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Troppa mediocrità e da troppo tempo (con le dovute eccezioni) nel governo della sanità

di Ettore Jorio

Il binomio costituito da una politica prevalentemente modesta, in complicità con un altrettanto ceto burocratico, troppo fiduciario e spesso esente da valori meritocratici, ha fatto sì che una sanità disegnata bene nel 1978 divenisse un sistema assistenziale precario a tutti i livelli, con la prevenzione e il territorio messi da due decenni in soffitta

02 MAR -

Quando si dice che la sanità nel nostro Paese è trattata male dai Governi e da tutto il sistema istituzionale in essa impegnato più o meno direttamente si dice la verità. Pochi i ministri che si ricordano, a mio avviso, come accettabili, ne cito due a titolo di esempi positivi: Beatrice Lorenzin, che nella funzione riorganizzativa si impegnò anima e corpo senza tuttavia conseguire risultati esaltanti, e Roberto Speranza, per due anni sul ring a boxare con un Covid che picchiava duro, uscito bene anche grazie a capi gabinetto di raffinata cultura giuridica.

Quanto si dice che il dicastero della salute è da un po’ di tempo affidato ad alti dirigenti inadeguati a resuscitare una sanità morente - fatta ovviamente eccezione per quelli storici pieni di cultura e saperi (solo per fare qualche esempio: Filippo Palumbo, Donato Greco, Francesco Bevere e, da ultimo, Andrea Urbani) - corrisponde, sempre a mio avviso, alla realtà.

Insomma, il binomio costituito da una politica prevalentemente modesta in complicità con un altrettanto ceto burocratico, troppo fiduciario e spesso esente da valori meritocratici, ha fatto sì che una sanità disegnata bene nel 1978 divenisse un sistema assistenziale precario a tutti i livelli, con la prevenzione e il territorio messi da due decenni in soffitta. Ciò perché si va avanti a naso, senza programmi e seri controlli. Basti pensare che è dal 2006 che manca un Piano sanitario nazionale e che abbiamo affrontato il Covid senza un Piano nazionale antipandemico.

Le naturali conseguenze a valle

Tutto questo ha naturalmente prodotto a cascata un sistema regionale inadeguato nell’esercitare la regolazione di dettaglio e nel governare la sanità.

Conseguentemente, nulla di premiante e innovativo nella legislazione attuativa regionale, rispetto ai principi fondamentali sanciti dallo Stato (anche essi da ottimizzare e rendere più usufruibili), fatta eccezione per alcuni innesti organizzativi spesso sconcertanti – del tipo le aziende zero – copiati da una regione all’altra senza alcuna utilità pratica. Anzi, siffatte invenzioni hanno prodotto ingenti danni di convivenza istituzionale, determinando scompigli nell’esercizio delle competenze, tanto da frenare e a volte compromettere l’erogazione dei Lea e da generare disappunti e contrarietà negli organici burocratici, senza approdare ad alcunché di positivo.

Insomma, non si è fatto nulla a livello statale a tutela delle diffuse differenze sostanziali evidenziabili nelle regioni, da dover colmare tenendo conto delle diverse esigenze oro-geografiche, demografiche ed economico-culturali, produttive sino ad oggi di prestazioni performative non affatto garanti della salvaguardia del diritto alla salute. Nulla a tutela reale delle persone deboli, delle quali alcune regioni del sud sono piene zeppe rispetto ad altre. Nulla ad avere applicato in melius quanto imparato da un Covid che ha aggredito ovunque, fatto morti a cascata e demolito il credo di possedere un sistema della sanità pubblica straordinariamente efficiente.

Il regionalismo differenziato come occasione da portare avanti, ma bene
Un gap registrato con le attuali regole costituzionali alle quali occorre rimediare, certamente non accentrando le competenze, atteso che i dislivelli assistenziali si sono concretizzati con l’attuale riparto delle competenze e dall’assenza di una pianificazione che manca da 17 anni, bensì investendo su LEBA regionali.

Quei Livelli Essenziali di Buona Amministrazione da fissare, a cura dello Stato, perché vengano osservati unitariamente, indispensabili perché i Lep siano ben percepiti dall’utenza tutta.

Uno strumento da utilizzare da subito per adempiere ai compiti fissati alle Regioni dalla recente circolare Calderoli di contribuire a:

Utilizzando una siffatta occasione per meglio comprendere se e come supporre e approfondire l’analisi di un eventuale accesso delle Regioni alla facultas di aderire all’opportunità offerta dall’art. 116, comma 3, della Costituzione.

La sanità deve, nel frattempo, divenire come scritta negli ideali del 1978 (mai divenuta tale)
Tutto questo, quanto alla tutela della salute andrà ovviamente messo in relazione con l’innegabile sconfitta di uno Stato che ha prodotto un disastro, quanto ad esercizio di funzioni legislative esclusive. Lo ha fatto con il Covid, non assicurando la profilassi internazionale e non elaborando un piano sull’emergenza pandemica, rendendo ridicolo il Paese con le farse dello strumento aggiornato a un decennio prima. Lo ha fatto con politiche espresse da ministri, spesso impegnati a non vedere oltre ciò che è loro più vicino.

Ovviamente, le Regioni hanno anche fatto di loro e male. Da qui, la ricerca di una ridistribuzione delle competenze legislative, funzionali a realizzare una autonomia legislativa differenziata e responsabile, ma fatta bene e non già come si era pensata ai tempi dei referendum di Veneto e Lombardia, dell’istanza avanzata dall’Emilia-Romagna e da tante altre Regioni, anche di quelle che oggi alzano il dito del dissenso sull’attuazione dell’art. 116, comma 3, della Costituzione.

A fronte di tutto questo, occorrono reggenze ministeriali che sappiano cosa fare e bene, specie in questo momento di difficile transizione dal modello tradizionale a quello attributivo di una autonomia legislativa differenziata. A proposito toccherà al Governo nella sua interezza e quotidianamente al ministro Schillaci offrire certezze, attuare principi di regolarità, ragionevolezza, prendere distanza dai particolarismi e dalla accondiscendenza alle piccole esigenze della politica.

Al Ministro della salute tocca essere il baluardo delle garanzie, di diritto e di merito. Un ruolo che buon svolgere, attesa la presenza di un capo gabinetto di alto profilo accademico e di un davvero pregevole responsabile della segreteria tecnica.

Per riuscire in un tale intento, occorre lavorare bandendo alcuni dei brutti esempi offerti dell’attuale reggenza ministeriale, peraltro concatenati l’un l’altro perché utili a mettere “pezze a colori” a vecchi disagi ed eventi non propriamente ammirevoli.

Due vicende inopportune, entrambe riguardanti l’applicazione della disciplina delle aziende universitarie, (riguardanti l’AOU “Policlinico Tor Vergata” e la sedicente AOU “Renato Dulbecco”), sulle quali ci saranno approfondimenti tecnici rinviati ad altro imminente lavoro solo per evitare di appesantire ulteriormente quello odierno.

Ettore Jorio



02 marzo 2023
© Riproduzione riservata


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