La Fase 2 per le Comunità Terapeutiche non è mai iniziata
di Anna Paola Lacatena
Sono trascorse le settimane, si sono susseguiti i DPCM e rincorse le circolari regionali, alla fine del mese di giugno 2020, le Comunità terapeutiche per tossicodipendenti sembrano ferme alla fase 1. Tutto resta chiuso
27 GIU - Istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1987, il 26 giugno ricorre la Giornata mondiale contro l’abuso e il traffico illecito di stupefacenti. L’Onu, richiamando i Paesi a non abbassare la guardia nella lotta contro il commercio illegale di sostanze stupefacenti e a rafforzare i programmi di prevenzione delle dipendenze e di cura delle vittime, ha fissato come tema per il 2020: “Una conoscenza migliore per una cura migliore”.
Secondo le stime dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (Unodoc), dopo oltre 30 anni, il bilancio è fallimentare. Come definire altrimenti la crescita di oltre il 30% negli ultimi dieci anni, i quasi 600 mila morti in un anno e i 270 milioni circa di persone che fanno uso di sostanze stupefacenti nel mondo. Nel Rapporto mondiale sulla droga (dati riferiti al 2018), presentato nelle scorse ore a Vienna, si evidenzia come ammonti a 35 milioni di persone il numero di quanti nel mondo soffrono di disturbi collegati all’uso di droghe.
A proposito di cura, rivolgendo le sguardo al territorio nazionale, una questione resta ad oggi senza risposta.
Se infatti, sia pur in maniera farraginosa i Servizi per le Dipendenze (Ser.D.) hanno ripreso quasi completamente le proprie consuete attività, la campagna “Mai più invisibili”, promossa dalle principali Reti del privato sociale e dalle Comunità terapeutiche (lanciata proprio il 26 giugno 2020), intende sollecitare l’attenzione dei decisori sulle criticità affrontate e ancora da affrontare dal Privato sociale al cospetto delle limitazioni imposte dalla pandemia da Coronavirus.
Nonostante il profondo senso di responsabilità dimostrato nel corso di questi mesi, evidenziato anche dall’assenza di contagi all’interno delle strutture in tutta Italia, come altre strutture sanitarie, sociosanitarie e socioassistenziali, le Comunità Terapeutiche per tossicodipendenti restano chiuse alla possibilità di nuovi ingressi, di verifiche a casa, di visite (se non strettamente contingentate) da parte dei congiunti. Non ci sono direttive specifiche, non ci sono state e non ci sono dispositivi di protezione per gli operatori e gli ospiti (ogni realtà si è dovuta dotare per proprio conto e contando su risorse proprie), strumenti anche economici per fronteggiare l’inatteso.
Sono trascorse le settimane, si sono susseguiti i DPCM e rincorse le circolari regionali, alla fine del mese di giugno 2020, le Comunità terapeutiche per tossicodipendenti sembrano ferme alla fase 1. Tutto resta chiuso.
La cura e l’assistenza sanitaria sotto scacco hanno evidenziato forse come mai prima d’ora la difficoltà dei decisori (e delle persone in genere) ad assimilare il concetto di malattia e terapia anche a quanti utilizzano in maniera problematica e patologica le sostanze psicotrope legali e illegali.
Praticamente in quasi tutte le regioni italiane pur riprendo con circospezione quasi tutte le attività per le Comunità Terapeutiche per tossicodipendenti persiste il blocco dei nuovi ingressi e delle verifiche a casa (parte integrante di ogni programma).
Il tutto è condizionato dall'individuazione di spazi per il periodo di quarantena che dovrebbe far seguito alla richiesta di ingresso in Comunità.
Dalla Regione Lombardia dove i 14 giorni di isolamento devono essere effettuati prima e dopo l’ingresso in C.T. alla sequenza imposta dalla Puglia: primo tampone negativo, quarantena di 14 giorni in struttura, secondo tampone negativo.
Al momento la maggior parte dei Dipartimenti di Prevenzione (DP) afferenti ai singoli territori non ha effettuato i sopralluoghi che possano autorizzare gli spazi adibiti dalle Strutture alla quarantena secondo i dettami di legge, accertandone l'eventuale assenza di criticità organizzative e assistenziali.
Per alcune realtà regionali, il DP potrebbe mai autorizzare una parte della Struttura visionata mancando ancora l’accreditamento per l’intera sede?
Sono decenni che il settore attende l’accreditamento ufficiale e se questo ha potuto rappresentare per qualcuno la possibilità di navigare a vista in assenza di precisi riferimenti normativi (strutturali e funzionali), oggi l’intero sistema (i pazienti probabilmente già da decenni) paga la mancata realizzazione (e il conseguente mancato riconoscimento) di modelli altamente professionalizzati.
In sintesi, e per quanto riguarda lo specifico settore, alla fine di giugno 2020 l'onere/competenza per l'effettuazione dei tamponi è passato in molte realtà, compresa la Puglia, dai DP ai DDP.
Il nebuloso iter per l’accesso, però, resta lo stesso: tampone a cura del DDP;14 gg di quarantena presso la C.T. con spazio autorizzato da DP; tampone a cura del DDP; ingresso a tutti gli effetti nel gruppo C.T.
Nella realtà: molti DDP sono ancora sprovvisti di quanto necessario per i tamponi, le CC.TT. propongono spazi per la quarantena non autorizzati, i sopralluoghi da parte del DP retano inevasi.
Nel frattempo, le CC.TT. spingono per la soluzione della questione.
Non ci sono ingressi "concordati" dall'inizio di marzo e questo significa impossibilità in tempi brevi di tenere in vita le Strutture.
Pensare ad una sorta di sede unica di pre-ingresso (quarantena) per tutte le realtà del settore di uno stesso territorio (anziché una per ogni differente Comunità, da cui un sopralluogo unico del DP) nelle quali, superati i 14 gg e il secondo tampone, l'ospite potrebbe essere prelevato per poi essere accompagnato nel Centro concordato dal paziente, Ser.D., C.T., non sembra una via percorribile.
Questo implicherebbe, infatti, un livello di collaborazione che non tutte le Comunità sono disponibili a spendere per altre realtà simili presenti sul territorio di riferimento.
Da qui la personale (opinabile quando non del tutto trascurabile) proposta di chi scrive:
- tampone effettuato dal DDP Ser.D. di appartenenza;
-14 giorni di isolamento con autocertificazione (pratica ampiamente diffusa) da parte dell'ospite e della Struttura disponibile all'accoglienza, ciascuno per la propria responsabilità;
- tampone del DDP Ser.D. su cui ricade la competenza territoriale della Struttura che vorrebbe accogliere il nuovo ospite.
Da ciò:
- si fornisce la possibilità di una risposta istituzionale attesa ormai da settimane;
- si liberano i Dipartimenti di Prevenzione dalle incombenze (considerato anche il carico di lavoro) di sopralluoghi e tampone presso le CC.TT. (per il mio modesto sentire, anche un po' spaventati dal doversi confrontare con realtà un po' dissimili dalla più comune accezione di luogo di cura);
- si stabilisce una regola comune a tutte le CC.TT. dello stesso territorio regionale (non è corretto che ognuno si scriva un proprio protocollo e non va bene diano ai ragazzi ospiti l'idea che le regole possono essere aggirate o scritte solo perché c'è un bisogno o un disposto normativo non percepito come favorevole. Sarebbe esattamente smentire ciò che cerchiamo di modificare in loro…);
- si permette alle CC.TT. di lavorare;
- si mettono nelle condizioni i DDP di avere una voce reale in questa questione e di garantire i pagamenti delle rette a partire dal secondo tampone e non dall'ingresso (14 giorni di quarantena) non avvallando il vuoto autorizzativo della fase di quarantena in C.T. (non è pensabile l'attuale non ti autorizzo ma ti pago);
- si risponde al bisogno di famiglie e pazienti (il fatto che famiglie con congiunti portatori di tali problematiche non organizzino manifestazioni pubbliche, magari per paura dello stigma, non vuol dire abbiano meno diritto alla salute);
- si offre una risposta a chi lavora nelle Strutture del Privato sociale, preoccupati rispetto alla possibilità (ormai non più così remota) di perdere il proprio posto di lavoro;
- si esce dall'attuale impasse che rischia di non trovare soluzioni nell'immediato, fornendo l'occasione di fare credere che non ci siano risposte, che il settore non è politicamente significativo, che dei tossicodipendenti si occupa, per fare share e consenso elettorale, solo la tv e qualche declamatore del va tutto male.
- si evita la deregulation generale del ciascuno per conto proprio sotto l’egida del si salvi chi può.
Messi a dura prova dal lockdown e dalle misure di distanziamento Ser.D., Centri bassa soglia e Servizi diurni (poche altre realtà della care hanno la stessa imprescindibile necessità di lavorare per la persona in presenza della persona), bloccati i nuovi ingressi nelle comunità (di tutte le tipologie), annullati buona parte dei progetti di prevenzione e riduzione del danno (già ridotti dalla miopia di chi ha inserito la voce nei LEA, Livelli Essenziali di Assistenza, senza finanziarli), in stallo da anni la legge sugli stupefacenti, in itinere quella sull’accreditamento delle strutture di cura e riabilitazione per tossicodipendenti in molte realtà regionali, il rischio è quello di consegnare la vittoria al consumo di sostanze senza neanche poter giocare la partita.
Le restrizioni alla mobilità, la chiusura delle frontiere, l’accentuarsi dei controlli alle stesse hanno determinato solo limitatamente, infatti, un calo dei consumi, innalzando per contro i costi e determinando un calo della purezza. La crisi economica, la disoccupazione crescente, i disagi psicologi e sociali indotti dalla pandemia difficilmente (vedi crisi del 2008) riusciranno ad eludere una ricaduta (al rialzo), nel breve e medio tempo, sul consumo di stupefacenti.
Sebbene quest’ultimo sia in tutta evidenza una pratica trasversale per fasce di età, cultura e reddito, la periferia resta, culturalmente e non logisticamente, la sua consueta e condivisa allocazione.
La periferia dell’elenco delle malattie ritenute tali, la periferia dell’agenda politica, la periferia delle emergenze che chiedono risposte. Peccato che, come per qualsiasi scala, l’ultimo livello (soprattutto il consumo tra giovani e giovanissimi) sia anche quello sulla cui tenuta strutturale dovrebbe investire attenzione e cura tutto il resto.
Anna Paola Lacatena
Sociologa e coordinatrice del Gruppo “Questioni di genere e legalità” della Società Italiana delle Tossicodipendenze (SITD)
27 giugno 2020
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