Come già anticipato in una precedente nota del 20 marzo l’Istat ha ribadito che nel 2022 i nati sono scesi, per la prima volta dall’unità d’Italia, sotto la soglia delle 400mila unità, attestandosi a 393mila.
Dal 2008, ultimo anno in cui si registrò un aumento delle nascite, il calo è di circa 184mila nati, di cui circa 27mila concentrate dal 2019 in avanti.
Questa diminuzione è dovuta solo in parte alla spontanea o indotta rinuncia ad avere figli da parte delle coppie. In realtà, scrive Istat, tra le cause pesano molto tanto il calo dimensionale quanto il progressivo invecchiamento della popolazione femminile nelle età convenzionalmente considerate riproduttive (dai 15 ai 49 anni).
Se nel corso del 2022 si fosse procreato con la stessa intensità e lo stesso calendario del 2019, osserva Istat, il calo dei nati sarebbe stato pari a circa 22mila unità, totalmente attribuibile, pertanto, alla riduzione e all’invecchiamento della popolazione femminile in età feconda.
La restante diminuzione, di circa 5mila nascite, risulterebbe invece causata dalla reale diminuzione dei livelli riproduttivi.
Dopo il lieve aumento del numero medio di figli per donna verificatosi tra il 2020 e il 2021, riprende il calo dell’indicatore congiunturale di fecondità, il cui valore si attesta nel 2022 a 1,24, tornando così al livello registrato nel 2020.
Prosegue quindi la tendenza alla riduzione dei progetti riproduttivi, già in atto da diversi anni nel nostro Paese, con un’età media al parto stabile rispetto al 2021, pari a 32,4 anni.
La diminuzione del numero medio di figli per donna riguarda sia il Nord sia il Centro Italia, dove si registrano valori rispettivamente pari a 1,26 e 1,16 (nel 2021 erano pari a 1,28 e 1,19).
Nel Mezzogiorno, invece, si registra un lieve aumento, con il numero medio di figli per donna che si attesta a 1,26 (era 1,25 nell’anno precedente). L’età media al parto è leggermente superiore nel Nord e nel Centro (32,6 e 32,9) rispetto al Mezzogiorno (32,1).
Si assiste a una riduzione delle differenze tra Nord e Mezzogiorno, mentre il Centro continua ad avere una fecondità sensibilmente più bassa rispetto alle altre due ripartizioni. Il Mezzogiorno è la sola ripartizione che prosegue la risalita iniziata lo scorso anno.
Peraltro, il calo registrato nel Nord e l’aumento nel Mezzogiorno fanno sì che nel 2022 i livelli di fecondità di queste due ripartizioni siano identici.
In Trentino-Alto Adige la fecondità più alta
La regione con la fecondità più alta è il Trentino-Alto Adige con un valore pari a 1,51 figli per donna. Le regioni a seguire, Sicilia e Campania, registrano valori molto più bassi, rispettivamente 1,35 e 1,33. In questo insieme di regioni le madri sono mediamente più giovani, con valori dell’età media al parto compresi tra il 31,4 della Sicilia e il 32,1 del Trentino-Alto Adige.
Regioni con fecondità decisamente contenuta sono il Molise e la Basilicata, con un valore di 1,09 figli per donna, ma su tutte spicca la Sardegna che, con un valore pari a 0,95, è per il terzo anno consecutivo l’unica regione con una fecondità al di sotto dell’unità.
Nel Mezzogiorno, che presenta un valore del tasso di fecondità totale di 1,26, solo Sicilia, Campania e Calabria hanno una fecondità al di sopra della media nazionale (rispettivamente 1,35, 1,33 e 1,28 figli per donna), è invece al di sotto nelle altre cinque regioni.
Viceversa, nel Nord, che registra la stessa fecondità del Mezzogiorno, solo Piemonte (1,22) e Liguria (1,20) presentano una fecondità al di sotto della media nazionale, nelle altre sei è invece maggiore di 1,24.
Nel Mezzogiorno si trovano le regioni con la più elevata età media al parto, Basilicata (33,2), Sardegna e Molise (32,9). Si tratta delle regioni con il più basso tasso di fecondità, la cui diminuzione è legata proprio alla continua posticipazione dell’esperienza della maternità che di fatto si tramuta sempre più in una definitiva rinuncia.