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I Forum di QS. Sanità pubblica addio? Angelozzi: “833 e 180, crisi parallele”

di Andrea Angelozzi 

Due percorsi paralleli per due leggi fondamentali della nostra sanità. E gran parte dei temi affrintati in questo forum possono aggiungere ulteriori riflessioni al dibattito della salute mentale in Italia ed il destino che l’attende

04 APR -

Esistono degli stretti legami fra il libro di Cavicchi che è appena uscito: “Sanità pubblica addio” e “Oltre la 180” che lo ha preceduto di pochi mesi.

Entrambi parlano del destino di una grande riforma, nel primo caso la L. 833/78, nel secondo della L. 180/78, anche esse separate di pochi mesi; entrambi parlano dei problemi che erano presenti già nella formulazione legislativa originaria; entrambi dei destini successivi, fatti di controriforme e problemi non solo non sanati, ma anzi acuiti nel corso dei decenni.

Ma soprattutto, gran parte dei temi che Cavicchi ora affronta possono aggiungere ulteriori riflessioni al dibattito della salute mentale in Italia ed il destino che l’attende.

Il discorso del libro si muove su tre strade principali che si intersecano costantemente: la modifica che viene progressivamente attuata sull’art 32 della Costituzione, con il passaggio dal diritto alla salute al diritto condizionato, ai LEA e quindi alla sostenibilità; lo spazio crescente dato al privato, in forma sostitutiva rispetto al pubblico; la autonomia regionale data dalla modifica del Titolo V, con differenze che saranno drammaticamente accentuate dalla autonomia differenziata.

In realtà questi tre temi completano quanto emergeva in “Oltre la 180”.

Il primo punto riguarda la complessa trasformazione che il diritto alla salute, ed in questo caso parliamo di salute mentale, ha avuto nel corso degli anni. Quello che era un concetto generale di salute mentale che era all’origine della L. 180/78, e acquisiva significato, da una parte nell’ambito della comunità e dall’altra nella totalità dell’essere “persona”, si è progressivamente declinato, reificandosi e delimitandosi nei LEA; non più livelli dei bisogni di salute, ma livelli di assistenza possibile, erogabile e “sostenibile”.

E per ciò che può essere fatto, sia con la L. 502/92, sia con la L. 229/99, si sviluppano principi di evidenza di qualità e di appropriatezza, già in qualche maniera ristrettivi rispetto al più complesso concetto di risposta ad un bisogno, ed ancora di più se usati come criteri di demarcazione per distinguere ciò che è a carico dello stato, con la implicazione stretta fra economicità ed essenzialità.

Quanto ci descrive Cavicchi sulla trasformazione del criterio di appropriatezza nella direzione tipicamente mutualistica ed assicurativa di assistenza “essenziale”, cioè di assistenza “indispensabile” o meglio “strettamente necessaria”, descrive bene il passaggio che progressivamente è avvenuto nella assistenza in salute mentale e che è stato completato con un proceduralismo ed una standardizzazione, nati con finalità più economiche che cliniche.

Il doveroso inserimento della salute mentale all’interno del sistema sanitario nazionale e quindi della L.833/78 ha visto da una parte il progressivo adattamento impoverente di un diritto alla salute al prontuario della assistenza erogabile, dall’altra la distorsione di un approccio centrato sulla evidenza e l’appropriatezza a una pura finalità economica. Ne viene fuori una salute mentale che non è più né l’operazione di civiltà e cultura che voleva essere nelle origini, né una operazione di possibile scienza, ma solo la caricatura di entrambe.

Questo ci aiuta a capire la differenza fra l’apparente rispetto dei LEA da parte delle Regioni ed una realtà di grave sofferenza denunciata invece da pazienti familiari. E ci spiega la difficoltà che hanno la evidenza e l’appropriatezza nel dare effettivamente quello di positivo che sarebbe nelle loro possibilità.

Alla fine risulta un approccio banalizzato, ai confini con il senso comune, per la assoluta incapacità di comprendere la complessità dell’individuo. E la attenzione alla persona, trasformata in slogan, diventa quanto più lontano possibile da quello che era il concetto di origine.

Tutto ciò ha ampiamente coinvolto il personale, progressivamente privato della propria autonomia e modificato nei ruoli. Chi si sorprenda del declino di alcune figure professionali a favore di altre (come l’incremento degli OSS nei Servizi di Salute Mentale in Veneto) può scoprire con Cavicchi che nella Legge di Stabilità formulata nel 2015 dal Governo Renzi, il comma 566 prevedeva di togliere alcune competenze ai medici per darle agli infermieri aprendo la strada a strategie delle “competenze avanzate” che permettevano di riformare prassi, ruoli e competenze al puro scopo di ridurre i costi del personale dell’azienda. Un sistema professionale nazionale passava in secondo piano, sostanzialmente affidandolo alla fantasia creatrice (o demolitrice) di ciascuna regione.

Parafrasando Cavicchi si arriva ad una psichiatra “amministrata”, lontana dai pazienti e da quanto a loro garantito dall’art 32. A parlare dello stato dei pazienti e dei servizi sui media sono spesso i direttori Sanitari o Sociali delle ASL e non gli operatori, ad ulteriore dimostrazione di una salute mentale svuotata nei suoi contenuti, dove hanno un ruolo dominante gli aspetti amministrativi rispetto alle progettualità specifiche.

In salute mentale troviamo poi ampiamente espressa la crescente tendenza alla privatizzazione di cui ci parla Cavicchi. A fronte di un finanziamento generale della sanità ai privati che si pone sul 20% del FSN, in Veneto ad esempio il finanziamento ai privati in salute mentale supera ormai il 50%.

Alla salute mentale si applica pienamente quanto Cavicchi ci dice su quanto ci ha ulteriormente confermato la pandemia sui soggetti deboli, come gli anziani. Proprio in ragione dei loro bisogni complessi, vanno assistiti con approcci e interventi integrati; alla domanda complessa si risponde con una “offerta complessa” sanitaria e sociale organizzabile solo con l’integrazione fra questi due mondi e garantita solo dal ruolo preponderante e prioritario del pubblico.

Ed ancora una volta l’affermazione del primato del pubblico non ha nulla di ideologico, ma è una questione eminentemente funzionale, dove non si può non vedere che fra pubblico e privato vi sono forti ostacoli che si oppongono ad una reale integrazione e che si possono ricondurre alla differenza incolmabile fra proporre servizi e proporre profitto.

Ed in salute mentale si aggiunge la sostanziale distanza dei privati, siano essi Case di Cura o gestione della residenzialità, dal senso e dalla lettera di quanto diceva la L. 180/78. Alla fine deve essere chiaro che lo stigma e la discriminazione in salute mentale viene riproposta ancora una volta, questa volta delegando ad altri di occuparsi di questo ambito.

Cavicchi si sofferma a lungo sulle modifiche già introdotte a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione e di quelle che si prospetterebbero con l’autonomia differenziata delle regioni.

Già adesso, come mostrano i dati del SISM, ogni Regione ha la propria diversa organizzazione della salute mentale, con diverse risorse disponibili e soprattutto diversi stili di lavoro, talvolta condizionati dalle risorse impiegabili.

Di fatto con la nuova realtà di autonomia differenziata che si prospetta, allo Stato rimarrebbero solo la determinazione dei principi fondamentali, lasciando alle Regioni la piena potestà legislativa sulla organizzazione dei servizi. I principi fondamentali, alla fine sono quelli importantissimi ma scarsamente declinati, della L. 180/78, così come recepita nella L. 833/78: la normativa sul ricovero obbligatorio ed il privilegio per quello volontario, la collocazione dei posti letto negli ospedali generali, la organizzazione dipartimentale delle strutture che dovrebbero privilegiare la cura territoriale; la chiusura dei manicomi, cioè della istituzionalizzazione come risposta.

Già adesso vediamo la fragilità della attuazione di questi principi: quanto ancora siano presenti le tendenze espulsive per la psichiatra da parte dell’Ospedale; la pressione per un uso del TSO come strumento di ordine e protezione sociale più che di cura; l’impoverimento del territorio; la rinascita di soluzioni neomanicomiali. I principi generali non proteggono la tutela della salute mentale ed ancora meno lo faranno quando le Regioni avranno la piena disponibilità legislativa in materia di organizzazione dei servizi.

E non saranno certo i nuovi LEA a garantire una uniformità che non garantiscono nemmeno adesso. È proprio vero che si rischia di assistere alla “l’autonomia dello sfascia carrozze”, cioè di coloro che senza un orizzonte riformatore non possono fare altro che sfasciare quello che c’è.

Di fronte questo quadro, le uniche proposte degli operatori sono che la salute mentale venga rafforzata e che ad essa si attribuisca il 5% delle risorse del FSN, cosa peraltro mai avvenuta a livello nazionale in 45 anni, e tantomeno adesso che il SSN è sull’orlo della bancarotta. Sembra che nessuno si accorga che non solo il PNRR si occupa forse bene di statica degli edifici e telemedicina, ma molto poco della fragilità che la pandemia ha clamorosamente evidenziano, e per nulla di salute mentale.

D’altra parte con l’Intesa in Conferenza Stato-Regioni sancita il 21 dicembre scorso sulla “Nuova metodologia per il calcolo dei fabbisogni di personale del SSN”, la innovazione ed il rafforzamento nella Salute Mentale è posta nel costante richiamo al DPR 1/11/99 (Progetto Obiettivo Tutele Salute Mentale 1998-2000), nuovo di appena 25 anni, negli standard del personale ben lontani dalla strada del 5% e nello sviluppo delle Case di Comunità.

Sarebbero queste le innovazioni con cui la salute mentale si prepara al futuro? Alle Case della Comunuità Cavicchi dedica ampio spazio, richiamandone peraltro tutte le contraddizioni, a cui, nell’ambito della Salute Mentale, aggiungo questa: che senso ha creare un altro ambulatorio specialistico nella realtà territoriale comunitaria quando questo era il senso dei Centri di Salute Mentale, così come inteso dai primi progetti obiettivo cui quello stesso documento si richiama? Perché questa dispersione del personale e di progetti? Se veramente si vuole innovare qualcosa, non è più semplice collocare i Centri di Salute Mentale per intero nelle Case della Comunità, ponendo fine a separazioni che hanno solo peggiorato lo stigma, e continuando invece interessanti esperienze di inserimento dei CSM nei Distretti?

Ma alla fine due sono le cose che emergono e che ancora una volta si riallacciano alle riflessioni di Cavicchi.

La prima è quella di una gestione “sine baculo” a livello nazionale, che vola molto basso e dove - basta vedere i provvedimenti approntati al Tavolo Tecnico Nazionale Salute Mentale e che hanno animato la Conferenza Nazionale sulla Salute Mentale - si sono molto occupati di contenzione, dei pazienti autori di reato, del ruolo della psicoterapia, o della apologia di Basaglia, ma nulla hanno detto o fatto circa lo stato reale dei servizi ed il loro drammatico impoverimento.

E ci si ritrova con la osservazione di Cavicchi che il pensiero sine baculo sia convinto che i veri problema non siano lo stato della sanità e di una sua eventuale riforma ma quello di una qualche moralizzazione.

E l’altra del perché tutto ciò continui ad accadere nel silenzio, e si lascia che la salute mentale in Italia sia uccisa da una sorta di cinismo incapace.

Andrea Angelozzi

Psichiatra

Leggi gli altri interventi al Forum: Cavicchi, L.Fassari, Palumbo, Turi, Quartini, Pizza, Morsiani, Trimarchi, Garattini e Nobili, Anelli, Giustini, Cavalli, Lomuti, Boccaforno, Tosini.



04 aprile 2023
© Riproduzione riservata


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