La vision di Federsanità-Confederazione delle Federsanità Anci regionali sulle cure primarie
di Tiziana Frittelli
La crisi ci ha insegnato che non si può fare buona salute senza una strettissima integrazione e collaborazione tra distretti, dipartimenti di prevenzione, farmacie, medici di medicina generale, Rsa, servizi sociali dei comuni e volontariato. Lo abbiamo imparato e adesso dobbiamo organizzarlo concretamente. Quindi, riteniamo sia da superare la visione del Mmg che lavoro da solo, senza telemedicina, senza integrazione con il distretto, il dipartimento di prevenzione, con le farmacie e con i servizi dei Comuni
16 DIC - Da questa epidemia il sistema di assistenza territoriale e il sistema delle autonomie locali hanno imparato molto, in primis che senza una stretta sinergia tra enti del Servizio Sanitario ed enti locali risulta impossibile, in situazioni critiche, predisporre risposte efficaci per la prevenzione e la presa in carico dei pazienti fragili. Il decreto legge 14 agosto 2020 n. 104, nella consapevolezza della necessità di avviare per il territorio una vera politica della salute, ha modificato l’articolo 3-quater del dlgs.502/92 e smi, al fine di rinforzare il distretto, stabilendo, in primis, la necessita’ di un sistema informativo integrato.
Ma la novità più rilevante appare il fatto che il Programma delle attività territoriali, basato sul principio della intersettorialità degli interventi cui concorrono le diverse strutture operative, venga proposto dal Comitato dei sindaci di distretto e dal direttore di distretto all’approvazione del Direttore generale. Trattasi, quindi, di una opportunità di sinergia che può dare ottimi frutti., poiché il comitato dei sindaci si trasforma da organo consultivo in organo dotato di potere di proposta nell’adozione del programma. Chi più dei sindaci, conosce i bisogni dei territori?In questa ottica di integrazione, le proposte sulle cure primarie, elaborate da Federsanità, rispondono alla sfida di spostare l’idea di cure primarie da una somma di strutture e prestazioni a una vera politica per la salute/medicina di comunità e della comunità.
La crisi ci ha insegnato che non si può fare buona salute senza una strettissima integrazione e collaborazione tra distretti, dipartimenti di prevenzione, farmacie, medici di medicina generale, RSA, servizi sociali dei comuni e volontariato. Lo abbiamo imparato e adesso dobbiamo organizzarlo concretamente. Quindi, riteniamo sia da superare la visione del medico di medicina generale che lavoro da solo, senza raccordo con le professioni sanitarie e con gli specialisti presenti sul territorio, senza telemedicina, senza integrazione con il distretto, il dipartimento di prevenzione, con le farmacie e con i servizi dei Comuni.
Per fare questo bisogna affrontare e risolvere alcuni temi.
Primo. L’assetto contrattuale. Senza entrare nel merito di dipendenza si o dipendenza no, è evidente che la solo quota capitaria non basta alla nuova medicina generale. E’ necessario che la remunerazione sia legata in maniera consistente a premiare chi fa medicina di comunità, chi sa prendere in carico i propri assistiti, fare medicina di iniziativa, offrire servizi diagnostici in sede o a domicilio, lavorare in team multidisciplinari.
Secondo. Il lavoro in équipe. Bisogna progettare forme di équipes flessibili in base alla caratteristiche della popolazione e del territorio di riferimento. Equipes che potrebbero essere concentrare in un luogo (case della salute, medicina di gruppo, UCCP o altro) o sparse in un territorio, ma comunque dovrebbero avere due caratteristiche comuni: avere una popolazione definita di cui occuparsi ed essere multidisciplinari.
Terzo. La formazione. Bisogna uscire dal modello del triennio autogestito. E’ necessario costruire un percorso specialistico universitario sulle cure primarie, che metta insieme le necessarie competenze cliniche, indirizzandole però all’assistenza a domicilio e nella comunità. Percorso non facile in Italia dove le università non hanno, a parte poche eccezioni, storia e competenze per la gestione di malattie e persone al di fuori del contesto ospedaliero.
Quarto. La telemedicina. Abbiamo capito che si può fare, che funziona e che è una risorsa eccezionale. Nelle cure primarie la telemedicina ha tre aree di applicazione: il teleconsulto, vale a dire la possibilità di interrogare a distanza specialisti e di trasmettere esami e immagini, telecontrollo, cioè gli strumenti per poter sorvegliare la salute dei pazienti senza spostarli da loro domicilio, raccolta di big data, per mettere assieme le informazioni per prendersi cura delle persone e delle comunità. E’ però evidente che se gli strumenti tecnici ci sono, manca ancora l’organizzazione in grado di gestire la telemedicina in maniera adeguata, e questo richiede molti cambiamenti.
Quinto. Superare l’urban-rural divide. In Italia oltre 13 milioni di persone (4.261 Comuni) vivono nelle aree interne che coprono il 63% del territorio del Paese. E’ noto che in queste aree l’accesso ai servizi, l’incidenza della malattie e l’aspettativa di vita mostrano dati negativi. E’ altrettanto noto che sono luoghi in cui è sempre più difficile trovare medici di medicina generale disponibili a prendere servizio. E’ qui che probabilmente bisogna progettare a forme organizzative completamente nuove mettendo assieme tutte le risorse: mmg, personale dipendente, farmacie, Comuni e volontariato, puntando anche sulle equipes itineranti.
Sesto. Recuperare la responsabilità di sanità pubblica della medicina generale. Ogni mmg ha mediamente 1300 assistiti, un Aggregazione Funzionale Territoriale AFT ne ha alcune migliaia. Forse è il momento di dare senso compiuto a quanto già previsto nell’attuale ACN dove si parla del ruolo del MMG per “iniziative di educazione sanitaria e promozione della salute” “prevenzione individuale e gruppi di popolazione” “svolgimento di attività epidemiologica”. La domanda che si pone è quindi: possiamo trasformare le nuove forme organizzative (gruppo, AFT, UCCP) in modelli di responsabilità sulla salute di gruppi di popolazione avviando veramente una vera medicina di iniziativa, anche qui in stretto collegamento con gli Enti Locali?
Settimo. Valutazione. In Italia esistono numerose esperienze regionali di misurazione delle attività della medicina generale, alcune di queste sono state legate a forme contrattuali di incentivazione sui risultati raggiunti. Forse è il momento che le iniziative più importanti in corso sulla valutazione (Agenas, Sant’Anna, PNE) siano incoraggiate a produrre un sistema per il Paese.
Crediamo che lavorare da subito su questi sette punti possa aiutare alla svolta nella medicina generale che costituisce un punto di svolta dell’assistenza territoriale.
Tiziana Frittelli
Presidente Federsanità Anci
16 dicembre 2020
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