I travagli della sanità pubblica italiana non sarebbero comprensibili senza allargare lo sguardo al di fuori del contesto specifico. Non si tratta soltanto delle criticità manifeste, quelle per l’attesa di prestazioni diagnostiche, visite specialistiche o interventi chirurgici o quelle per le difficoltà di ospedali e territori a garantire tempestività e continuità delle cure, c’è di più ed altro ed ha a che vedere con i cambiamenti profondi della nostra società in queste ultime decadi.
Ci sono ancora nostalgici della legge 833 in giro. Parliamo di sentimento e non di ragione perché il mondo, la società, le persone sono completamente differenti e in larga parte anche i loro bisogni e le loro aspettative.
Nel frattempo chi ha governato - dopo essere stato eletto, non dimentichiamolo - o ha introdotto cambiamenti non incisivi o, forse più spesso, ha lasciato che le cose cambiassero passivamente.
Il sistema di welfare, e con esso ciò che assicura a tutti le cure necessarie, da diritto assoluto è diventato relativo ad una serie di condizioni, siano esse la demografia che determina una situazione epidemiologica sfavorevole o l’equilibrio dei conti pubblici che richiede politiche di bilancio austere e anche politiche fiscali coerenti.
La convinzione che le cure di “vicinanza”, quelle che si fanno a casa, potendone cioè reperire offerta e risorse in loco, siano strategiche è diffusamente presente, ma la visione che è alla base del DM 77 non combacia a sufficienza con la vita reale – strutture, processi, persone, strumenti – alimenta sfiducia circa la sua applicabilità e rinforza il pregiudizio di quei politici che pensano e propongono che, se non tutto, molto andrebbe risolto con i vaucher.
Modernità liquida e liberazione dell’uomo
Secondo Karl Marx [1] la libertà “vive storicamente come uno strumento di liberazione economica, sociale e politica il cui termine ultimo è quello di liberare l’uomo dalla miseria, dalla guerra e dalla lotta di classe quando finalmente ognuno sarà concretamente libero, materialmente e spiritualmente”
Sempre Marx tratta, il tema di “tempo libero” contrapposto a quello di “regno delle necessità”, spiegando che il regno della libertà trova luogo sulle basi del regno delle necessità, ma, contemporaneamente, solo al di fuori di esso e solo se gli uomini possono dominarlo invece che esserne dominati.
Alla fine del ‘900 nasce il concetto di “libertà metafisica”, la quale viene definita la “madre di tutte le libertà”, anzi, addirittura “l’origine della stessa libertà religiosa”, in quanto essere liberi di professare significa anche poter scegliere di non professare. Ricapitolando, siamo immersi in una modernità liquida in cui gli esseri umani interpretano la ricerca della felicità nell’acquisto e l’immediato consumo di beni o esperienze. Tutta questa velocità, questo annullamento dello spazio-tempo e questa continua necessità di auto-soddisfarsi hanno, però, influenzato “negativamente” le relazioni interpersonali.
Sul fronte sociale la pandemia, con le necessarie misure di lockdown, ha peggiorato la situazione: si è fatta fatica a conoscere nuova gente, ci si è visti molto meno tra parenti, amici e conoscenti, si sono vissute meno esperienze insieme, sia nel lavoro che nel tempo libero.
Gli adolescenti ed i giovani sono coloro che più ne hanno sofferto. Le situazioni di disagio o malattia mentale hanno raggiunto livelli di prevalenza allarmanti.
Sul fronte sanitario i famosi insegnamenti che avremmo dovuto trarne: essere previdenti, pronti, sviluppare un ruolo pubblico nella ricerca e produzione di vaccini e farmaci, essere vigili e proattivi, organizzare la raccolta ed il flusso dei dati sanitari, badare al benessere dei professionisti sanitari, curare le reti, presidiare i territori, rinforzare le comunità, adottare politiche coerenti con l’approccio “One Health” sono rimaste ancora troppo spesso allo stato di intenti.
Il Web e la “dipendenza” umana
Nel frattempo i social continuano a rendere i rapporti più effimeri perché hanno alimentato il predominio dell’apparenza e della superficialità. Sono la “vetrina digitale” per eccellenza.
Adolescenti, giovani ed adulti usano queste piattaforme per mettere in mostra gli aspetti più vani delle loro vite. Nella società odierna la conformazione al presunto valore del potere e dell’immagine favorisce una cultura narcisistica in cui predomina l’apparire e l’instaurare relazioni superficiali piuttosto che l’essere e il “mettersi in gioco” in relazioni profonde.
Da quando la nostra cultura è diventata un terreno fertile per la crescita del livello di narcisismo la “distrazione di massa” dalla realtà ha assunto livelli mai raggiunti.
“Non è vero che la felicità significhi una vita senza problemi. La vita felice viene dal superamento dei problemi, dal risolvere le difficoltà. Si raggiunge la felicità quando ci si rende conto di riuscire a controllare le sfide poste dal destino, ci si sente persi se aumentano le comodità”, come osserva Bauman, “la felicità è la sfida dell’umanità presente, per la sua dignità futura. Tanto più siamo in grado di combattere, lottare, di fare scelte significative, tanto più si accorcerà la distanza che ci separa dalla felicità. Una lotta che, tuttavia, non va affrontata in modo solitario”. Immersi e dispersi in una società di esaltazione dell’”io”, perdiamo di vista che per dominare i vigorosi processi di cambiamento in atto abbiamo un disperato bisogno di “noi”.
Salute e sanità, “One Health” e welfare, sono dimensioni del “noi”.
Gli obiettivi strategici del welfare state
Il “welfare state” è costituito dall’insieme di politiche pubbliche messe in atto da uno Stato che agisce in un’economia di mercato per garantire la sicurezza e il benessere dei cittadini, intervenendo e correggendo la distribuzione dei redditi causata dalle forze spontanee del mercato stesso.
Si tratta dunque di un modello di organizzazione politico-sociale che ha avuto, e dovrebbe ancora avere, come obiettivo quello di assicurare una serie di servizi e prestazioni che, oltre al benessere e alla sicurezza economica, rafforzino la giustizia all’interno della società: i cosiddetti “ammortizzatori sociali”.
Secondo lo storico Asa Briggs [4], il welfare state ha tre obiettivi:
È dunque l’insieme delle policy e degli strumenti di inclusione e mobilità sociale, in specie dal basso verso l’alto della scala sociale.
Il welfare si dovrebbe basarsi su principi di solidarietà e redistribuzione delle risorse, per ridurre le disuguaglianze e fornire opportunità equamente distribuite ai cittadini, e questo indipendentemente dal loro status economico e sociale.
Gli strumenti del welfare state
Lo stato sociale interviene solitamente in materia di istruzione, sanità, previdenza, infortuni, malattia e maternità.
Prevede “servizi in natura”, come l’istruzione e l’assistenza sanitaria, garantiti a tutti i cittadini di uno Stato o residenti in esso, così come le concessioni di benefici fiscali (per esempio per i figli a carico o per l’acquisto della prima casa), ma agisce anche tramite “indennità economiche”, come l’indennità di maternità o quella legata alla disoccupazione. Indennità che riguardano una situazione momentanea o permanente di incapacità al lavoro o di difficoltà di un determinato periodo di vita. Infine, tra gli strumenti del welfare, rientrano la regolamentazione di alcuni aspetti legati all’attività economiche, come per esempio l’assunzione di persone con invalidità, etc.
Tutte le politiche di welfare però sono da inserire e considerare in contesti economici e sociali specifici che differiscono da Stato a Stato.
Le evoluzioni dei modelli di welfare
Tutti gli altri individui, quelli che costituiscono la maggior parte della società possono acquisire i servizi sul mercato privato;
Il welfare in Italia
Sicuramente il modello di welfare italiano si sta ibridizzando dal modello Beveridge a quello Bismark.
Il sistema è attualmente è un mix tra il modello “conservatore” e quello “liberale” con una graduale omologazione a quest’ultimo.
Si basa su una serie di programmi e politiche pubbliche quali:
Fragilità del welfare in Italia
Se quanto sopra descrive le caratteristiche “formali” del welfare in Italia, le politiche della sua gestione sono in continuo cambiamento e presentano diverse fragilità.
Accordi di Maastricht, spending review, PIL basso o stagnante negli ultimi decenni hanno comportato anni difficili di austerità che si sono tradotti in tagli “lineari” o “mirati” sulle dotazioni finanziarie delle varie policy di welfare.
Tutte le voci di spesa sociale sono state ridimensionate e fortemente ridotte e di conseguenza le coperture sociali agli indigenti sono sempre più “povere” e in alcuni casi “aleatorie” …
Poi la pandemia da SARS-COV-2 e la sindemia conseguente hanno esaltato le criticità esistenti.
Chiara Saraceno, sociologa e autrice di alcuni testi sul welfare, ha dimostrato come il welfare in Italia tenda a beneficiare maggiormente i gruppi già inseriti nel mercato del lavoro e, al contrario, a garantire meno protezione a chi si trova in situazioni di precarietà o di scarsa partecipazione al mondo del lavoro.
L’espansione della spesa può determinare un eccessivo incremento della pressione fiscale e, nonostante ciò, anche disavanzi del bilancio pubblico, come è accaduto in Italia.
Così come accade anche che le prestazioni assistenziali possono ridurre l’incentivo a lavorare, che le burocrazie chiamate a fornire i servizi sociali siano inefficienti, che la gratuità di alcuni servizi tenda ad accrescere una domanda inappropriata e a determinare sprechi e che la povertà, per quanto ridotta, non sia stata eliminata.
Quando gli oneri che il welfare implica non sono compatibili con il tasso di crescita dell’economia e con il tasso di natalità, entrambi bassi come accade in Italia, si assiste ad un considerevole ridimensionamento del ruolo dello Stato nei processi economici. E questo è quanto è avvenuto in Italia a partire dagli anni ‘80 del secolo scorso. Inoltre in questi giorni è stata approvata in Parlamento la riforma dell’”autonomia differenziata” che oltre a rischiare di cristallizzare le differenze economiche e sociali tra le varie Regioni del Paese per garantire l’agibilità dei LEPS richiede 90 miliardi di euro da devolvere alle Regioni in specie del mezzogiorno del Paese che francamento non si vede dove possano essere reperiti nell’attuale contesto economico e finanziario del Paese. 90 miliardi di euro che si aggiungerebbero ai 10-12 miliardi di manovra correttiva sui conti pubblici italiani richiesti dalla Unione Europea.
“Dualizzazione” del welfare
L’idea che per creare più occupazione si dovessero ridurre i livelli di protezione del lavoro, accettando quindi una maggiore diseguaglianza di condizioni lavorative e contrattuali fra segmenti diversi della forza lavoro, così come si dovessero accettare maggiori differenziazioni salariali all’interno degli occupati, si diffuse anche a livello delle élite politico-economiche e dei nostri governi, ed il trade-off fra occupazione ed eguaglianza (vuoi salariale, vuoi di condizioni contrattuali e normative) venne più o meno implicitamente accolto quale linea guida delle politiche di deregolamentazione così come stava accadendo nei mercati del lavoro europei continentali.
Nella letteratura scientifica si sottolinea come sia pressioni politico-sindacali sia scelte di deregolamentazione attuate dai Governi possono rinforzare la struttura duale del mercato del lavoro e la segmentazione fra un settore primario-garantito e un settore secondario sotto-protetto o precario. A tali distinzioni macro, si accosta, usualmente, la distinzione fra occupati “insider” e “outsider”.
Nella “Memoria della Corte dei Conti sul NADEF 2024” si afferma che la crescita della spesa pensionistica alla fine del triennio tornerà a rappresentare oltre i tre quarti della spesa per prestazioni sociali in denaro, e che sono anche in crescita le indennità una tantum per sostenere il potere d’acquisto delle famiglie.
Quel non cambia è il sottofinanziamento del SSN e dei SSR che condurrà inevitabilmente ad un ulteriore indebolimento del welfare pubblico e a una crescita di servizi sanitari erogati da soggetti privati “accreditati” o dalla sanità “integrativa”.
Come è noto, nel NADEF si prevede già dal 2024 un rapporto fra la spesa sanitaria e PIL a livelli inferiori a quelli precedenti alla crisi pandemica (6,2 %), che si ridurrà ulteriormente di due decimi nel 2025, rendendo in questo modo difficile recuperare il sottodimensionamento del personale e promuovere stabilmente politiche espansive nelle cure territoriali dando continuità a quanto, ora possibile con le risorse attualmente disponibili nel PNRR, il Piano stesso prevede per il futuro.
Non si vede, almeno per ora, nei primi atti del Governo in carica e nelle dichiarazioni pubbliche dei Ministri competenti un orizzonte di nuovo welfare, ma una sua conservazione poco entusiasta che rischia di accrescerne i limiti e le criticità storiche.
Il definanziamento del SSN e dei SSR consoliderà la dualizzazione del welfare italiano.
Dualizzazione che, è opportuno ricordare, è da sempre presente in alcuni settori, in particolare nell’ambito della protezione del lavoro (molto differente fra chi opera nel settore pubblico e chi opera in piccole imprese) nell’istruzione e nella sanità che da decenni utilizzano un mix di pubblico e privato.
Il sottofinanziamento previsto dal NADEF sicuramente non pone rimedio a queste disuguaglianze nell’accesso ai servizi e ricade su un sistema pubblico di cui tutti riconoscono la debolezza così come la urgente necessità di risorse finanziarie e professionali. Come è noto, la dualizzazione crea significative disuguaglianze nell’accesso alle prestazioni. Una parte crescente della domanda di prestazioni sanitarie è implicitamente (e neanche tanto) canalizzata verso i produttori privati.
Una parte delle famiglie, quelle più povera, continuerà ad accedere ad un sistema pubblico teoricamente ancora universalistico, anche se i tempi e le performance delle prestazioni saranno sempre meno soddisfacenti. Le famiglie con redditi e condizioni lavorative soddisfacenti potranno, invece, accedere agevolmente ad un sistema pubblico-privato sempre più integrato e complessivamente efficiente.
Considerazioni finali
Se vogliamo adottare, come sarebbe molto ragionevole fare, l’approccio “One Health” ciò comporterebbe la presenza del tema “salute” in tutte le policy sviluppate dai Paesi in una ottica di loro integrazione così come una forte “governance” pubblica e una centralità del concetto di “benessere” delle popolazioni.
Un percorso non facile, per la maggioranza dei paesi industrializzati, in una fase storica come l’attuale in cui il PIL stenta a svilupparsi e la globalizzazione determina processi di integrazione tra i vari Paesi nelle filiere produttive, non sempre facilmente governabili se non a livello sovra nazionale. OECD ha evidenziato l’urgente necessità di investimenti intelligenti nei sistemi sanitari per proteggere la salute delle persone e sostenere gli operatori sanitari che lavorano in prima linea. I costi di impiego di questi necessari investimenti nella prevenzione, nella forza lavoro sanitaria e nella digitalizzazione dovrebbero ammontare in media a circa l’1,4% del PIL pre-pandemia di ogni Paese.
Una spesa mirata, ma che prevede un indispensabile condizione: deve essere accompagnata da efficaci interventi di prevenzione e da misure per ridurre gli sprechi di spesa, in modo che i sistemi sanitari rimangano fiscalmente sostenibili nel medio- lungo periodo.
Il tema “salute” è ormai imprescindibile e assume una centralità nuova perché porta a sintesi approcci e politiche diverse. La “salute” è la risultante di più politiche che devono essere gestite insieme e in modo coordinato. Pertanto non possiamo più parlare solo di “sanità” perché non solo è riduttivo, ma è anche fuorviante. La “sanità” può essere affrontata come policy singola e gestita con una logica di “mercato” mentre pensare e progettare in termini di “salute” induce a un approccio integrato.
In una società tendenzialmente “liquida” la “sanità” si sposa bene con un approccio liberista e di mercato.
Anzi ha bisogno di tradursi in consumo indotto dal lato “offerta” e quindi condizionato da un approccio “bisogno” /” consumo” …
Un sistema di welfare ritrova invece una sua nuova legittimazione attraverso policy del tipo “One Health”.
È richiesto però un pensiero innovatore sui suoi modelli organizzativi e gestionali, sugli standard operativi e sulle tecniche, così come sui modelli di gestione del SSN e i SSR. L’evoluzione delle tecnologie 4.0, gestionali, diagnostiche e terapeutiche già agisce e ancor più agirà in profondità sull’organizzazione dei processi clinici e assistenziali, sulle competenze tecniche e relazioni degli operatori e sui livelli di appropriatezza delle cure.
Occorre affrontare questi cambiamenti per gestirli in modo fruttuoso, cioè sapendo cogliere opportunità e benefici e minimizzando i rischi di condizionamenti del mercato e le logiche del consumo superfluo.
Per evitare di vivere in un futuro di “salute liquida” che non prevede un SSN o SSR in grado di stare dentro i cambiamenti, ma solo politiche di “galleggiamento” tipiche di chi governa con orizzonti a breve.
Rinunciare a giocare la partita sarebbe un errore colossale da parte di tutte quelle organizzazioni sindacali, professionali, associative, di volontariato, politiche che credono ancora alla centralità del diritto alla “salute”.
Per giocarsi la “partita” però ci sono alcune precondizioni indispensabili: superare le logiche corporative, gli egoismi e i protagonismi. Serve fare “massa critica”, avere sguardo e prassi “aperte” all’innovazione sociale e tecnologica. Far si che la seconda sia sinergica con la prima e quindi strumento di progresso e non di discriminazione.
Costruire convergenze su obiettivi comuni, coinvolgere le istituzioni a tutti i livelli, essere propositivi e coinvolgere le persone, i pazienti, le comunità … ricostruire con pazienza quel “noi” che oggi ci sembra spesso una dimensione perduta.
Anche noi pensiamo che non c’è progresso senza “felicità”, ma non quella “liquida”, parliamo di quella “solida”. Quella dimensione per cui non si può essere felici se la distribuzione del sapere, del potere, delle opportunità e delle tutele non è equa. Un pensiero semplice, ma apparentemente trascurato.
Giorgio Banchieri,
Segretario Nazionale ASIQUAS, Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche della Università “Sapienza” di Roma, LUISS Business School Roma.
Laura Franceschetti,
Professoressa, Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche della Università “Sapienza” di Roma,
Andrea Vannucci,
Socio ASIQUAS, Professore a contratto DISM Università di Siena, socio Accademia Nazionale di Medicina, Genova.
Riferimenti