Le Regioni e il Def. Perché stanno zitte?
di Ivan Cavicchi
Forse perché la “controriforma” ventilata nella nota aggiuntiva del Def potrebbe risolvere i loro problemi di sostenibilità. Da un lato con la restrizione dei Lea e dall'altro mettendo a regime le diseguaglianze. Cioè trasformandole in un legittimo sistema e in questo modo assolvendole dalle loro storiche incapacità
07 OTT - I governatori delle Regioni nei confronti della controriforma Letta sino ad ora non hanno espresso nessun dissenso. Il loro silenzio, dando per scontato un loro approfondito esame della
nota di aggiornamento del Def approvata il 20 settembre scorso dal Consiglio dei ministri, non è gratuito ma si spiega con un “utile”. Di che si tratta? Due le tesi plausibili:
1) da una sommaria analisi dei documenti ufficiali delle Regioni dal 2010 ai nostri giorni, emerge inequivocabilmente che il loro atteggiamento circa le politiche sanitarie proposte dai vari governi dipende prima ancora che dal merito dei problemi, dal tipo di controparte di governo che esse hanno. Cioè l'autonomia regionale è funzione marginale dei problemi della sanità, mentre è massima nei confronti del quadro politico con cui le regioni si rapportano. Negli ultimi tre anni abbiamo tre governi (Berlusconi, Monti , Letta). I primi due hanno calcato la mano sul definanziamento del sistema (tagli lineari) che implicava alcuni effetti controriformatori collaterali come la ridiscussione dell'intero titolo V. L'atteggiamento delle Regioni con questi governi è stato di massima conflittualità. Il linguaggio usato comprendeva espressioni come “rottura”, “conflitto profondo”, “criticità insanabili”, “irricevibilità” , “bocciatura”, “rischio default” , “inaccettabilità ”, ecc. E' di questa fase, il rifiuto delle Regioni di sottoscrivere il Patto per la salute e la minaccia di restituire le deleghe e persino anche se molto vaga una proposta di “autoriforma”.
Con il governo Letta, quindi con le larghe intese, la situazione si ribalta: a fronte di una proposta dichiaratamente contro riformatrice, come quella contenuta nella già citata nota aggiuntiva al Def 2013, cioè di un cambio di sistema, le Regioni diventano collaterali al governo, e si dichiarano pronte a sottoscrivere il “Patto per la salute”, ponendo esclusivamente un problema di “conti”. Sembrerebbe quindi che nei confronti della controriforma vi sia un consenso politico non dichiarato da parte delle Regioni, che, soggetti di governo a loro volta, diventano estensioni delle larghe intese. Questo in parte ne spiegherebbe il silenzio. Resta da comprendere le ragioni di quei governatori che sono manifestamente in opposizione, per esempio Maroni e Vendola, e del loro imbarazzante conformismo istituzionale. Se le contraddizioni che esistono nello schieramento regionale non sono agite politicamente anche i partiti di opposizione rischiano di diventare a loro volta estensione collaterali delle larghe intese anche se alla televisione i loro bellicosi governatori dichiarano il contrario.
2) La controriforma Letta in realtà corrisponde in pieno a due ordini di problemi delle Regioni nessuna esclusa. Il primo riguarda le quantità finanziarie cioè quanti soldi dare loro per la sanità. A partire dal 2010 di fronte ai tagli lineari prima di Tremonti e poi di Monti, le Regioni rivendicano, la definizione dei costi standard e la ridefinizione dei Lea (
QS 17 sett. 2010) che sono null'altro che le premesse materiali per ridiscutere il servizio pubblico. La controriforma Letta fa proprie queste richieste accettando il postulato delle Regioni che il definanziamento del sistema sia compensato riducendo le coperture pubbliche. Il secondo ordine di problemi delle Regioni di cui anche in questo caso la controriforma Letta si fa carico, è il loro limite culturale, cioè l'assenza di una strategia riformatrice, e di un governo delle complessità, che le rende tutte prigioniere di uno status quo nei confronti del quale esse possono solo ridurre la spesa pubblica e aumentare quella privata. Ciò sta causando una crescita delle diseguaglianze, delle disparità tra cittadini nell'accesso sempre più selezionato ai servizi, che sul territorio creano ai governi regionali forti problemi di conflitto sociale e alla lunga di consenso elettorale.
La controriforma Letta quindi risolve (si fa per dire) i problemi delle Regioni in un caso accettando soprattutto la restrizione dei Lea, dall'altra mettendo a regime le diseguaglianze, cioè trasformandole in un legittimo sistema e in questo modo assolvendole dalle loro storiche incapacità.
“L'utile” delle Regioni nessuna esclusa è quindi quello di vivacchiare anche se come potentati vuoti, di essere ripulite dalle loro responsabilità di governo e, come governatori, di essere funzionali alle larghe intese e quindi alle loro carriere.
Tutta questa cinica stupidità è consumata a scapito prima di tutto della politica che si divarica ancora di più dai bisogni delle persone, dei diritti umani facendo passare l'idea di una loro implausibilità, di centinaia di migliaia di operatori della sanità considerati men che niente, ma soprattutto a scapito dei cittadini che avranno nello Stato, oltre le malattie, un nemico in più. Le domande sono due: come possiamo permettere tutto questo? E a che titolo questa politica può distruggere i nostri diritti?
Ivan Cavicchi
07 ottobre 2013
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