La salute produce ricchezza, anche per questo serve una vera riforma
di Ivan Cavicchi
Per andare d’accordo con il pil quello che produce la sanità deve essere considerato una ricchezza. Se la sanità produce ricchezza cade il problema della compatibilità. Non ha senso che la ricchezza sia compatibile con la ricchezza. Per ricchezza non intendo solo quella prodotta con tutta l’industria para-medicale (farmaci, device, bio-tecnologie, ecc) ma intendo prima di tutto la produzione tout court della salute, dalla prevenzione alla cura
04 MAG - Riassunto: il dopo covid-19 vedrà la sanità con nuovi e pesanti problemi di sostenibilità (
QS, 27 aprile 2020). Siccome il modo di affrontare questo problema negli anni ha portato, la sanità al limite della controriforma, per non perdere la sanità pubblica, è necessario ridiscuterlo (
QS, 30 aprile 2020) mettendo in campo una “quarta riforma”.
Soprattutto per ragioni di fruibilità, considerando che le questioni che vorrei trattare sono tante, penso che sia meglio per chi legge, anche se il discorso è unico, divedere i suoi ragionamenti in due parti e quindi in due articoli.
Spesa e costo
Tutti conoscono la differenza che esiste tra il concetto di “spesa” e quello di “costo”:
- la prima è semplicemente unaassegnazione di risorse alla sanità decisa con delle leggi finanziarie o di bilancio,
- il secondo è la spesa necessaria per produrre risultati di salute acquistando e organizzando i mezzi di produzione necessari.
Tutti nostri guai nascono da tre idee che con il senno di poi si sono rivelate pessime, garantire:
- la sostenibilità della sanità pubblica intervenendo “solo” sulla quantità di spesa da assegnarle,
- la compatibilità tra spesa sanitaria e pil,
- il governo della spesa “solo” per via amministrativa quindi non solo escludendo il lavoro ma assumendolo come la principale controparte.
La ragione di ciò è piuttosto scontata: intervenire sulla spesa è più semplice soprattutto per politici economisti e amministratori che non intervenire sui costi:
- per la prima non serve nessun particolare conoscenza del sistema, è quasi una scelta esterna ad esso,
- per i secondi al contrario serve una profonda conoscenza del sistema, è una scelta interna, e obbliga quanto meno a quello che si definisce “
reengineering dei processi “cioè a “inventare” ciò che costa meno e da di più.
Sono 40 anni che garantiamo la compatibilità tra spesa sanitaria e pil tagliando sulla prima, contenendo, risparmiando, sotto-finanziando e privatizzando. Ricordo ancora, come se fosse adesso, la conversione in legge del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463,
“Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica”.
Era il governo Craxi, c’era il pentapartito e il ministro della sanità era Costante Degan. Da allora in poi non abbiamo fatto altro che contenere spesa.Per contenere meglio abbiamo fatto altre due riforme, abbiamo trasformato le usl in asl, abbiamo fatto i riordini e i piani di rientro, abbiamo provato senza riuscirci a fare la spending review, ma, dannazione, tutto sostanzialmente a costi strutturali invarianti.
Due esempi:
- abbiamo tagliato il numero dei posti letto senza mai intervenire sui costi strutturali del sistema ospedaliero perché da almeno un secolo il modello ribadito anche di recente dal dm 70 è sempre quello. Per non fare torto ai direttori generali aggiungo che negli ospedali grazie a loro (cioè a quelli bravi) si è risparmiato sugli acquisti, si sono ridotti gli sprechi, si sono razionalizzate alcune procedure, ma sempre a costi strutturali invarianti.
- Il definanziamento programmato, messo in discussione prima del covid-19, almeno nelle intenzioni, dal ministro Speranza, adottato dal governo Renzi nel 2014, era un’idea mitigata di tagli lineari, infatti non era altro che una riduzione progressiva della spesa sanitaria nel tempo al fine di ridurre la sua incidenza sul pil, ma sempre a costi strutturali invarianti.
I costi strutturali: oltre l’atto amministrativo e oltre il governo monocratico
Definisco “costi strutturali” quelli che, altri, definiscono “fissi”. Caratteristici di una struttura, di un modello, di un paradigma, essi:
- non sono facilmente modificabili nel breve termine,
- una volta che li hai determinati, quelli sono e quelli restano,
- si modificano modificando il modello che li spiega e li giustifica.
Quindi se si volesse fare sostenibilità, intervenendo non sulla spesa ma sui costi, sarebbe necessario avere per forza un pensiero riformatore cioè cambiare i modelli. Ma non solo. Governare i costi strutturali significa due cose:
- andare oltre l’atto di gestione puramente amministrativo,
- condividere il loro governo con chi con le loro prassi li determina cioè inventare un’idea di governo quanto meno co-partecipato.
Cambiare linea
Aver perseguito obiettivi di sostenibilità intervenendo solo sul contenimento della spesa ci ha fatto pagare un sacco di prezzi:
- il sistema è stato spinto verso la privatizzazione,
- tutto e tutti sono stati assoggettati ad un gestionismo ottuso, quasi censorio,
- la reputazione sociale dei servizi e delle professioni ma anche dei direttori generali è stata rovinata,
- i diritti delle persone sacrificati,
- le diseguaglianze storiche nel paese accentuate...
...ma, quel che è peggio, è che la politica di contenimento forzoso della spesa, dopo 40 anni non ha risolto la questione della sostenibilità cioè il problema del rapporto tra spesa sanitaria e pil.
Per il pil, almeno fino al covid-19, i sacrifici della sanità non sono mai bastati perché, per l’economia, che non è mai stata in buona salute, la sanità pubblica, ha sempre rappresentato una spesa per definizione incompatibile con il suo sviluppo. Oggi, dopo il covid-19, il discorso spero sia cambiato. Ma non è detto.
Non la faccio lunga, ma per me, dopo il covid-19, per affrontare la questione sostenibilità è necessario cambiare linea.
Basta:
- intervenire sulla spesa si intervenga sui costi,
- intervenire “sull’oneroso”, si intervenga sul “costoso” o meglio sull’inutilmente costoso e sul costoso ma costoso in altro modo,
- basta assoggettare le professioni a superati amministrativismi aziendali quindi basta aziende inventiamoci un’altra cosa per esempio delle belle “agenzie per la salute” a gestione diffusa,
- prendersela con i diritti, i costi si possono ridurre ripensando i modelli a parità di diritti,
- tagliare, bloccare, snaturare, sottofinanziare, ciò che si deve fare è cambiare, ripensare, reinterpretare, i modelli, quelli che abbiamo costano più di quello che potrebbero costare se ripensati.
Basta compatibilità
Oltre a cambiare l’oggetto da governare, dalla spesa ai costi, si tratta di uscire, come ho detto già tante volte, dalla logica della compatibilità tra spesa e pil. Cioè di emanciparci da una tirannia quella del pil.
Si tratta di trovare un modo per impedire che la sanità si adatti semplicemente ai problemi del Pil perché, ribadisco, se dopo il covid-19, ciò dovesse accadere la sanità rischierebbe la controriforma.
Come tutti sanno, perché spiegato ormai innumerevoli volte, un modo di ragionare diverso dalla compatibilità è quello che ho proposto di definire “compossibilità.
Essa come è noto è una politica diversa, e vale come la rimozione delle contraddizioni che esistono in un sistema tra economia e sanità, tra spesa e costi, tra organizzazioni e risultati, tra risultati e costo del lavoro, tra sanità e società, tra formazione e lavoro ecc.
Per rimuovere le contraddizioni bisogna cambiare tutto quanto le determina (organizzazioni, prassi, modi di fare, autonomie, retribuzioni, metodologie, formazione ecc.
Assumendo la contraddizioni come costi inutili, cioè alla stregua degli sprechi, la loro rimozione ha l’effetto di ridurre la costosità complessiva del sistema e quindi di rendere inutile qualsiasi politica di compatibilità ma anche di far funzionare meglio il sistema.
Rimuovere le contraddizioni vale come aumentare l’adeguatezza di un sistema sapendo che un sistema più adeguato è anche meno costoso e socialmente più accettabile.
Un sistema si definisce adeguato se ha un alto grado di compossibilità cioè se ha eliminato le tante e varie contraddizioni che sono al suo interno.
Guarda caso, la compossibilità è la strada principale per la riduzione dei costi strutturali. Il costo di un ospedale, ad esempio, si può ridurre ma solo perché si possono rimuovere le tante contraddizioni che sono al suo interno.
La salute quale ricchezza
Per andare d’accordo con il pil quello che produce la sanità deve essere considerato una ricchezza. Se la sanità produce ricchezza cade il problema della compatibilità. Non ha senso che la ricchezza sia compatibile con la ricchezza.
Per ricchezza non intendo solo quella prodotta con tutta l’industria para-medicale (farmaci, device, bio-tecnologie, ecc) ma intendo prima di tutto la produzione tout court della salute, dalla prevenzione alla cura.
Mi auguro che, dopo il covid-19, l’economia abbia imparato cosa voglia dire il valore economico della salute. Le pandemie uccidono tanto le persone che i sistemi economici. Oggi l’economia a meno di regredire con la privatizzazione a superate idee di “welfare on demand”, per prima cosa ha tutto l’interesse di riformare l’idea di sostenibilità e di uscire dalle politiche compatibiliste sulla spesa.
Sia la vecchia idea di prevenzione che il vecchio Ssn vanno riformati. (
QS, 20 aprile 2020). (
Fine prima parte).
Ivan Cavicchi
04 maggio 2020
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