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Se Rbm Salute indossa l’eskimo per proporre la privatizzazione della sanità

di Luca Benci

Le proposte finali, seppure nel surrettizio linguaggio di sinistra, sono chiare: mutue per tutti e privatizzazioni. Attenzione l’eskimo è sempre a portata di mano: le mutue sono “fondi” e la privatizzazione è il “secondo pilastro”. Nomi oggi con più allure, ma con identica sostanza. I media ci sono sempre caduti: ricordiamo la fake-news dei 12 milioni di malati che rinunciavano alle cure di due anni fa che ha costretto lo stesso Ministero della salute, dati Istat alla mano, a intervenire

16 GIU - Il linguaggio non è mai neutro. In genere le parole utilizzate accompagnano le intenzioni di chi le pronuncia. Talvolta però le mascherano. E’ il caso del lessico utilizzato dall’ultimo rapporto Rbm-Censis nell’ambito del c.d. “Welfare day”. Cominciamo con delle precisazioni. Rbm salute S.P.A. è una compagnia assicurativa attiva da oltre dieci anni nel “settore salute” che sostiene di essere la leader del settore per “raccolta premi e per numero di assicurati”. Non nutriamo alcun dubbio che sia così. E’ una società privata che ha come fine il lucro – del tutto lecito - dei propri azionisti.
 
Il Censis invece è una fondazione che si occupa di ricerche di carattere socio economico da decenni e che deve in gran parte la propria autorevolezza per l’annuale “Rapporto sulla situazione sociale del Paese”. Da oltre dieci anni Rbm e Censis, in una giornata che denominano “Welfare day®” (è un vero e proprio marchio registrato), presentano un rapporto sullo stato di salute del Servizio sanitario nazionale.

Welfare come termine ricorda inevitabilmente il Welfare State cioè uno Stato che attraverso politiche di redistribuzione del reddito, interviene per limitare gli effetti diseguali che l’economia di mercato inevitabilmente provoca. Nasce, quindi, all’interno delle politiche statuali per introdurre elementi di politica solidaristica ed egualitaria.

Dopo essere andato in disuso per almeno due decenni – quanto meno dalle politiche liberiste degli anni ottanta introdotte a livello planetario da Ronald Reagan e da Margaret Tachter (e dai loro epigoni) – il termine welfare è tornato prepotentemente di moda cambiando sostanzialmente il proprio DNA: dapprima con un welfare “aziendale” rivolto ai manager con la costruzione di una politica del privilegio dovuta a dei “benefit”, come valore aggiunto per la upper class, per le classi dirigenziali nostrane. In tempi più recenti il welfare aziendale si “democratizza” con gli accordi con le organizzazioni sindacali e si estende a una platea più ampia. Per allargare gli affari – leciti come abbiamo detto – bisogna però rivolgersi a una platea ancora più ampia in un rinnovato concetto di “welfare” riassumibile sostanzialmente nell’obiettivo “una polizza per tutti”.

Ritorna a questo punto il problema comunicativo. Per vendere un prodotto che da élite diventa “popolare” Rbm Spa si mette l’eskimo e utilizza un linguaggio tradizionale di sinistra.

Ecco allora che cita l’amatissimo e insostituibile articolo 32 della Costituzione che declina la salute come “diritto fondamentale dell’individuo”, che parla di “prevenzione e di cura”, che riconosce che il Servizio sanitario nazionale “è lo strumento attraverso il quale viene attuato il diritto alla salute sancito dalla Costituzione”. Rbm Spa ci ricorda che in questi anni è cresciuto un sistema sanitario “auto-organizzato” – autoorganizzazione e autogestione sono termini tradizionalmente cari al sindacalismo di base e ai centri sociali – che fa aumentare le “disuguglianze e colpisce i malati, i più fragili ed i più deboli”.
 
Ecco allora che si offre la soluzione del problema delle gravi disuguaglianze di salute. Si potrebbe pensare a una redistribuzione diversa del reddito, a un sistema fiscale più progressivo, a un’imposta patrimoniale nei confronti della popolazione più abbiente da dedicare a garantire il diritto alla salute e ad altre politiche coerenti. Invece no, la soluzione è a portata di mano: la Spesa Sanitaria Privata (proprio così con tutte le maiuscole come iniziali). E’ il “nodo irrisolto” ed è l’elemento che si candida a essere “un elemento sempre più caratterizzante del percorso di cura degli italiani”. Poi quasi a pentirsi di questo precoce disvelamento di intenzioni (pag. 3 del rapporto) del tutto tipico per una società per azioni, reindossa l’eskimo e analizza con dispiacere la “perdita di quote di universalismo”, l’iniquità del sistema fiscale e di compartecipazione della spesa, fino a recuperare un lessico mutuato dal padre nobile indiscusso della teorizzazione dei diritti parlando di “migranti della salute” (“migranti di diritti” scriveva Stefano Rodotà).

Ogni tanto si rimette il doppiopetto manageriale più conforme a una S.P.A. e certifica la “fine del monopolio pubblico in sanità” dovuto anche alla “richiesta di risposte assistenziali sempre più personalizzate” che ovviamente il “pubblico” non è in grado di dare. Poi dà l’impressione di essersi ormai rimessa definitivamente gli abiti sartoriali da Consiglio di amministrazione con una diapositiva immancabile sulle false notizie – che nel welfare day non possono che seguire la vulgata alla moda delle “fake-news” – sulla sanità privata integrativa, edulcorandola lessicalmente in “secondo pilastro”.
 
Respinge con sdegno il fatto che la fiscalità di vantaggio accordata (più di due miliardi annui che in realtà, come riportato dal rapporto Gimbe sono almeno 3 miliardi e 300 milioni, per altro sottostimati), sottragga pazienti e risorse al Servizio sanitario nazionale e, soprattutto, respinge l’inappropriatezza in quanto le prestazioni sanitarie da parte delle “Forme Sanitarie Integrative” (anche questa volta tutte le iniziali in maiuscolo) è sempre subordinata alla presenza di una “prescrizione medica recante quesito diagnostico e patologia”. Se la pura presenza della prescrizione medica fosse indice di appropriatezza avremmo risolto il problema della inappropriatezza…

Alla fine – pagina 51 – reindossa l’eskimo e si ributta a sinistra. Si riparla di “universalismo, uguglianza e sostenibilità” ovviamente con la soluzione del “Secondo Pilastro Sanitario Complementare” (sempre in maiuscolo ça va sans dire), di “raddoppiare il diritto alla salute” auspicando un “Welfare di Cittadinanza” (questa volta utilizzando un linguaggio tipico del Movimento 5 Stelle che, d’altra parte è al governo…).
 
Le proposte finali, seppure nel surrettizio linguaggio di sinistra, sono chiare: mutue per tutti e privatizzazioni. Attenzione l’eskimo è sempre a portata di mano: le mutue sono “fondi” e la privatizzazione è il “secondo pilastro”. Anche in questo caso il linguaggio regna sovrano: “mutue” e “privatizzazioni” evocano ormai concetti negativi: le prime ricordano il fallimento delle mutue sanitarie del novecento e le privatizzazioni non hanno mai avuto esiti felici nel nostro Paese. Utilizzare “fondi” e “secondo pilastro” in luogo di mutue e privatizzazioni ricorda quei ristoranti che cambiano tutto affinché nulla cambi: da “cucina casalinga” si sono ridenominati – senza ovviamente convertirsi – in “cucina del territorio” o in “cucina della tradizione”. Nomi oggi con più allure, ma con identica sostanza.

Il tutto accompagnato dalla più classica delle richieste: la fiscalità di vantaggio da riconoscersi solo alle spese “intermediate” (con le assicurazioni quindi) nel superiore interesse collettivo – non di Rbm Spa ovviamente… – di raddoppiare il diritto alla salute con una sanità integrativa (le minuscole sono solo mie…) “diffusa, equa e sostenibile” a favore, ovviamente, dei “cittadini malati o più deboli”.

Nessun cenno ai conflitti di interesse – nel rapporto Gimbe presentato qualche giorno prima abbiamo apprezzato la disclosure contenuta nella seconda slide di assenza di conflitti – che una società leader del mercato assicurativo ha inevitabilmente, in un documento che ha come finalità la promozione della privatizzazione, perché di questo si tratta. Il rapporto Rbm Spa e Censis è un inno alla promozione della privatizzazione!

A vedere le rassegne stampa molti media ci sono caduti rilanciando i contenuti del rapporto che vengono veicolati dal linguaggio che abbiamo analizzato. I media in verità ci sono sempre caduti: ricordiamo la vera fake-news dei dodici milioni di malati che rinunciavano alle cure nel rapporto Rbm di due anni fa che ha costretto lo stesso Ministero della salute, dati Istat alla mano, a intervenire (era un’indagine fatta su un’intervista telefonica a un campione 1000 persone…). Stessa informazione veicolata lo scorso anno sui sette milioni di italiani che si sarebbero indebitati vendendo addirittura la propria abitazione. Il messaggio emergenziale è fondamentale: incutere timore per vendere sicurezza (le polizze! I fondi!).
 
“E poi dice che uno si butta a sinistra!”
Totò e i Re di Roma

Luca Benci
Giurista 


16 giugno 2019
© Riproduzione riservata


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