone i sintomi se particolarmente fastidiosi. Quindi la strada da seguire non è quella di inneggiare a preparazioni omeopatiche per non dover prendere farmaci tradizionali: non servono né l’uno né l’altro! Occorre ridare normalità al moccio nasale nella vita e nella storia del bambino piccolo: per lui ammalarsi è un po’ crescere!
 
Dobbiamo ricostruire una cultura della salute che passi attraverso la ricerca di uno stile di vita corretto, alimentazione compresa, e non nella ricerca di farmaci, anche se “dolci”, poco invasivi, tanto privi di effetti collaterali quanto privi di efficacia terapeutica!
 
Nel ricorrere all’omeopatia si rischia da un lato di andare a “curare” problematiche che non dovrebbero certo essere affrontare farmacologicamente (ad esempio il bambino svogliato e distratto a scuola) e dall’altra di non applicare strumenti validati per curare e prevenire patologie (ad es. i vaccini sostituiti da cosiddetti “vaccini omeopatici”).
 
Di questo clima fideistico e ascientifico che sta riprendendo corpo nella nostra società avevamo fatto pulito alla fine degli anni settanta, quando osteggiavamo l’utilizzo di estratti di cervello per affrontare gli esami o di estratti di fegato per disintossicare l’organismo! Oggi invece negli ambulatori medici si rivedono informatori farmaceutici che osannano a goccioline e sciroppi per bambini svogliati, disobbedienti o poco intelligenti! Nelle scatole dei prodotti omeopatici ritroviamo inviti a curare anche emozioni e relazioni: ad esempio per “curare” i bambini agitati, collerici, flemmatici, malinconici, ….
 
La Regione Toscana è stata la prima ad inserire (con l.r. 19 febbraio 2007 n. 9 “Modalità di esercizio delle medicine complementari da parte dei medici e odontoiatri, dei medici veterinari e dei farmacisti”)nel proprio sistema dei servizi sanitari le medicine complementari (agopuntura, fitoterapia e omeopatia) creando una propria rete di ambulatori all’interno delle aziende sanitarie e di strutture di riferimento regionali.
Ritengo che impiegare parte dei soldi pubblici per finanziare i servizi omeopatici non sia lecito: i soldi dei contribuenti, a mio giudizio, si dovrebbero spendere solo per cose certe, dimostrate, garantite. In un momento per altro di continuo de-finanziamento del servizio sanitario pubblico non possiamo distogliere risorse per destinarle a servizi di dubbia efficacia: se una persona decide di rivolgersi all'omeopatia ne è ovviamente libera, ma lo deve fare a spese proprie.
 
I farmaci della farmacopea ufficiale sono catalogati in classi (A, H, C) e risultano a carico del servizio pubblico solo quelli di  “dimostrata efficacia, essenziali e per terapie croniche”. Gli altri farmaci, che pure rispondono agli standard ufficiali della scienza, sono inseriti nella fascia C a totale carico del cittadino. Farmaci di dimostrata efficacia, vedi il paracetamolo, sono in fascia C in quanto considerati “non essenziali”.
 
E sono certamente troppi e troppo onerosi i contributi imposti dalle regioni ai bisogni sanitari dei cittadini, legittimati da una scarsa disponibilità di risorse economiche. A maggior ragione non si capisce come la Regione Toscana possa aver inserito la prescrivibilità delle cure omeopatiche, utilizzando i soldi dei contribuenti per aprire servizi di nessuna dimostrata efficacia, sottraendoli ad altre necessità del servizio pubblico.
 
Anche in Toscana il servizio sanitario pubblico è in sofferenza. Come consigliere regionale il mio compito e impegno è difenderlo, promuoverlo e assicurarne la migliore funzionalità. Questo a mio giudizio lo si fa anche non dirottando personale, strutture e soldi sull’omeopatia.
 
Paolo Sarti
Pediatra
Consigliere Regione Toscana (Sì Toscana a Sinistra)


28 gennaio 2019
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