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A proposito del nuovo Report della Ragioneria dello Stato…non si pensi a nuovi tagli

di Grazia Labate

Attenzione a pensare ad una riduzione del finanziamento pubblico, sarebbe il colpo di grazia per un servizio sanitario nazionale già messo a dura prova da oltre 30 miliardi di tagli dal 2012 a oggi. Se invece il report ci induce a riflettere su misure volte a qualificare la spesa sanitaria, contrastando inefficienze e sprechi in sanità, migliorando la qualità e l’accessibilità ai servizi, ma senza troppe illusioni sui risparmi possibili, allora è bene riqualificare la spesa ed investire

13 SET - Nel 2018 la spesa sanitaria è arrivata a 116 miliardi di euro Ma a crescere è anche il disavanzo delle Regioni. Sale anche la spesa sanitaria privata che arriva a oltre 32.  Attualmente il livello del finanziamento del Servizio sanitario nazionale a cui concorre lo Stato è: 114.439.000.000 euro per l'anno 2019; 116.439.000.000 euro per l'anno 2020; 117.939.000.000 euro per l'anno 2021; salvo eventuali modifiche che si rendessero necessarie in relazione al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica e a variazioni del quadro macroeconomico.

L’Italia è al “quarto posto” dei Paesi Ocse per aspettativa di vita, con 82,8 anni nel 2018. A sottolinearlo oltre all’ISTAT è l’Ocse, l’organismo internazionale per lo sviluppo e la cooperazione economica nel rapporto Panorama della Salute 2018 (“Health at a Glance”). Per l’Ocse, questo solleva diverse sfide legate all’invecchiamento.

Spendiamo meno e forniamo una copertura Universale.

Il paese spende 3.400 dollari l’anno pro capite per la salute, meno della media Ocse che è di 4.000 dollari e nel suo insieme la spesa sanitaria è pari all’8,9% del Pil, in linea con il 9% Ocse. Infine, il sistema sanitario in Italia offre una «copertura universale» e i costi sono generalmente «più bassi» rispetto ad altri Paesi Ocse.

Di cosa ci ammaliamo e quali sono le cause di morte?
Su 645mila decessi registrati nel 2018, il 36,8% sono causati da malattie cardio-circolatorie, il 29,9% dai tumori e il 15% da malattie respiratorie, endocrine, nutrizionali e metaboliche. Al 6° posto come causa di morte vi è il morbo di Alzheimer. Sono circa 3 milioni le persone affette da diabete, a cui si deve aggiungere un altro milione di casi non ancora diagnosticati.

E’ in atto almeno da un quinquennio un profondo monitoraggio del sistema. Ciò ha permesso, nel 2017, dopo 17 anni, di aggiornare in modo razionale e migliorativo l’elenco dei LEA e delle prestazioni diagnostiche, ha permesso di introdurre prestazioni più innovative; Pianificare un piano di edilizia ospedaliera di 32 miliardi di euro, di cui 12 nelle zone terremotate o a rischio sismico; Ora questo piano deve partire non si può più attendere oltre.
Il rapporto medico-paziente nell’era digitale in Italia, non è ancora molto sviluppato: secondo un’indagine condotta dall’Eurispes (2018) il 52,3% degli intervistati, infatti, non ha mai consultato la rete riguardo i propri disturbi, il 41,6% lo ha fatto e in seguito si è recato dal medico, solo il 6,1% ha consultato il medico via internet.

Il Documento di economia e finanza 2018 aveva previsto una spesa sanitaria corrente pari a 114.138 milioni di euro con una incidenza sul PIL del 6,7% e un tasso di crescita dell'1,4% rispetto al 2017.

L'incremento stimato è sceso allo 0,8% nel 2019 e scende anche l'incidenza sul PIL che si assesta al 6,5% con una spesa sanitaria pubblica complessiva stimata in 115.068 milioni di euro.

Nel triennio 2018-2020 è invece previsto che la spesa sanitaria cresca ad un tasso medio annuo dell'1,3%, mentre nello stesso arco temporale il PIL nominale dovrebbe crescere in media del 2,9%. Il rapporto spesa sanitaria / PIL decresce e si attesta, alla fine dell'arco temporale considerato (2020), ad un livello pari al 6,4%. La Nota di aggiornamento al DEF (pag. 47) aveva ulteriormente abbassato le stime relative al biennio 2019-2020: infatti l'incidenza della spesa sanitaria sul PIL nel 2019 è stata valutata pari al 6,4%, nel 2020 pari al 6,3%. Ma quelle previsioni di crescita non ci sono più, siamo in stagnazione. Che succede allora? E’ inoltre in agguato l’invecchiamento della popolazione. Secondo le proiezioni contenute nel Def, la sola componente socio assistenziale della Long Term Care dopo una fase iniziale di stabilità, crescerà in termini di Pil fino al 2050 quando raggiungerà l’1,5 per cento. A livello nazionale la spesa per prestazioni “comprate” dal settore pubblico da privati è pari, al 20,9%, in aumento del 17,8% dal 2012.

Significa che un quinto della spesa sanitaria nazionale acquista da strutture non pubbliche. Cresce la spesa sanitaria a carico delle famiglie. Ma in alcune Regioni, questa percentuale è superiore alla media, in Lombardia in primis, con il 29,9%,  in Lazio con il 27,8%, in Molise con il 24,1% e in Sicilia e Puglia con il 23,5%.

Particolarmente bassa, è la spesa sanitaria toscana destinata ai privati con solo il 12,5%.

Il caso della spesa sanitaria della Lombardia è il più particolare, è infatti la regione con la maggiore porzione di spesa dedicata ai rimborsi verso i privati, ma è una Regione, dal punto di vista dei bilanci, virtuosa. La spesa a carico delle famiglie è cresciuta fino a 37 miliardi, un quarto dell’intera spesa sanitaria nazionale stando ai dati Istat.

Perché cresce?
Ricorrere a soluzioni alternative è spesso inevitabile, considerando le lunghe liste d’attesa e il limitato accesso ad alcune prestazioni che caratterizzano il sistema pubblico.

L'indagine conoscitiva del Parlamento sulla sostenibilità del Sistema Sanitario Nazionale nella precedente legislatura aveva dipinto un panorama complesso e variegato, in cui si evidenziavano come criticità:
- La scarsità di politiche di prevenzione per fasce dì età e per patologie rilevanti; 
- Le politiche di taglio alla spesa a far data dal 2008;
- Il blocco delle assunzioni del personale medico e delle altre figure professionali non mediche;

Inoltre essa richiamava l’attenzione del Parlamento sul fatto che la filiera della salute vale da sola l’11% del PIL e deve essere vista come un’opportunità di sviluppo del Paese e non più come mera voce di spesa.

Che cosa avremmo dovuto fare?
- recuperare la scarsità di innovazione tecnologica e superare l’obsolescenza strutturale di presidi e strutture;
- implementare l’efficienza organizzativa, con l’adozione di tecnologie informatiche a tutto campo;
- ricercare l’equilibrio tra domanda e offerta, soprattutto nel campo della riabilitazione e dell’assistenza domiciliare;
- un serio ed efficace piano delle cronicità.

Non ci siamo riusciti, costretti come siamo stati ogni anno a presidiare le risorse pubbliche e a puntare sulle risorse umane, cercando di affrontare come abbiamo fatto il tema del rinnovo contrattuale che languiva da oltre 10 anni.

Ora abbiamo il Report della ragioneria generale dello stato, attenzione a pensare ad una riduzione del finanziamento pubblico, sarebbe il colpo di grazia per un servizio sanitario nazionale già messo a dura prova da oltre 30 miliardi di tagli dal 2012 a oggi.

Se invece il report ci induce a riflettere su misure volte a qualificare la spesa sanitaria, contrastando inefficienze e sprechi in sanità, migliorando la qualità e l’accessibilità ai servizi, ma senza troppe illusioni sui risparmi possibili, allora è bene riqualificare la spesa ed investire.

In altre parole, la spending review “è cosa buona e giusta” se i risparmi restano nel sistema sanitario, per offrire i livelli essenziali di assistenza, oggi non sempre  garantiti soprattutto al sud del paese, per garantire le vere innovazioni necessarie, per ridurre i numerosi “balzelli” sulla salute: non solo ticket e le aliquote IRPEF alle stelle nelle Regioni in Piano di Rientro, ma anche lo sgradevole obolo da versare per le lunghe  liste d’attesa, ovvero i pagamenti per prestazioni intramoenia o private.

Non è un caso che la spesa sanitaria privata continua ogni anno a crescere.

A ben guardare i nostri dati si può notare il peso della cosiddetta medicina difensiva, in particolare contro esami diagnostici totalmente inutili, che costano 13 miliardi l'anno, a volte prescritti per evitare cause da parte dei malati.

Ma anche qui, occorre con i medici partire subito per stendere i decreti attuativi della legge Gelli, per garantire al medico che non sarà denunciato per non aver prescritto quella TAC o quella serie di analisi.

 L’espansione della medicina difensiva è avvenuta in un contesto culturale, professionale e sociale condizionato dall’imperativo more is better: i sistemi sanitari di tutti i Paesi industrializzati si sono progressivamente ipertrofizzati per offrire un numero sempre maggiore di prestazioni diagnostico-terapeutiche, che incrementano la spesa sanitaria e aumentano la soddisfazione di cittadini e pazienti, spesso senza migliorarne lo stato di salute.
Inoltre, gli stessi sistemi sanitari hanno costruito perverse logiche di finanziamento e incentivazione di aziende sanitarie e professionisti, basate sull’aumento della produzione e non sull’appropriatezza delle prestazioni.

Dal canto loro i medici, ispirati dal modello ippocratico, avvertono il dovere professionale di aiutare i pazienti sfruttando l’intero armamentario a loro disposizione, perché morte e malattia devono sempre essere combattute a ogni costo.

Tuttavia, decisioni e prescrizioni non sono immuni da conflitti di interesse oggi alimentati da vari fattori: seduzioni dell’industria farmaceutica e tecnologica, organizzazioni sanitarie che incentivano la produzione di servizi, reciproca solidarietà tra colleghi che genera offerta e induce domanda.

Pertanto, se è indubbio che il timore di conseguenze medico-legali per aver tralasciato qualcosa spinge i professionisti a prescrivere ogni possibile test diagnostico e a mantenere un approccio terapeutico molto aggressivo, è altrettanto vero che la medicina difensiva si configura spesso come un mero paravento per giustificare molte inappropriatezze prescrittive.

Se così non fosse, i contenziosi da eccessi diagnostici e terapeutici non sarebbero in costante ascesa, testimoniando che la medicina difensiva, di fatto, non riesce nemmeno a raggiungere il suo obiettivo primario.

Questo panorama estremamente variegato è completato da un contesto socio culturale a cui i pazienti si aggrappano perché il sistema, la maggiore conoscenza attraverso internet, il navigare sulla salute sui vari siti, aumenta le loro aspettative nei confronti di una medicina mitica e di una sanità infallibile.

Infatti, consistenti evidenze dimostrano che i pazienti tendono a sovrastimare i benefìci e a sottostimare i rischi degli interventi sanitari: questo rende insostituibile il ruolo del medico nel fornire al paziente informazioni bilanciate su rischi e benefìci degli interventi sanitari, permettendogli di sviluppare aspettative realistiche e prendere decisioni realmente informate, diminuendo il ricorso alla medicina difensiva e ai conseguenti sprechi.

A parte i costi standard e le centrali di acquisto, quali sono gli sprechi e le inefficienze più macroscopiche, nella gestione della nostra sanità? 
Sovra-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie inefficaci o inappropriate (7,69 miliardi di euro). - Frodi e abusi (5,13 miliardi di euro).  - Tecnologie sanitarie e beni e servizi non sanitari acquistati a costi eccessivi (4,10 miliardi di euro).  - Sotto-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie efficaci e appropriate (3,08 miliardi di euro).  - Complessità amministrative (3,08 miliardi di euro). - Inadeguato coordinamento dell'assistenza tra vari setting di cura (2,56 miliardi di euro).

Studi che vanno dal rapporto Gimbe al rapporto OASI fino a Meridiano sanità, testimoniano dove e come si può efficientare il sistema riducendo costi e sprechi.

Ma va detto che buona parte degli sprechi non sono eliminabili in tempi brevi, perché fortemente radicati nel sistema, in particolare quelli conseguenti a una ipertrofia dell’offerta di servizi e prestazioni sanitarie.

La sanità italiana è la meno finanziata in Europa, rispetto al PIL: ci supera perfino la Grecia. Il progressivo spostamento dei costi sui cittadini, attraverso ticket o prestazioni non rimborsabili, quali scenari potrebbe aprire in un Paese in cui, secondo l'Istat, quasi il 10% della popolazione ha già smesso di curarsi perché non ha soldi per medicinali e visite specialistiche?

La riduzione delle prestazioni sanitarie pubbliche, considerata la scarsa comprimibilità della domanda, ed anzi il suo aumento, visto l’invecchiamento della popolazione e le multi patologie presenti negli anziani cronici fino alla non autosufficienza, sposta i loro costi sulla spesa privata, con la rinuncia ad altri consumi.
Tuttavia, il dato ISTAT conferma che il portafoglio dei cittadini non basta per coprire i bisogni sanitari non più soddisfatti dal sistema pubblico, determinando tre potenziali conseguenze: ci si potrebbe curare sempre di meno peggiorando il livello generale di salute; potremmo assistere a una crescente competizione tra “poveri” per le prestazioni pubbliche residue, determinando l’involuzione di un diritto costituzionale in concessione di favori; infine, il progressivo aumento della sanità integrativa se non regolamentato e finalizzato ad una corretta integrazione di sistema potrebbe aumentare le diseguaglianze sociali.

In ogni caso, le cure odontoiatriche non incluse nei livelli essenziali di assistenza, e le visite specialistiche anche a seguito dei lunghi tempi d’attesa fanno la loro parte nell’aumento costante della spesa privata.  Se il vero obiettivo è spendere meglio in sanità, cittadini e pazienti devono diventare protagonisti attivi del processo di cura e non semplicemente “destinatari” di prescrizioni e consumi per soddisfare le esigenze del mercato della salute.
In particolare, sono indispensabili interventi sociali e culturali di sistema per informare adeguatamente i cittadini sull’efficacia, sicurezza e appropriatezza degli interventi sanitari.

Non dobbiamo dimenticare che le tristi vicende Di Bella e Stamina rappresentano solo la punta dell’iceberg di quell’asimmetria informativa tra il mondo della ricerca e quello della sanità, che genera aspettative irrealistiche nei cittadini nei confronti di una medicina mitica e di una sanità infallibile.
Ora il nuovo governo deve fare.

Risorse appropriate per una sanità appropriata. Ciò che non si può continuare a fare sono le famose indagini conoscitive, che vanno bene se servono a decidere, ma che rimangono lettera morta, come spesso è avvenuto nel Parlamento di questo paese. Sennò tutto appare propaganda, se non demagogia o peggio pubblicità ingannevole.
 
Grazia Labate 
Ricercatrice in economia sanitaria, già sottosegretaria alla sanità

13 settembre 2019
© Riproduzione riservata


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