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Biosimilari sconosciuti a un malato di cancro su 2


Il primo sondaggio sui pazienti rivela che solo la minoranza sa cosa siano e l’85% non vuole sostituire il suo farmaco “originale”. I dati presentati oggi a Roma da Aiom, Sin, Favo e Aimac, che uniti chiedono norme certe e sistemi di sorveglianza.

07 LUG - I farmaci biosimilari sono già una realtà nella pratica clinica ma restano un’incognita per un malato di tumore su due. 6 pazienti su 10 non sanno dire se queste molecole, simili ma non uguali all’originale ‘biotech’, siano già disponibili in Italia e il 46% ignora i possibili effetti collaterali. In mancanza di informazioni certe, solo il 15% sarebbe però disposto a cambiare il farmaco biologico che assume con una “copia” se il medico glielo proponesse e appena l’8% ritiene il minor costo un motivo valido per sostituire la propria terapia. Sono i risultati del primo sondaggio nazionale sui pazienti promosso dalla Fondazione dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), in collaborazione con la Società Italiana di Nefrologia (SIN), la Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia (FAVO) e l’Associazione Italiana Malati di Cancro, parenti e amici (AIMaC) condotto nel giugno 2010 e presentato oggi a Roma.
 
L’indagine rientra in un più ampio percorso di sensibilizzazione sui biosimilari che le due Società scientifiche stanno sviluppando dal 2008. E, in 2 anni, molto è già stato ottenuto: è migliorata fra gli specialisti la conoscenza su cosa siano e quali caratteristiche presentino, più noti anche i possibili rischi. Per questo, l’85% è d’accordo con la norma già approvata in alcuni Paesi europei, ma non ancora in Italia, che impedisce la sostituibilità automatica, come invece accade per i ‘generici’.

“La nostra campagna informativa serve e funziona - afferma Francesco Boccardo, presidente della Fondazione AIOM – ma resta molta strada da compiere se un clinico su 5 ancora non sa darne una definizione o li confonde con gli equivalenti o ‘generici’. Invece presentano caratteristiche diverse ed un processo di sintetizzazione ben più complesso: per questo deve essere chiaro che è necessario un confronto del rapporto benefici/sicurezza, e non solo di prezzo, prima di decidere se utilizzare l’originale o il biosimilare”. “I pazienti esigono risposte e si stanno documentando – continua Francesco De Lorenzo, presidente FAVO e AIMaC –: oggi il 54% sa che non sono copie esatte come i generici, il 60% crede che duplicare un biologico non sia come replicare una molecola chimica e il 40% è consapevole che sono sotto stretta sorveglianza per la sicurezza. Il punto critico per noi non è biosimilari sì o biosimilari no. I malati pretendono norme chiare dal Parlamento, linee guida dalle Società scientifiche e sorveglianza da parte dei clinici per avere sempre farmaci efficaci, sicuri e possibilmente più economici”. Attualmente, spiegano le associazioni, in Italia l’unico disegno di legge in merito è fermo ed è opportuno che vi siano linee guida emanate dall’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa), in accordo con le Società Scientifiche, il cui rispetto è fondamentale per scoraggiare il comportamento più disparato delle Regioni. Il 94% degli oncologi e l’85% dei nefrologi ritiene sempre più urgente la creazione di un tavolo di lavoro comune sui biosimilari tra Istituzioni sanitarie, associazioni mediche, pazienti, aziende produttrici.

 
“Non ci sono più nefrologi che non sanno bene cosa siano i biosimilari – afferma Franceso Locatelli, past-president della SIN -, se infatti era il 15% nel 2008, oggi si tratta dell’1%. Il problema dell’informazione è estremamente importante sia per i malati che per gli specialisti. Per noi clinici le questioni prioritarie sono l’efficacia ma anche la sicurezza dei farmaci. Ciò significa possibilità di studi controllati: 9 nefrologi su 10 esigono trial di confronto per ogni diversa indicazione e tracciabilità delle molecole utilizzate”. “Le associazioni dei pazienti – aggiunge Elisabetta Iannelli, Vice Presidente FAVO e AIMaC - intendono informare e formare i malati e le loro famiglie sulle nuove opportunità terapeutiche, quali possono essere in taluni casi i biosimilari, per consentire una scelta consapevole ed una migliore compliance”. “Il prossimo obiettivo – spiega Francesco Cognetti, direttore del dipartimento di oncologia medica IRCCS Regina Elena di Roma, tra i coordinatori del progetto d’informazione sui biosimilari – è che il disegno di legge che giace in Parlamento venga rapidamente approvato, in modo da tutelare i malati e far sì che non prevalga la logica del risparmio su quella dell’evidenza scientifica e delle raccomandazioni di sicurezza emanate dalla stessa Agenzia europea Emea”.
Dall’indagine appena conclusasi, cui hanno aderito 356 pazienti, 639 oncologi e 211 nefrologi, emerge inoltre che 9 malati su 10 ritengono utile che venga indicato chiaramente sulle confezioni e sulle ricette che si tratta di un farmaco biosimilare e non del prodotto originale. “Il problema dei biosimilari è destinato ad ampliarsi – conclude Cognetti – dato che anche i brevetti delle prime molecole di target therapy utilizzate in oncologia stanno per  scadere. Per questo è urgente rafforzare l’impegno per l’informazione e quello dei ricercatori così che vengano condotti più studi di confronto su efficacia e sicurezza ed emesse quindi linee guida condivise da tutta la comunità dei clinici”.
 
 
 

07 luglio 2010
© Riproduzione riservata


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