La professione di assistente sociale esiste in sanità già prima della legge 833/78 sia negli enti ospedalieri che nei disciolti enti mutualistici e nei servizi degli enti locali trasferiti al SSN prevedendo sino alla spendibilità contrattuale dell’art.6 della legge 43/06 una corretta applicazione normoeconomico in sintonia con le professioni sanitarie.
La rivitalizzazione dell’area delle professioni sanitarie attuata con la legge 3/18 e la successiva liberazione dal ruolo tecnico confluendo nel neo-ruolo sociosanitario ha chiarito con nitida chiarezza che la professione sociosanitaria concorre, con le proprie competenze professionali, all’attuazione del diritto alla salute, intesa non come assenza di malattia bensì come raggiungimento dello stato di benessere biopsicosociale, al pari delle professioni sanitarie.
Si sarebbe sperato, quindi, che fosse terminato il periodo di errata interpretazione normativa e contrattuale nei confronti degli esercenti la professione sociosanitaria di assistente sociale in rapporto di dipendenza con le Aziende sanitarie e gli altri enti del SSN e fine della negazione o, meglio, dello scippo nei loro confronti di poter partecipare ai bandi aziendali per il coordinamento, che è l’incarico di organizzazione più diffuso in sanità, quindi limitando al massimo la possibilità di carriera organizzativa in poche fattispecie diverse da quelle del coordinamento.
Per verificare questa tesi, che avrei voluto e sperato che fosse sbagliata o preconcetta, mi sono stati fatti vedere, per darne una valutazione, alcuni regolamenti aziendali attuativi degli artt. 24/39 del vigente CCNL del personale del comparto sanità per il triennio 2019/2021 concernenti l’attribuzione e graduazione degli incarichi di posizione, organizzativi e professionali: l’esame dei testi ha fatto emergere che ancora sono esclusi dalla partecipazione alle selezioni per il conferimento degli incarichi organizzativi quando assumono la denominazione “di coordinamento”, che, ripeto, sono poi la forma più diffusa di incarichi organizzativi, gli assistenti sociali dipendenti delle Aziende sanitarie
Quand’ero ancora consulente del Direttore del Comparto Regioni e Sanità dell’ARAN, ora in pensione, mi permettevo di evidenziare e suggerire alcune scelte innovative, discriminanti e discontinue: alcune semantiche, nominalistiche ma nonostante ciò quanto mai valorizzanti quali dividere il personale laureato tra quello sanitario e sociosanitario (denominato “professionisti della salute”) e quello amministrativo, tecnico e professionale (denominato “funzionari”) e indicare ognuno dei professionisti della salute non più con il precedente termine “collaboratore professionale….” bensì con il nome della professione esercitata “infermiere o fisioterapista o assistente sociale…riconoscendo che anche essere denominati solo con il nome della propria professione è una componente inalienabile del rapporti di lavoro e dei diritti di ogni professionista”.
Le altre due scelte innovative erano e sono sostanziali: la prima la più discontinua ed equa e cioè il riconoscimento che per ogni laureato del comparto ci fosse il medesimo diritto al riconoscimento di una carriera sia organizzativa che professionale come per i laureati dell’area della dirigenza sanitaria ma anche sociosanitaria, professionale, tecnica e amministrativa.
La seconda, invece, il rispetto della legge e delle normative attuative per quanto riguarda il diritto dei professionisti sociosanitari assistenti sociali a ricoprire incarichi di coordinamento anche laddove siano pluri professionali, per esempio nelle articolazioni del DSM.
Il CCNL precisa, si sarebbe pure potuto scrivere più chiaramente, che solo per le 22 professioni sanitarie debba essere richiesto, al fine di ricoprire l’incarico di coordinamento, il possesso del requisito dello specifico master in attuazione dell’articolo 6 della legge 43/06 non prevedendo che la funzione di coordinamento non possa essere esercitata anche da un assistente sociale, senza chiedere un requisito non previsto per tale professione dalla norma.
Benché riconosciuti e apprezzati sul piano sociosanitario, la loro non chiara collocazione nel panorama giuridico-normativo e contrattuale lascia gli assistenti sociali in una costante situazione di incertezza, quando non di sudditanza verso le altre professioni, non riconoscendo nei fatti la loro evoluzione dello stato giuridico e contrattuale.
Sin dal D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 (stato giuridìco del personale delle uu.ss.ll.) era stata riconosciuta l’articolazione in assistente sociale collaboratore e assistente sociale coordinatore e l’allora Normativa concorsuale del personale delle unità sanitarie locali, di cui al Decreto del Ministro della Sanità 30 gennaio 1982, dettava norma per l’accesso alla posizione funzionale di assistente sociale coordinatore, inoltre il primo contratto della sanità, recepito con il D.P.R. n. 348/1983, all’art. 37 collocava gli assistenti sociali collaboratori al 6° livello e gli assistenti sociali coordinatori al 7° livello.
Con il DPR 7 settembre 1984, n. 821, all’art. 49 veniva definito il profilo professionale dell’Assistente sociale coordinatore, il quale svolge attività e prestazioni inerenti alla sua competenza professionale e coordina l'attività del personale nella posizione funzionale di collaboratore (art. 50).
Ma è la norma primaria che sancisce il diritto, che è anche un dovere, per l’assistente sociale all’accesso alle funzioni di coordinamento; infatti, la legge 23 marzo 1993, n. 84 sull’ordinamento della professione di assistente sociale e istituzione dell'albo professionale, dà finalmente riconoscimento giuridico alla professione specificando che:
Tutto ciò premesso è quanto mai chiaro che le leggi e le normative attuative prevedono che, per effetto della legge 43/2006, per concorrere all’incarico di coordinamento i professionisti sanitari infermieristici, tecnici della riabilitazione, della prevenzione e della professione di ostetrica con rapporto di lavoro di dipendenza con il SSN, debbano essere il possesso del previsto master e solo loro mentre è esclusa la competenza della citata legge 43/06 per i dipendenti del SSN esercenti la professione sociosanitaria di assistente sociale tant’è che l’Accordo Stato-Regioni del 2007 si riferisce solo ed esclusivamente alle professioni sanitarie, non essendovi il benché minimo riferimento alla professione degli assistenti sociali la quale, non solo per le diverse norme di legge e contrattuali richiamate ma soprattutto in virtù della legge n. 84/93 ha il pieno riconoscimento del diritto all’incarico di coordinamento, come e non meno delle professioni sanitarie.
Per quanto attiene all’incarico di professionista specialista il contratto fa riferimento solo al possesso di un master, senza specificare quale e non tenendo conto che per effetto dell’art. 22 del DPR 328/2001 ogni Assistente sociale con laurea specialistica o magistrale, il quale superando il previsto esame di stato, è iscritto in sezione A dell'albo assumendo il titolo di Assistente specialista, modalità selettiva e di articolazione professionale non prevista per le professioni sanitarie soggette alla legge 43/06 nei propri albi professionali…ne consegue che si sarebbe dovuto prevedere che un assistente sociale dipendente avrebbe potuto concorre alle selezioni per professionista avendo come requisito il possesso della laurea o specialistica o magistrale e non un master qualsiasi.
A questo punto sarebbe quanto mai opportuna un’interpretazione corretta della normativa sopra esposta da parte dell’ARAN, qualora, come mi auguro, la condivida da esternare nelle modalità previste e consentite nonché un intervento nelle sedi negoziali decentrate da parte dei sindacati firmatari del CCNL a tutela dei diritti di equa partecipazione degli assistenti sociali alle selezione per l’attribuzione degli incarichi, compresi quelli di coordinamento nel rispetto delle norme esistenti non di una restrittiva e non corretta interpretazione delle stesse.
Saverio Proia