Dopo che il governo Meloni in sanità ha confermato surrettiziamente i tetti alle assunzioni (QS 16 dicembre 2022) ho capito che, per la Meloni, la sanità è diventata una palla al piede dalla quale in qualche modo cerca di liberarsi.
Una scelta politica, giustificata dalla crisi economica, discutibile certo, ma chiara: la sanità per il momento la si lascia al suo destino perché le priorità economiche sono altre. Punto.
La riconferma dei tetti alle assunzioni, per lasciare la sanità al suo destino è un atto che conferma una strategia neoliberista quasi obbligata.
Siamo al corto circuito: sparisce l’antinomia destra/sinistra e la destra per ragioni economiche fa esattamente quello che ha fatto la sinistra. Per entrambi la povera sanità resta un imbarazzante problema finanziario che si risolve solo negandola.
I tetti sono un siluro lanciato contro i diritti
Bisogna chiarire un equivoco. I tetti prima di tutto non sono un problema di chi lavora (anche) quindi un problema sindacale, ma prima di tutto sono un problema per i cittadini.
I tetti non servono prima facie a ridurre i costi del lavoro ma a ridurre i costi del diritto.
La scelta di mantenere i tetti equivale alla scelta di ribadire il conflitto tra neoliberismo e welfarismo. Essa è politicamente molto più grave della decisione di sottofinanziare la sanità perché con i tagli lineari si colpisce l’insieme del sistema ma con i tetti si colpiscono al cuore i diritti delle persone.
Per questa ragione sbaglia chi considera i tetti semplicemente un limite finanziario da rimuovere sic et sempliciter. Non è così semplice. Il problema non è solo il limite. Quel limite in realtà è una politica intrinsecamente contro- riformatrice. E’ questa politica che spiega perché abbiamo i tetti da almeno 23 anni.
Oltre la logica neoliberista
Il punto di partenza di questo nuovo ragionamento è cambiare il presupposto: il lavoro è un capitale perché senza di esso i diritti non sono possibili.
Se il lavoro è un capitale allora togliere i tetti equivale ad una crescita del capitale quindi se prima non si trova il modo di finanziare la crescita del capitale, rimuovere i tetti resta possibile.
Togliere i tetti ha un costo perché senza tetti il costo del lavoro cresce e non di poco.
Se prima non si decidono i modi attraverso i quali si finanziano i nuovi costi del lavoro levatevi dalla testa la possibilità di togliere i tetti.
Il lavoro come capitale
L’imposizione dei tetti alle assunzioni se il lavoro lo consideriamo un capitale, altro non è se non una strategia di de-capitalizzazzione della sanità.
La de-capitalizzazione della sanità è una politica prettamente neoliberista pensata contro i diritti. La ricapitalizzazione al contrario è una strada welfarista e keynesiana pensata per i diritti.
Ma considerare il lavoro un capitale per il sindacato è la cosa più difficile da fare. Il sindacato nella sua storia non si è mai posto l’obiettivo di contrastare la de-capitalizzazione del lavoro con una strategia opposta, cioè con una strategia di ricapitalizzazione, per la semplice ragione che esso non ha mai considerato il lavoro un capitale.
In tutti gli statuti sindacali che ho consultato (compresi quelli confederali) il lavoro non è mai definito come un capitale ma come un generico “interesse da tutelare” articolato in mille modi diversi e in mille forme diverse (si veda in particolare lo statuto della CGIL dell’Anao e della Cimo della Fimmg) intendendo però per interesse principale quello salariale non quello del malato. Quello del malato cioè il diritto al diritto in questi statuti è sempre una petizione di principio peraltro molto sottintesa.
Per il sindacato in pratica il lavoro è sempre stato un salario da negoziare riparametrandolo di tanto in tanto con degli aggiornamenti contrattuali. Quelli che in altre occasioni ho chiamato scherzosamente la politica delle mollichelle.
Ma come è noto il capitale è una cosa e il salario è un’altra cosa.
Difendere il salario e difendere il capitale sono strategie molto diverse.
Il problema vero è difendere i diritti soprattutto in emergenza
Che i tetti siano da interpretare come misure prima di tutto contro i diritti risulta chiaro da una sentenza dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato del 12 aprile 2012.
I tetti per loro natura si inscrivono nell’ambito del “quasi-mercato” delle prestazioni sanitarie, soprattutto, dice il Consiglio di Stato, quando “un contesto è segnato da pressanti esigenze di contenimento dei costi e di riequilibrio del bilancio”.
In una emergenza economica è lecito imporre i tetti alle assunzioni perché in una emergenza è lecito per un governo subordinare i diritti alle esigenze di bilancio. L’adunanza plenaria dice che in una crisi economica non è per niente blasfemo considerare il diritto alla salute un “diritto finanziariamente condizionato”.
Io sono di parere diverso in una emergenza economica i diritti restano inalienabili invece di imporre dei tetti alle assunzioni serve trovare (o se si preferisce negoziare) altri modi per rendere compossibili i diritti con l’emergenza economica.
Ribadisco la mia idea che la logica della compossibilità è altra cosa dalla logica della compatibilità. Con la prima i diritti non si toccano con la seconda i diritti li perdi per strada.
Oggi la Meloni nella più perfetta continuità con il centro sinistra rispetto alla sanità riproponendo i tetti non fa altro che mettere in pista una legislazione emergenziale di natura compatibilista quindi subordinando i diritti alle necessità economiche, esattamente come hanno fatto i governi che fino ad ora l’hanno preceduta.
Se non si va oltre la logica compatibilista che giustifica i tetti i tetti non si toglieranno mai
Faccio solo notare che da quasi mezzo secolo la sanità è sempre stata in emergenza. Non si può essere sempre in emergenza e meno che mai essere per tutta la vita dei compatibilisti.
Piccola storia dei tetti
I tetti alle assunzioni sono stati introdotti dal governo Berlusconi IV e facevano parte della politica dei tagli lineari nella legge Finanziaria del 2010 (191/2009). E da allora in poi ribaditi in vario modo dai governi che sono venuti dopo fino ad arrivare di governo in governo al governo Meloni.
L’operazione che fa la Meloni, a parte legarla all’attuazione del Dm 70 quindi del PNRR (sic), è molto simile a quella fatta nel 2019 dall’ex ministro Grillo. Cioè è una finta abolizione.
Nell’emendamento Grillo il tetto in realtà viene solo formalmente superato, ma sapendo che le regioni che potevano (con soldi propri) lo avevano già abbondantemente superato.
In sostanza l’emendamento Grillo cancella il tetto ma a costo zero, se si escludono quei 55 milioni derivanti dall'unico incremento concesso pari al 5% dell'aumento del fondo sanitario regionale rispetto all'anno precedente (QS 26 marzo 2019).
La Meloni fa più o meno la stessa cosa ribadisce i tetti ma li lima solo un po’ anche lei limitandosi al 5%. Ma con il 5% il problema del blocco non è risolto ma solo aggirato e di nuovo a scapito delle regioni e a scapito degli operatori e dei cittadini
La quarta riforma
Io, nella abitudinaria indifferenza dei sindacati (peccato) e della maggior parte dei commentatori che continuano a dirci che per salvare la sanità pubblica bisogna fare riforme senza mai dirci quali riforme fare e chi le deve fare, in questi anni come molti di voi sanno ho proposto la “quarta riforma”. Cioè ho proposto di fare quello che null’ultimo congresso Anaoo è stato definito ma solo pensando agli altri escludendo se stessi il cambio di paradigma (QS 11 luglio 2022).
La tesi politica centrale della quarta riforma è che il lavoro è un capitale e che attraverso la sua “ricapitalizzazione (valorizzazione) è possibile risolvere almeno i due problemi che il neoliberismo non è in grado di risolvere a parte annientare i diritti e che spiegano perché di nuovo i tetti:
La scelta politica di fondo che fa la quarta riforma è considerare il lavoro come un capitale e fare della ricapitalizzazione l’asse strategico fondamentale per il cambiamento.
Io penso che i tetti oggi nel quadro emergenziale dato non si possono superare al di fuori di una strategia di ricapitalizzazione del lavoro cioè al di fuori di un negoziato che scambi una nuova idea di lavoro con nuove utilità e una nuova retribuzione.
E’ difficile superare i tetti se non ripensiamo la correlazione tra retribuzione e produttività andando oltre le vecchie logiche del salario aggiunto o accessorio.
Per me che considero il lavoro un capitale la produttività è ciò che garantisce la compossibilità tra:
Se però continuo a considerare il lavoro solo salario la produttività non potrà andare oltre la logica tradizionale del salario aggiunto dei fondi accessori e delle indennità.
Convinto come Piero Sraffa che, soprattutto in sanità, è il lavoro il vero capitale che crea valore e che garantisce i diritti per me il superamento dei tetti è possibile solo a condizione di ridefinire il valore aggiunto del lavoro inteso come capitale.
Conclusioni sconsolate
Per contrastare i tetti bisognerebbe fare un sacco di cose, cioè fare dei cambiamenti, delle “quarte riforme” appunto.
Però non vedo un pensiero e non vedo un pensiero attento al pensiero. Non vedo la voglia di cambiare
Cambiare idea di lavoro non è facile. Ma senza questo cambiamento strategico i tetti non saranno mai superati e meno che mai il neoliberismo sarà sconfitto. Se non cambiamo idea di lavoro perderemo tutto.
Ivan Cavicchi