È recente la notizia delle sanzioni comminate dal Garante per la Privacy a tre Asl Friulane che, utilizzando degli algoritmi, avevano elaborato i dati presenti nelle banche dati aziendali allo scopo di classificare gli assistiti in relazione al rischio di avere o meno complicanze in caso di infezione da Covid-19. In sostanza, le Asl friulane sono ree di aver “osato” attivare interventi di medicina preventiva e di iniziativa, allo scopo di individuare per tempo i percorsi diagnostici e terapeutici più idonei per categorie di pazienti considerati fragili.
In seguito a un’accurata istruttoria, l’Autorità ha concluso che i dati dei pazienti friulani sono stati trattati senza una base normativa adeguata, senza garantire agli interessati tutte le informazioni necessarie e senza aver effettuato in via preventiva una valutazione d'impatto, così come previsto dal Regolamento europeo sulla Privacy.
Dal canto loro, le aziende hanno obiettato che «chiedere il consenso ad una intera popolazione avrebbe impedito il diritto alla cura e alla salvezza della vita ai pazienti in cura», precisando che la valutazione di impatto non è stata effettuata poiché non si ravvisava un rischio elevato per i diritti e le libertà delle persone fisiche, anche in considerazione della natura, dell’oggetto, del contesto, delle finalità del trattamento, ma soprattutto in ragione del quadro emergenziale in cui il trattamento si inseriva.
Una posizione di assoluto buonsenso, dunque, quella delle Asl friulane, che hanno operato una valutazione pacata dei rischi e delle opportunità e hanno optato per una soluzione assolutamente ragionevole e del tutto condivisibile.
Eppure no, l’inflessibile Garante ha obiettato che la «normativa di urgenza non ha derogato le disposizioni in materia di protezione dei dati personali relative alla valutazione di impatto» e che la profilazione dell'utente, che preveda un trattamento automatizzato di dati personali, può essere effettuata solo nel rispetto di specifici requisiti normativi e garanzie adeguate.
Ebbene, non è mia intenzione entrare nel merito dei risvolti giuridici di una decisione che agli occhi di un comune cittadino non può che apparire paradossale e iniqua. Né è mia intenzione giudicare se ci troviamo di fronte a un eccesso di zelo o a un incontenibile accesso di ardore burocratico da parte del Garante, il cui attuale collegio resterà in carica ancora per altri 4 anni. Però credo che di fronte questa ulteriore manifestazione di inadeguatezza del nostro sistema normativo sia nostra precisa responsabilità – come soggetti che operano nella sanità, stakeholder di diversa provenienza, rappresentanti della politica e delle istituzioni o semplici cittadini – quella di puntare il dito contro queste incredibili storture del nostro sistema sanitario, poiché oggi non sono più giustificabili. Con buona pace del Regolamento europeo sulla Privacy.
Questo vulnus, infatti, appare oggi ancora più inaccettabile, lì dove dal punto di vista tecnico – e tecnologico – le Regioni sarebbero oggi già in grado di effettuare una mappatura delle fragilità finalizzata ad analizzare la situazione sanitaria dell’assistito, prevederne l’evoluzione, valutare l’eventuale correlazione con altri elementi di rischio clinico e mettere in atto in una logica preventiva idonei percorsi – non soltanto diagnostici e terapeutici, ma anche informativi e di counseling – su misura del singolo paziente.
Inoltre, in seguito alla pandemia Covid-19 è emerso in modo ancora più evidente come i dati dei pazienti e il loro utilizzo abbiano acquisito una centralità nel dibattito scientifico, e tale esperienza abbia già aperto la strada ad alcune soluzioni per sfruttare pienamente tali potenzialità. Infine, i possibili sviluppi derivanti dall’uso dei Big Data in ambito clinico-assistenziale e nelle sperimentazioni cliniche, e la proposta della Commissione europea di istituire lo European Health Data Space, rendono questi temi ancora più urgenti e attuali.
Credo, dunque, che non sia più ulteriormente rimandabile una riflessione seria su questi aspetti che coinvolga tutti i soggetti che a vario titolo possono contribuire a offrire il proprio punto di vista per sciogliere, una volta per tutte, quel groviglio che oggi appare inestricabile e che frena ogni possibile sviluppo della medicina preventiva e di iniziativa.
Con la Fondazione The Bridge proseguiremo nel percorso di approfondimento scientifico e di sensibilizzazione già avviato su questi temi e facciamo appello al nuovo Governo e alle Istituzioni competenti affinché si facciano garanti di un dibattito costruttivo con tutti gli stakeholder di riferimento – ricercatori, clinici, operatori sanitari, aziende, associazioni di pazienti e tutti i rappresentanti della società civile organizzata – affinché la valorizzazione, l’utilizzo e la condivisione dei dati sanitari possano finalmente rappresentare un’opportunità di miglioramento del sistema sanitario del nostro Paese.
Rosaria Iardino