Cure transfrontaliere. Sciachi (Aiop): “Ecco tutte le ragioni di un flop”
di Alberta Sciachì
Mentre nei Paesi europei, compreso il nostro, restano pregiudizialmente ostili per timore di un’immotivata fuga di pazienti, senza mettere sul piatto della bilancia i vantaggi che potrebbero derivare dall’accoglienza di quelli provenienti dall’estero, in tutto il mondo si sviluppa - attraverso offerte-pacchetto e assicurazioni private - il cosiddetto “turismo sanitario” e contemporaneamente crescono le ineguaglianze. IL REPORT
29 NOV - Tra le ragioni che sono alla base del flop dell’applicazione della Direttiva sull’accesso alle prestazioni transfrontaliere (2011/24/UE), una norma che non decolla con un numero di richieste e di rimborsi assolutamente sottodimensionati, va ricordata, innanzitutto, la strenua opposizione degli Stati membri all’approvazione di una normativa che intendeva liberalizzare l’acceso alle cure per i cittadini europei in tutta l’Unione.
La prima proposta della Commissione fu la cosiddetta “Direttiva Bolkenstein” che equiparava la sanità ad altri servizi, per cui i Trattati istitutivi prevedono libertà di erogazione e di circolazione nel Mercato interno. Da quel primo passo, peraltro non dovuto a una libera iniziativa delle istituzioni centrali di Bruxelles, bensì motivato dalle sentenze della Corte di giustizia europea, sono trascorsi circa dieci anni. Dopo la discussione di alcune versioni, via via sempre più riduttive, è stata infine approvata la normativa vigente, obbligatoriamente recepita dagli Stati membri nel 2013 (in Italia con D.L. n. 38 del 4-3- 2014), eppure ancora oggi in “stand by”.
Perché una norma che tutela ed amplia l’esercizio del diritto alla tutela della salute, sancito dai Trattati, non arriva a decollare?
Alcune ragioni si rilevano già in base a una lettura attenta del rapporto, da cui emerge il fatto che le resistenze iniziali dei governi europei all’approvazione della Direttiva si sono poi evolute, conducendo a una sua trasposizione formale, non accompagnata da un impegno adeguato per una concreta implementazione e una diffusa informazione ai cittadini.
Dal rapporto della Commissione, oltre ai ritardi degli Stati membri nel recepimento della Direttiva, emerge il dato sconfortante della mancata informazione ai cittadini. Come risulta da un’indagine di Eurobarometro, meno di due persone su dieci sono informate in merito ai loro diritti di accesso all’assistenza transfrontaliera.
Al riguardo, uno dei punti di forza della Direttiva è l’istituzione in tutti gli Stati membri dei punti di contatto nazionali, da attivare per mettere a disposizione del pubblico le informazioni relative all’offerta disponibile, tanto che - oltre agli obblighi informativi degli Stati stessi, in merito a condizioni legislative, garanzie di qualità, rimborsi e meccanismi di tutela – sono richieste agli stessi erogatori indicazioni relative a opzioni terapeutiche, disponibilità, qualità e sicurezza dell’assistenza sanitaria, fatture e informazioni trasparenti sui prezzi, status di autorizzazione. La Direttiva prevede a questo livello che siano consultatati i prestatori di assistenza, le organizzazioni dei pazienti e le assicurazioni sanitarie.
Niente di tutto ciò è stato fatto, almeno in Italia, e se si consultano i siti nazionali degli altri Stati si trovano, come nel nostro, informazioni di carattere burocratico, non sempre di facile comprensione per l’utente e nessuna indicazione relativa alle strutture disponibili e alle loro caratteristiche. In Italia, il sito dovesalute.governo.it registra solo sessantacinque strutture, tutti ospedali pubblici e qualche IRCCS, ed è fermo da anni. Si tratta quindi di un tipo d’informazione che non aiuta i cittadini a comprendere come far valere i propri diritti nella pratica e a chi rivolgersi. In questa situazione generale di inadempienza, il numero totale di richieste registrate nel 2014 è solo di 109.223 in tutta Europa. Un numero davvero esiguo, ritenuto dalla Commissione inferiore al valore fisiologico, determinato ad esempio dalla propensione a farsi curare nel Paese di origine, dalla presenza di liste di attesa accettabili, dalle barriere linguistiche. Un altro grosso ostacolo, che concerne soprattutto l’assistenza ospedaliera o ad alto contenuto tecnologico, è l’obbligo di richiedere un’autorizzazione preventiva, introdotta in ventuno Stati su ventotto, per ottenere il rimborso delle prestazioni usufruite in altri Paesi europei. In diciassette Stati membri le richieste presentate sono state 560, delle quali solo 360 sono state autorizzate.
L’Italia, in particolare, nel 2014 ha ricevuto 177 richieste di autorizzazione e ne ha approvate 103! E pensare che gli Stati membri hanno ottenuto cambiamenti durante l’iter di approvazione della norma comunitaria, agitando lo spauracchio di un tracollo dei sistemi sanitari nazionali per eccesso di mobilità! E mentre i Paesi europei, compreso il nostro, restano pregiudizialmente ostili per timore di un’immotivata fuga di pazienti, senza mettere sul piatto della bilancia i vantaggi che potrebbero derivare dall’accoglienza di quelli provenienti dall’estero, in tutto il mondo si sviluppa - attraverso offerte-pacchetto e assicurazioni private - il cosiddetto “turismo sanitario” e contemporaneamente crescono le ineguaglianze!
Alberta Sciachì
Relazioni internazionali AIOP – Associazione Italiana Ospedalità Privata
29 novembre 2016
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