Rapporto ospedalità privata. L’universalità del Ssn è in crisi, serve un patto per un Neo-Welfare
di Ester Maragò
Aumenta l’insoddisfazione per l’accesso ai servizi, che risulta essere sempre più difficile ed economicamente costoso. I pazienti e le loro famiglie reagiscono al logoramento delle prestazioni pubblico cercando strade alternative. Questi i dati del 15° Rapporto dell’Ospedalità privata secondo il quale bisogna dare vita a un patto per un Neo-Welfare. E l’Ospedalità privata si propone fra i protagonisti della sanità del futuro. LA SINTESI DEL RAPPORTO
17 GEN - Le condizioni di accesso e di utilizzo delle strutture e dei servivi continuano a peggiorare, e i pazienti e le loro famiglie, sempre più insoddisfatte, reagiscono al logoramento progressivo delle prestazioni del sistema sanitario pubblico con strategie alternative. Il 41% continua a ricorre a strutture private accreditate, e chi può a cliniche private (il20%).
Soprattutto, sempre più i pazienti e famiglie (il 47%) hanno iniziato a prendere in considerazione la possibilità di rivolgersi a strutture ospedaliere di altre Regione o estere. Una ricerca di strade alternative per accedere ai servizi ospedalieri avvalorata dal ricorso improprio al pronto soccorso utilizzato come passe-partout per risolvere bisogni immediati. E tra le strategie alternative, c’è anche quella della spesa out of pocket. Insomma, anni di tagli al Ssn hanno lasciato un segno di difficoltà crescente ad assicurare, nei fatti, l’universalità nell’accesso alle prestazioni.
A scattare la fotografia di un Ssn sempre più in “deflazione” è il 15° Rapporto Annuale “Ospedali & Salute/2017”, presentato questa mattina a Roma, realizzato dalla società Ermeneia e promosso dall’Aiop, l’Associazione Italiana Ospedalità Privata, che propone un nuovo Patto sul Welfare, perché “quello basato sui principi di universalità e di solidarietà, di cui abbiamo goduto per quasi quarant’anni è oggi significativamente indebolito e corre il rischio di subire una seria rottura”.
Un patto per un Neo Welfeare tra sistema pubblico, sistema assicurativo, sistema delle rappresentanze aziendali e dei lavoratori, singoli cittadini e famiglie, basato su alcuni passaggi strategici: dallaprofonda ristrutturazione e riorganizzazione della macchina sanitaria, con una nuova visione della governance soprattutto della rete di erogatori di diritto pubblico, fino alla rivalutazione dell’erogazione delle prestazioni, con tariffe corrette e valide per tutti; dalla possibilità di ripristinare la possibilità per le Regioni di avvalersi dell’Ospedalità privata accreditata fino alla possibilità rendere reale la libertà di scelta del cittadino, di farsi curare dove ha fiducia, senza vincoli e barriere burocratiche.
Per questo, ha affermato
Gabriele Pelissero, Presidente nazionale Aiop: “Ci aspettiamo ora una legislatura riformatrice della sanità e non una semplice gestione. Ma serve una cultura nuova e l’Aiop si mette a disposizione per creare questa cultura riformatrice. Siamo una straordinaria risorsa per il Ssn, una realtà capace di adattarsi ai futuri scenari, in grado di investire e raccogliere capitali offrendo prestazioni di qualità. Noi saremo sempre in prima fila per sostenere l’universalità”.
“Nell’incertezza del futuro, la presenza in Italia di una grande rete di erogatori ospedalieri di diritto privato rappresenta un vantaggio rilevante per il Ssn, un’opportunità preziosa per erogare prestazioni con elevati livelli di efficienza e una riserva di operatività nell’eventualità di crisi produttive nel comparto a gestione pubblica – ha spiegato il Presidente nazionale Aiop nella sua
Relazione – tutto questo è molto, ma non basta, perché senza l’adozione di politiche sanitarie adeguate, la rete Aiop, integrata dagli altri operatori ospedalieri di diritto privato, non sarà da sola sufficiente a garantire l’universalità delle prestazioni. Un ulteriore importante vantaggio per la sanità italiana, che deriva da questa presenza – ha aggiunto – è dato dalla indubbia capacità di questa rete di aziende di adattarsi all’evoluzione dei modelli organizzativi, modificando il proprio assetto gestionale e conservando, entro limiti ragionevoli, la capacità di investire sul cambiamento. Questa flessibilità, conseguenza del pluralismo degli erogatori che si è affermata nel nostro Ssn rappresenta un valore per tutto il Paese. L’auspicio è che di questo valore siano sempre più consapevoli i governi nazionali e regionali, su cui incombe il dovere di garantire la salute dei cittadini”.
Il Rapporto in sintesi
Come ogni anno il Rapporto fa il punto sul sistema ospedaliero del Paese, cercando di individuare i più importanti processi in corso, a partire innanzitutto dal punto di vista degli utenti e dei cittadini per poi analizzare alcune tensioni e/o disfunzioni della “macchina” di offerta dei servizi di protezione della salute.
Accesso ai servizi: cresce l’insoddisfazione. Nel 2017 rispetto al precedente triennio si assiste a un ulteriore peggioramento delle condizioni di accesso e di utilizzo delle strutture e dei servizi da parte dei pazienti e delle loro famiglie. L’insoddisfazione verso il sistema sanitario della propria Regione sale dal 21,3% nel 2015 al 32,2% nel 2017 (che però diventa il 51,3% nel Mezzogiorno) e parallelamente l’insoddisfazione nei confronti degli ospedali sale, in un solo anno, dal 22,7% al 30,2% (ma arriva al 50,6% nel Sud). La scarsa e/o nulla sensazione di “essere messi al centro” come pazienti lievita a sua volta dal 19,3% del 2014 al 32,4% del 2017 (ma al 41,3% nel Mezzogiorno). Vacilla anche il rapporto con il medico di medicina generale perché non in grado di indirizzare adeguatamente il paziente (gli soddisfatti passano dal 27,3% al 32,9% nel triennio).
Cresce l’insoddisfazione anche a causa liste di attesa: si è passati dal 24,2% degli intervistati che nel 2014 hanno dovuto aspettare al 54,1% nel 2017. Inoltre, nel 2017 il 26,8% degli intervistati sostiene di aver rimandato e/o rinunciato alle cure, ma il 20% di essi aveva già rimandato o rinunciato nel 2016, mentre il 16,5% lo aveva fatto anche nel 2015.
Le strategie di reazione “a tutto tondo” per arginare il logoramento delle prestazioni del sistema pubblico. Per reagire ai disagi, caregiver e pazienti hanno iniziato a mettere in atto strategie alternative.Negli ultimi tre anni si stabilizza il ricorso ad ospedali privati accreditati o a cliniche private a pagamento, a causa dei disagi vissuti nelle strutture pubbliche: il 41% dei caregiver intervistati ha infatti dichiarato di essersi orientati verso una struttura ospedaliera privata accreditata, mentre il 20% a una clinica privata a pagamento. Nel 2017, il 47,7% degli intervistati ha ammesso di aver preso in considerazione la possibilità di ricorrere a strutture ospedaliere presenti in altre regioni rispetto a quella di residenza (la pensava così nel 2016, solo il 28,2% degli intervistati). Un orientamento, sottolinea il Rapporto, confermato dai dati oggettivi della mobilità sanitaria, espressa attraverso il numero dei ricoveri extraregione sul totale dei ricoveri nazionali che sale dall’8,2% del 2010 all’8,9% del 2014 e al 9,2% del 2015, mentre diminuisce il totale dei ricoveri nella misura del 18,7%. Aumenta anche la propensione a recarsi verso strutture situate in altri Paesi dell’Unione Europea (dal 14,1% del 2013 al 18,5% del 2017).
Escamotage Pronto soccorso.Accanto a queste strategie si aggiunge anche un uso (non di rado improprio) del Pronto Soccorso da parte dei cittadini quale strada alternativa di accesso ai servizi ospedalieri: i cittadini dichiarano infatti di preferire di rivolgersi ad uno specialista ospedaliero o privato così risulta più semplice effettuare analisi, accertamenti o farsi ricoverare (59,2%) o addirittura ammettono di scegliere la “scorciatoia” del Pronto Soccorso qualora non trovino una risposta adeguata e/o rapida nell’ambito della medicina territoriale (43,9%), ma anche se le liste di attesa per le visite specialistiche, gli accertamenti diagnostici o i ricoveri siano troppo lunghe (26,8%) o addirittura scelgono di rivolgersi sin dall’inizio al Pronto Soccorso ospedaliero piuttosto che ai servizi Asl “per non perdere tempo” (19,7%).
Spese sanitarie e assistenziale out-of-pocket in costante aumento negli ultimi 10 anni:
40 mld di spesa. Ma la strategia di reazione dei caregiver ha dato vita ad altri comportamenti alternativi, tra cui vale la pena sottolineare il ricorso crescente alle spese sanitarie out of pocket. Queste, nell’ultimo decennio, sono cresciute del 22,4%, mentre nello stesso periodo la spesa sanitaria pubblica è lievitata solo del 14,2%. L’accelerazione della spesa sanitaria out of pocket è particolarmente evidente negli ultimi tre anni, proprio in corrispondenza della crescita del razionamento di servizi da parte della sanità pubblica.
Da un’indagine condotta da Ermeneia su circa 2mila care giver relativa a 15 voci specifiche di spesa out-of-pocket è emerso che: il 77,4% dei care-giver ha dichiarato di aver sostenuto una o più spese sanitarie e/o assistenziali negli ultimi dodici mesi pur avendo avuto accesso ai servizi delle strutture pubbliche e/o private accreditate. Quasi 20 milioni di famiglie, con una spesa totale dichiarata di 13 miliardi di euro di cui 9,9 per spese sanitarie e 3,1 per spese assistenziali. Il 66,7% dei care-giver ha dichiarato a sua volta di aver sostenuto delle spese sanitarie e/o assistenziali per sé o per i propri familiari negli ultimi dodici mesi per accedere a servizi di tipo privato a pagamento pieno: si tratta in questo casa di 17,2 milioni di famiglie coinvolte, con una stima di spesa pari a quasi 19 miliardi di euro di cui il 16,5 miliardi di euro per spese sanitarie e 2,5 miliardi di euro per spese assistenziali.
“In realtà la stima del totale delle spese sostenute – spiega
Nadio Delai, presidente di Ermeneia il Rapporto – sulla base delle dichiarazioni dei care-giver, sale a quasi 40 miliardi di euro qualora si valuti in maniera più precisa il costo effettivo delle badanti, che va ben al di là di quanto si può ricavare dalle risposte degli intervistati (pari a 3.016 milioni di euro) e che invece risulta, secondo i calcoli effettuati ad hoc, pari a 10.700 milioni di euro (con una differenza in più pari a 7.684 milioni di euro)”.
Ammontano a 7,6 miliardi di euro i ticket pagati dagli italiani. Un dato emerso dal rapporto è quello degli oneri sostenuti dalle famiglie per ticket e compartecipazioni varie alla spesa per l’accesso ai servizi pubblici (farmaci, analisi di laboratorio, accertamenti diagnostici, visite specialistiche, accesso al Pronto Soccorso, prestazioni intramoenia) che ammonterebbero secondo le stime realizzate da Ermeneia a 7,6 miliardi di euro. Cifra calcolata aggiungendo ai dati ufficiali (che comprendono ticket per farmaci, visite e prestazioni specialistiche, e attività in intramoenia) quelli stimati da Ermeneia e relativi a ticket su analisi e e accertamenti diagnostici per i quali probabilmente bisogna accontentarsi delle stime effettuate in base all’indagine sui
care-giver in quanto non esistono dati ufficiali in proposito.
“Una cifra dunque che va ad aggiungersi alle risorse del Fondo Sanitario Nazionale – aggiunge Delai – nell’anno 2016 quest’ultimo era pari a 113,7 miliardi di euro, si dovrebbero aggiungere i 7,6 miliardi appena ricordati che porterebbero, con un incremento del 6,7%, a 121,3 miliardi il budget reale, comprensivo dell’apporto fornito dai pazienti e dalle loro famiglie”.
Quanto alle ragioni dichiarate dai caregiver per le spese sanitarie out-of-pocket sostenute, si trovano al 1° posto le liste di attesa troppo lunghe (46,5%), al 2° posto i farmaci non più prescrivibili oppure quelli che si acquistano perché è più rapido farlo direttamente senza passare dal medico di base (31,7%) oppure, al 3° posto, perché si preferisce rivolgersi direttamente allo specialista di cui ci si fida (28,7%), a cui però vanno aggiunte le difficoltà burocratiche da affrontare presso le strutture pubbliche (4° posto, col 13,0%) nonché la non adeguata organizzazione da parte dei servizi pubblici (5° posto, col 7,8%). E intanto cresce l’attenzione del mondo del lavoro verso forme più organiche di mutualità integrativa che lasciano intravedere interessanti prospettive sul futuro del Ssn.
Il Fondo sanitario nazionale è inadeguato anche a causa dei disavanzi degli ospedali pubblici. Nel 2016 il Fsn ha toccato quota 113,7 miliardi di euro, ai quali vanno aggiunti i 7,6 miliardi di ticket pagati dalle famiglie italiane nel corso dell’anno, che porterebbero a 121,3 miliardi il costo reale del servizio pubblico. Su quest’ultimo, sottolinea l’Aiop, continuano però a gravare molte aziende sanitarie e ospedaliere pubbliche con i costi non in equilibrio. Questa situazione drena risorse che vanno a coprire il disavanzo e sono sottratte alle erogazioni delle prestazioni. Extraricavi che vengono concessi alle aziende pubbliche in difficoltà gestionali e possono rappresentare, tra l’altro, delle forme implicite di ripianamento del disavanzo. Per il 2016, gli extraricavi delle Aziende ospedaliere e degli ospedali pubblici a gestione diretta sono stati stimati tra i 3,2 a 4,1 miliardi di euro, valore che incide dal 6,0% al 7,5% della spesa totale per gli ospedali pubblici. Questa forbice è rappresentativa quindi di quelle risorse finanziarie che potrebbero essere liberate e utilizzate per pagare direttamente un incremento di numero e di qualità, delle prestazioni erogate ai cittadini dalla rete di aziende pubbliche e private che fanno parte del Ssn.
Verso un Patto per un “Neo-Welfare”. Alla luce di queste considerazioni, sostiene quindi l’Aiop, appare evidente che: “Il sistema di welfare necessiti di un deciso intervento normativo, sostenuto da un’esplicita e forte visione riformatrice. Con un decremento progressivo delle risorse senza soluzioni compensative non potremo che assistere a una corrispondente erosione del sistema, con un incremento incontrollato della spesa out of pocket, una contrazione delle prestazioni e una forte sofferenza sociale”.
Per mantenere il carattere universalistico e solidale che da 40 anni caratterizza il Ssn, aggiunge Aiop “è necessario introdurre un ‘vincolo di responsabilità’ che coinvolga tutti i protagonisti: sistema pubblico, sistema assicurativo, sistema delle rappresentanze aziendali e dei lavoratori, singoli cittadini e famiglie e dare vita a un patto per un Neo-Welfar”.
Tre gli elementi costitutivi necessari: una profonda ristrutturazione e riorganizzazione della macchina sanitaria, con una nuova visione della governance soprattutto della rete di erogatori di diritto pubblico “questo significa più autonomia e libertà per i manager pubblici, ma anche un vero passo indietro da parte delle Regioni se non si raggiunge efficacia ed efficienza adeguati”. Bisogna poi rivalutare l’effettiva erogazione delle prestazioni, portando la maggior parte del finanziamento che arriva alle Regioni e alle aziende pubbliche e private, proprio sul pagamento a prestazione, con tariffe corrette e valide per tutti. Ed anche ripristinare la possibilità per le Regioni di avvalersi dell’Ospedalità privata accreditata, gravemente compromessa dal blocco introdotto dal Governo Monti. E infine, bisogna rendere reale la libertà di scelta del cittadino, di farsi curare dove ha fiducia, senza vincoli e barriere burocratiche.
Ester Maragò
17 gennaio 2018
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