La sofferenza silenziosa. Il welfare che non c’è
di Livia Turco
In Italia il Welfare continua ad essere identificato con la sanità e la previdenza. L’intervento sociale continua ad essere considerata assistenza riparativa a affidata ai bonus ed agli interventi monetari. I servizi sociali privi di una rappresentazione del loro valore continuano a rimanere i figli di un Dio minore. Eppure la Riforma che prevede il pilastro delle politiche sociali c’è, e l'8 novembre ha compiuto vent’anni. Se quella legge fosse stata applicata, in questa durissima pandemia, tante persone sarebbero meno sole.
09 NOV - Ci sono persone dentro questo dramma della pandemia che non faranno mai rumore, non alzeranno la voce, non faranno manifestazioni. Sono quelli che soffrono di più, sono gli esclusi, sono i sofferenti. L’elenco sarebbe lungo. Le persone senza fissa dimora, chi non ha reddito, i bambini che vivono la povertà dei genitori, le persone anziane non autosufficienti, chi soffre di problemi di salute mentale o le varie forme di dipendenza. Non alzano la voce perché non hanno la forza. Sono gli invisibili intercettati dal volontariato, dalle Caritas, dagli assistenti sociali. Sono quel popolo di umanità sofferente che rischia di sprofondare nell’abisso.
L’abisso della solitudine e della marginalità da cui non li tirerà fuori un bonus o un trasferimento monetario. Ci vuole invece quell’azione amorevole e competente che si chiama “Presa in carico” che possono realizzare insieme alle reti del volontariato figure professionali e servizi sociali. Sono loro che quando possono operare, perché previsti dall’intervento pubblico, vanno a scovare queste sofferenze silenziose. Danno loro un volto ed una voce. Per fare uscire dalla solitudine dalla sofferenza queste persone, la presa in carico deve essere continuativa, le azioni per la presa in carico sono complesse.
Devono avvalersi di una molteplicità di figure professionali, devono offrire ad esempio un assistenza domiciliare che non solo aiuti le persone anziane ed i loro familiari a svolgere le loro funzioni vitali ma offrano ascolto, compagnia, o al minore solo e che fa fatica nello studio o nella relazione con gli altri bambini lo stimoli nella creatività e gli trasmette fiducia. Che aiuta la persona a compilare i tanti moduli per accedere ai trasferimenti monetari cui hanno diritto. Che offrano sollievo ai genitori di figli disabili gravi.
Queste azioni si chiamano servizi sociali che devono essere integrati all’interno di una rete. Che poi si collega per favorire l’inserimento lavorativo e l’inserimento scolastico. Questa azione di presa in carico delle persone fragili non è solo assistenza ma anche attivazione delle capacità e dei talenti di cui ciascuna persona è portatrice. Per il suo benessere e la sua effettiva inclusione sociale.
La presa in carico, il prendersi cura deve riguardare la normalità della vita, dei compiti famigliari, per prevenire il disagio e la caduta nella marginalità. Deve guardare alle persone e non alle categorie sociali e non limitarsi a riparare i danni ma cercare di prevenirli. A promuovere il benessere. Anche perché oggi siamo tutti esposti alla caduta nella vulnerabilità. Questa azione della presa in carico e del prendersi cura costituisce in ogni paese europeo il pilastro delle Politiche Sociali.
In Italia questo pilastro non c’è ed i servizi sociali sono pochi e disomogenei sul territorio nazionale. Come ha recentemente denunciato il combattivo Presidente dell’Ordine degli assistenti sociali, Gian Mario Gazi, mancano persino i presidi del segretariato sociale e del Servizio sociale con la figura dell’assistente sociale. Molti comuni con i loro amministratori ed operatori hanno resistito, innovato costruito forme innovative della presa in carico.
In Italia il Welfare continua ad essere identificato con la sanità e la previdenza. L’intervento sociale continua ad essere considerata assistenza riparativa a affidata ai bonus ed agli interventi monetari. I servizi sociali privi di una rappresentazione del loro valore continuano a rimanere i figli di un Dio minore.
Eppure la Riforma che prevede il pilastro delle politiche sociali c’è. Domenica 8 novembre compie vent’anni. La legge 328/2000 “Legge quadro per la realizzazione di un sistema integrato di Interventi e di Servizi Sociali. “La legge della dignità sociale, il cui articolo 1 inizia così: “La Repubblica assicura alle persone ed alle famiglie un sistema integrato di interventi e di servizi sociali, promuove interventi per garantire la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione, e diritti di cittadinanza, previene, elimina o riduce le condizioni di disabilità, di bisogno, di disagio individuale e familiare, derivanti dalla inadeguatezza del reddito, difficoltà sociale e condizioni di non autonomia, in coerenza con gli articoli 2, 3, 38 della Costituzione”.
Quella riforma sostituisce la legge Scrissi del 1890 e fu il frutto di una forte mobilitazione sociale, di una partecipazione attiva di cittadini, sindacati, volontariato, comuni. Fu il frutto di un intenso dialogo parlamentare relatrice furono Elsa Signorino (Ulivo) ed Alessandro Ce (Lega Nord). Il governo dell’Ulivo partecipò con un suo disegno di legge, stanziando significative risorse e costruendo tanti tavoli di condivisione con enti locali, associazioni e volontariato. Fu il frutto di una “primavera delle politiche sociali“ con un ruolo nuovo del terzo settore considerato non solo gestore di politiche e di interventi ma portatore di saperi e di competenze che partecipa alla programmazione degli interventi.
Insieme alla legge quadro furono approvati molti provvedimenti per l’infanzia, le famiglie, le persone diversamente abili, l’immigrazione. Dopo la primavera cadde il gelo e la Riforma non fu applicata. Solo i comuni, le Regioni si sono avvalse dell’impianto culturale della legge per costruire politiche innovative. Dopo 17 anni è stato scritto il primo livello essenziale sociale con l’istituzione del Rei il Reddito di Inclusione Sociale contro la povertà e la legge sul “Dopo di noi” che aiuta le famiglie con figli disabili gravi.
Se quella legge fosse stata applicata oggi, in questa durissima pandemia, tante persone sarebbero meno sole, sarebbero prese in carico, sostenute nella loro sofferenza, tolte dalla marginalità. L’Italia fa le Riforme e non le applica. Ed allora se non ora quando? Se non ora quando l’Italia si doterà del pilastro delle politiche sociali? Con quale credibilità parliamo di medicina territoriale medicina di comunità senza l’ integrazione socio sanitaria, senza i servizi sociali.? Non bastano i medici di famiglia e gli infermieri ci vogliono gli le assistenti sociali, gli educatori, le assistenti domiciliari, eccetera.
Raccoglierà il governo, raccoglieranno le forze politiche di maggioranza, a partire dal PD, le proposte che l’Ordine degli Assistenti sociali ha elaborato è discusso in un evento cui hanno partecipato mille persone? Raccoglierà le proposte dei Comuni che attraverso l’Anci ha coinvolto operatori e amministratori locali, una intelligenza collettiva, una passione che non si è mai spenta e che oggi vuole, pretende che si costruisca quel welfare prezioso che non c’è. Lo vuole per poter prendersi cura delle sofferenze nascoste che invece i loro occhi vedono ed i loro cuori ascoltano. Insomma dal dolore della pandemia nascerà una nuova primavera delle politiche sociali? Per costruire un paese più umano e più giusto?
Livia Turco
09 novembre 2020
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