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Salvare i piccoli ospedali per difendere il diritto alla salute

18 MAR - Gentile direttore,
quando un ospedale rischia di chiudere le persone si mobilitano e costituiscono Comitati per provare a scuotere l’opinione pubblica. Succede di continuo in molte parti del Paese e spesso queste rivendicazioni trovano spazio solo sulla stampa locale, con quel sapore di campanilismo che rischia di inficiare l’azione “politica” di questi cittadini.
 
In Toscana questa situazione è particolarmente ricca, sono 19 i Comitati che si sono costituiti in vari territori a difesa dei piccoli presidi ospedalieri. Un’azione che ha visto la nascita di un’associazione di coordinamento, il CREST (Comitato Regionale Emergenza Sanità Toscana) che lavora quotidianamente per impedire che politiche sanitarie provochino la desertificazione dei territori, come purtroppo sta avvenendo.
 
In questo quadro, esiste un Comitato “speciale”, non perché sito nella mia città di residenza, ma perché lotta ormai da oltre un ventennio contro il depotenziamento del suo Ospedale, il Comitato Salvare il Serristori.
 
Questa mia non è indirizzata alla sua persona per parlare di questo Comitato, non sarei in grado di raccontarne la storia, rischierei di redigere una lettera lacunosa che impedirebbe al lettore di comprendere tutte le sfaccettature.
 
Esiste però un ospedale, il Serristori, la cui storia vale la pena sia raccontata, non fosse altro che esso esiste da secoli ed un tutt’uno storico e culturale per la città e per i suoi cittadini.
 
Secondo le notizie che si possono recepire anche nella rete, esso viene così descritto:
“L’ospedale dedicato alla Vergine Maria Annunziata di Figline Valdarno, meglio noto come Ospedale Serristori, venne fondato nel 1399 da uno dei priori della Repubblica Fiorentina, Ser Ristoro di Ser Jacopo. Le prime notizie certe risalgono al 1410 quando lo spedalingo Fra Domenico di Gherardo cominciò a tenere un registro di "memorie economiche". Già nella seconda metà del '400 l'ospedale affiancò alla tradizionale incombenza di tutti gli ospedali sorti nel tardo medioevo di assistenza ai poveri e rifugio per i pellegrini anche il nuovo compito di assistenza ai malati.
La famiglia Serristori nel 1637 chiese e ottenne l'erezione dell'ospedale in commenda dell'Ordine di Santo Stefano, mantenendo comunque tutte le facoltà e obblighi voluti dal fondatore. L'ospedale rimase sempre dei Serristori, nonostante infiniti tentativi andati a vuoto di limitare le loro prerogative anche in periodo postunitario, fino alla legge del 17 luglio 1890, n. 6972, quando furono prescritti controlli statali sulla sua amministrazione. Sempre nel 1890 fu inaugurata una nuova sede: l'ospedale dall'antica ubicazione nel paese fu spostato sul vicino colle di San Cerbone, nella villa che la famiglia Serristori aveva fatto ristrutturare a tale scopo” (fonte SIUSA)
 
Parliamo dunque di una struttura secolare, che ha attraversato tutta la storia di questo territorio, che non è solo quello di Figline Valdarno (oggi Figline e Incisa Valdarno per motivi di fusione dei comuni), ma dell’intero territorio del Valdarno Fiorentino.
 
Nel 2013, poco prima di Natale, gli allora 4 sindaci firmarono i cosiddetti “Patti Territoriali” che prevedevano la salvaguardia dell’Ospedale, con le caratteristiche proprie di presidio per le urgenze.
 
Oggi si scopre, a nemmeno 3 anni da quella firma, che il P.S. subirà una netta riduzione delle sue capacità di risposta ai bisogni di salute, attraverso la sospensione della Guardia Chirurgica la notte. In sostanza, dalle 19 sino alle 08.00 del mattino non sarà possibile essere valutati ed eventualmente trattati presso il nostro nosocomio. Tutti i cittadini verranno dirottati presso l’ospedale di Santa Maria Annunziata di Firenze: 34 minuti di viaggio per 43 km passando per la A1.
 
Il problema non è decidere chi colpevolizzare politicamente di quella che considero una scellerata decisione, ma comprendere quali sono i motivi “economici” che portano l’Azienda Sanitaria e disinvestire sulla sanità di prossimità in favore di un accentramento che per una Regione come la Toscana rischia di rilevarsi un boomerang per le previsioni di tutela della salute dei suoi cittadini.
 
Nessuno pretende di avere l’ospedale di quartiere ma sarebbe opportuno chiedere maggiore trasparenza rispetto alle scelte di politica sanitaria di chi ha in mano il governo delle decisioni.
 
L’Ospedale Serristori non è diverso dagli altri piccoli presidi che caratterizzano la Toscana, che per dimensioni demografiche e aspetti territoriali ne fa una regione con le sue particolarità che la rendono diversa dalle altre e per questo non è pensabile assistere ad un’omogeneità delle scelte da parte del Presidente Rossi che assomigliano a quelle di altri suoi colleghi Presidenti di regioni totalmente diverse.
 
Forse occorrerebbe maggiore oculatezza nelle scelte politiche quando in gioco c’è un bene comune come la salute ed occorrerebbe maggiore capacità di informazioni ai cittadini perché abbiano la consapevolezza che il depotenziamento del nostro presidio entra dentro una strategia complessiva che ha come obiettivo finale il risparmio economico: la cosiddetta scelta “economicista” di cui Cavicchi ci ha edotto ampiamente dimostrando che essa non ha alcun possibilità di risultare vincente nel lungo periodo.
 
In questa dimensione di incertezza, guardare al Serristori fa salire un sentimento di amarezza per l’impotenza che i cittadini hanno rispetto alle decisioni politiche che vengono assunte. Non vi è dubbio alcuno che in una democrazia rappresentativa, l’assetto decisionale non avviene per cooptazione o per eredità ma dovrebbe rappresentare la volontà degli elettori. Peccato che questo non sia vero del tutto o sia vero in parte.
 
Anche su questo piano occorrerebbe maggiore onestà intellettuale e riconoscere come territorio ampi come il nostro hanno un peso politico irrilevante perché grazie alla legge elettorale regionale è pressoché impossibile riuscire ad eleggere un rappresentante in Regione.
 
Dunque l’accentramento verso i grandi centri urbani non ha solo scopi di carattere economicistico, di riorganizzazione sanitaria ma nasconde anche un bisogno di consenso elettorale: a Firenze la possibilità di accesso alle cure è decisamente maggiore rispetto ad un cittadino del Valdarno, va de se che un cittadino soddisfatto (in questo caso fiorentino) non avrà motivi per non riconfermare coloro che gli hanno garantito i servizi, al contrario il nostro dissenso sarà la puntura di una zanzara sulla schiena di un elefante.
 
In questo senso, trovo tutta la vicenda dell’Ospedale un capitolo complesso, che si intreccia in dinamiche che sfuggono alla comprensione, perché inserite dentro un mare di relazioni che sono di difficile declamazione anche da parte di chi, in maniera molto umile, cerca di dare il proprio contributo professionale e politico.
 
Di fronte allo scempio che si sta perpetuando rispetto ai piccoli presidi, di fronte alla desertificazione delle periferie rispetto ai servizi pubblici di tutela alla salute, anche le dinamiche interne delle professioni sanitarie diventano polemica sterile perché non sono comprensibili al cittadino eppure anche esse hanno il loro peso di fronte a queste contro-riforme sanitarie che stanno di fatto azzerando il principio costituzionale di universalità.
 
Non è accettabile che per poter eseguire un esame mi venga richiesto di dovermi spostare anche di 80 chilometri, non è accettabile che un anziano fragile per essere operato venga spostato come un pacco postale di oltre 40 chilometri, non è accettabile che per vedere accolto il mio bisogno di salute e di rassicurazione mi vedo costretto ad usufruire di visite private perché il mio presidio non le contempla.
 
Questo è un quadro che ci fa tornare indietro di decenni rispetto alle conquiste maturate nel corso del dopoguerra, un quadro ancor più amaro se a compiere questo misfatto è l’erede politico di quella area della sinistra storica che da sempre si era battuta per il diritto alla salute.
 
Appare evidente che il mio, il nostro impegno in difesa di quel diritto si scontra contro un muro di gomma, fatto di comunicati e contro comunicati, di confusione e ordini di partito affinché le persone, prese dallo sfinimento, arrivino a dire “ma che lo chiudano”.
 
Con l’Ospedale Serristori sono riusciti mirabilmente ad applicare le famose 10 regole di Noam Chomsky.
1. La strategia della distrazione: i patti territoriali del 2013
2. Creare problemi e poi offrire le soluzioni: mancanza di professionisti come il medico cardiologo piuttosto che l’ortopedico piuttosto che l’oncologo
3. La strategia della gradualità: non chiudono i servizi, li ridimensionano piano piano, fino a farli morire
4. La strategia del differire: su questo punto sono stati davvero bravi, sono circa 26 mesi che si attendono i lavori di ristrutturazione rispetto ai patti territoriali, che rientravano in una strategia distrattiva.
5. Rivolgersi al pubblico come ai bambini: le nostre lamentele sono vissute come capricci campanilistici
6. Usare l’aspetto emotivo molto più della riflessione: mai nessun incontro è stato organizzato per spiegare le strategie di politica sanitaria per il territorio, si è preferito lasciare spazio alle dinamiche emotive, tali da risultate spesso bollate come “inutili allarmismi” susseguiti da comunicati rassicuranti
7. Mantenere il pubblico nell’ignoranza e nella mediocrità: perché il cittadino medio italiano è disinformato, non sempre per colpa sua ma per una mirata strategia informativa. Sull’Ospedale abbiamo letto tutto ed il contrario di tutto, ma pochi sono a conoscenza di quanto realmente sta accadendo.
8. Stimolare il pubblico ad essere compiacente con la mediocrità: non aggiungo commento
9. Rafforzare l’auto-colpevolezza: dire che non ha senso avere un Ospedale nel nostro territorio equivale a indurre nel cittadino la consapevolezza che in fondo “a Firenze verrò curato meglio”…se ci arrivo..
10. Conoscere gli individui meglio di quanto loro stessi si conoscono: mi si permetta una chiosa politica: se si vota un partito convinto che sia un’altra cosa, il risultato è questo.
 
Io non so se sono riuscito a fare un bel servizio per il “mio” ospedale, se il Serristori con questo articolo avrà la possibilità di avere un dibattito ampio e di maggiore spessore, anche solo regionale. Certo è che se riuscissi a convincere i cittadini toscani che “salvare il Serristori” non è una battaglia politica ma una battaglia di civiltà, questa mia avrebbe già avuto un enorme successo.
 
Non è stato facile per me decidere di scrivere questa lettera, perché io non sono originario di questa città, il Serrstori per me è solo un ospedale ma per molti qui è molto di più.
 
È la loro storia.
 
Piero Caramello
Consigliere Comunale Figline e Incisa Valdarno
Alternativa Libera 

18 marzo 2016
© Riproduzione riservata

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