In una prospettiva di necessario mutamento organizzativo richiesto dal PNRR, appare improcrastinabile una seria e complessiva riflessione su vari aspetti critici, relativi al personale del SSN, a cominciare da una corretta programmazione dei fabbisogni di personale, per avere contezza di quante risorse servono in una prospettiva di medio termineper poi tradurli in fabbisogni formativi.
Ad oggi, per esempio, non appare ancora approfondito il raccordo tra DM 70 e DM 77, se, cioè, lo sviluppo della sanità territoriale debba comportare la revisione della rete ospedaliera, con conseguente revisione dei relativi fabbisogni di personale.
Al fine di definire compiutamente i fabbisogni della rete territoriale, appare necessario capire quale saranno i nuovi bacini della rete ospedaliera e come utilizzare quello che già esiste sul territorio ovvero come raccordare le attività di presa in carico ospedaliera con quelle territoriali, poiché certamente questo avrà ricadute in termini di fabbisogni del personale.
In altre parole, occorre una opera di reingegnerizzazione e ripensamento delle reti ospedaliere, in connessione con quelle territoriali, trattandosi necessariamente di un processo di “vasi comunicanti”.
Quanto alla individuazione dei fabbisogni, essenziale per una corretta programmazione formativa assente da anni, il DM 77 prevede un contingente minimo orientativo per le varie tipologie di strutture presenti sul territorio, mentre siamo in attesa di conoscere il parere dei Ministeri sulla proposta di standard di personale, elaborato da Agenas, per le strutture ospedaliere. Certamente, non è più concepibile un vincolo economico all’acquisizione del personale parametrato sugli organici del 2004!
A questo proposito c’è da tenere presente che alcune modifiche organizzative, con relativo assorbimento di risorse umane, sono entrate a far parte del sistema in maniera stabile ed istituzionale, fuori dalle logiche provvisorie di profilo emergenziale: il doppio percorso nei Ps (cd. sporco e pulito), il potenziamento dei reparti di malattie infettive, la maggiore disponibilità di posti letto intensivi e subintensivi, lo sviluppo della teleassistenza e il governo clinico in rapporto sinergico con il territorio, per assicurare l’assistenza di secondo livello, di prassi assente sul territorio.
Certo è che negli anni pregressi è totalmente mancato uno strutturato raccordo tra esigenze assistenziali e fabbisogni formativi e non ci potremo più permettere questo scollamento per il futuro.
A questo proposito è particolarmente importante avviare un serio confronto tra professioni sull’ipotesi di skill mix change conforme alla nuova organizzazione indotta dal DM 77, che necessariamente avrebbe un impatto sui fabbisogni di personale e sui fabbisogni e programmi formativi delle professioni da mettere subito in campo.
Un esempio tra tutti l’infermiere di famiglia e comunità, figura professionale nata in periodo pandemico e stabilmente sancita nel DM 77, che va, tuttavia, riempita di contenuti, anche tenendo conto del supporto che detta figura può costituire per le cure primarie, rispetto alle quali il problema delle carenze è gravissimo, e del fondamentale ruolo assunto dalle farmacie dei servizi, con le quali sarebbe fondamentale impostare uno stabile ed articolato raccordo, particolarmente utile nelle aree interne, dove alcune esperienze (ad esempio: Asl 3 Genova) hanno dimostrato che un collegamento strutturato tra farmacia, infermiere di comunità e mmg riesce a garantire una efficace presa in carico di piccole isolate comunità.
Oggi le professioni sanitarie non mediche hanno sviluppato sul campo skills professionali che vanno assolutamente tradotti in competenze riconosciute e standardizzate. Su questo versante, un ausilio importante arriverà dall’applicazione del recente CCNL del comparto sanitario.
Parimenti necessario risulta definire il ruolo e le funzioni dell’Operatore Socio Sanitario, in una nuova visione assistenziale determinata dal recente inserimento della figura nell’area delle professioni sociosanitarie, per la quale è urgente predefinire un percorso formativo, oggi assegnato alle Regioni, che sia omogeneo in tutta Italia.
Oltre al problema di una corretta programmazione dei fabbisogni formativi sulla base di uno standard nazionale, sia per i medici che per le altre professioni sanitarie, esiste un tema di immediata rilevanza costituito dalla grave carenza di medici per alcune discipline.
Dobbiamo ricordare che, senza la possibilità di assumere specializzandi degli ultimi anni di specializzazione, prevista dalla recente normativa, non saremmo stati in grado di fronteggiare la pandemia.
Una soluzione potrebbe essere quella di acquisire, già dal primo anno di specializzazione, medici in formazione con lo status di dirigente medico con rapporto di lavoro subordinato, configurandoli come medici già abilitati al rapporto di lavoro, ai quali vengano progressivamente attribuite competenze sulla base dell'autonomia acquisita e della verifica delle competenze (contratti formazione lavoro), come già ipotizzato da una proposta di legge presentata nella precedente legislatura.
Un problema a sé è rappresentato dalla carenza di medici di urgenza: non c’è dubbio che, per questa disciplina, i livelli di stress, l’attività prestata in un ambito che sconta grande insoddisfazione sociale, di cui sono prova le frequenti aggressioni da parte degli utenti, l’elevata conflittualità giudiziaria non consentono nemmeno di coprire i posti messi a disposizione per la specializzazione.
Occorre, quindi, un intervento di grande impatto, come riconosciuto dallo stesso Ministro della Salute, a fronte di previsioni che, tuttavia, appaiono, allo stato, piuttosto deboli nell’atto di indirizzo del Comitato di settore per il rinnovo del contratto 2019-2021 dell’Area Sanità.
La discussione ferve anche circa la modalità di accesso per le professioni sanitarie, essendo invocata da più parti (ma esistono anche molte posizioni contrastanti) l’eliminazione del numero chiuso, che sconta anche il problema della carenza di organici universitari a disposizione. Altra questione rilevante relativa all’accesso riguarda l’esigenza di strutturare un percorso di specializzazione universitaria per i medici di medicina generale, considerato uno dei tasselli dell’invocata riforma delle cure primarie, che ancora segna il passo.
Sicuramente sarebbe opportuna anche una revisione dei programmi universitari e formativi rispetto ai contenuti, che dovrebbero essere maggiormente orientati alla riforma che si sta mettendo in campo.
Ad oggi, la formazione universitaria di tutte le professioni sanitarie è orientata soprattutto sul versante dell’assistenza ospedaliera, mentre occorre un tempestivo reindirizzamento dei programmi in ottica PNRR, compresa l’alfabetizzazione tecnologica orientata alla teleassistenza.
Il professionista sanitario e quello amministrativo, professionale e tecnico non sono più quelli di ieri e il necessario mutamento organizzativo non può non ripercuotersi sulla implementazione e aggiornamento dei contenuti formativi delle professioni.
Occorrono professionisti sanitari che abbiano la competenza clinica e gestionale per programmare una reale e completa presa in carico sul territorio, relazionandosi con il mondo del sociale per i soggetti non autosufficienti, destinati a crescere, visto il quadro demografico e sociale.
Sarebbe particolarmente utile una scuola di formazione nazionale permanente, organizzata per aree regionali, per i ruoli tecnici, amministravi e professionali dei dipendenti del SSN, in grado di orientare gli assetti organizzativi secondo le esigenze indotte dalle trasformazioni del sistema a seguito degli investimenti realizzati con il PNRR. Abbiamo bisogno di people management, operation management, service designers, esperti di data analysis, stakeholders management, tutti profili quasi assenti tra i dipendenti del SSN.
Altra riflessione riguarda le modalità di acquisizione del personale. Durante la pandemia abbiamo potuto utilizzare percorsi di assunzione semplificati e celeri, ma certamente a discapito di una maggiore selettività collegata alla canonica pluralità di prove concorsuali. Probabilmente è ora di riflettere sulle migliori modalità di acquisizione del personale.
Per esempio, il D.L. n. 158/2012 ha fortemente limitato la possibilità di attivare contratti dirigenziali a tempo determinato ex 15 septies per dirigenti amministrativi, tecnici e professionali, limitando, di fatto, la possibilità di ricorrere a profili specialistici presenti nel mercato privato ed assenti nella filiera dei dipendenti pubblici, che, di norma (sempre per i concorsi da dirigente amministrativo), devono attendere 5 anni da collaboratore per poter accedere alle procedure concorsuali dirigenziali.
Bisognerebbe riflettere, come suggerito dal Cergas Bocconi, su un meccanismo di reclutamento simile a quello presente nel Regno Unito (sorta di corso-concorso), dove il NHS bandisce ogni anno borse di studio per i migliori master internazionali di management e policy sanitaria per giovani neo-laureati, a cui offre successivamente contratti di inserimento a tempo determinato, accompagnato da percorsi di crescita professionale basati su programmi di rafforzamento delle competenze, anche con processi di affiancamento, bench learning, sperimentazioni sul campo.
Bisogna, inoltre, prevedere percorsi formativi specifici post universitari per alcune figure strategiche, quali, ad esempio, i direttori di distretto, funzione cruciale della nuova sanità territoriale, ma anche per figure di confine tra mondo sanitario e mondo sociale, come pure una programmazione dei territori per la salute in tutte le politiche (molto interessante a questo proposito il progetto formativo dell’health city manager, realizzato con fondi europei, da Health City Institute).
Infine, rimangono sul tavolo i problemi annosi: la bassa remunerazione delle professioni rispetto ai colleghi europei, la parità di trattamento salariale tra chi opera in aree socialmente attrattive e chi opera in aree di particolare disagio (emergenza, aree interne, aree provinciali), scarsa valorizzazione del merito, modesti percorsi di carriera, peraltro ancora agganciati, in ingresso, all’anzianità di servizio.
Il prossimo contratto della dirigenza dovrà necessariamente tenere conto di una particolare valorizzazione degli incarichi di processo (anche interaziendali) per il governo delle reti ciniche e dei percorsi di continuità assistenziale. Le logiche organizzative del vigente CCNL della dirigenza premiano approcci monodimensionali basati su unità operative, senza premiare sufficientemente la multidimensionalità e le responsabilità di raccordo.
Sarebbe, altresì, utile, nell’ambito dei CCNL, prevedere meccanismi contrattuali di incentivazione, anche interregionali, per favorire la mobilità temporanea o anche il gemellaggio/rotazione (presenze programmate: ad es. un giorno la settimana, o una settimana al mese) dalle aree “più attrattive” (aree urbane/di best practices) a quelle “meno attrattive” (interne, di provincia, di minor prestanza in termini di outcomes) per creare “comunità di pratica”, secondo un meccanismo di bench learning.
Andrebbero, inoltre, previsti, strumenti per premiare maggiormente il merito e le potenzialità individuali, quali percorsi formativi specifici (master, corsi di alta formazione, stage all’estero per acquisire nuove tecniche, stage presso strutture con risultati eccellenti nel medesimo ambito organizzativo/disciplinare). Si potrebbero rendere più attrattive le sedi disagiate con turni più leggeri, maggiore retribuzione, velocizzazione carriera, uscita dai turni h24 ad una età definita dal CCNL.
Un problema che si va diffondendo sempre più è quello delle dimissioni del personale medico e l’approdo al mondo privato. Le motivazioni sono legate soprattutto a maggiori retribuzioni, progressioni di carriera, incentivi nel mondo privato rispetto al mondo pubblico.
Non è un caso che, tra le proposte di autonomia differenziata richieste dalle Regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, le principali riguardino il personale: la rimozione di vincoli di spesa in materia di personale stabiliti dalla normativa statale, la possibilità di finanziare un maggiore accesso alle scuole di specializzazione, l’integrazione operativa dei medici specializzandi con il sistema aziendale, la possibilità di stipulare, per i medici, contratti a tempo determinato di “specializzazione lavoro”, come strumento alternativo all’accesso alle scuole di specializzazione, la facoltà, in sede di contrattazione integrativa collettiva, di prevedere per i dipendenti del SSN incentivi e misure di sostegno, anche avvalendosi di risorse aggiuntive regionali.
Il nuovo contratto della dirigenza non potrà non tenere conto di questi aspetti. La politica degli ultimi contratti, a partire dal 2005, anche a causa della carenza di risorse messe in campo, è stata quella di un tendenziale appiattimento delle retribuzioni, di scarse prospettive di carriera, di una quota irrilevante per premiare il merito e compensare il disagio lavorativo. Ormai serve una terapia d’urto per riparare una situazione che non è mai stata di così grave disaffezione nei confronti del lavoro pubblico in area sanitaria.
Un ultimo cenno sui direttori generali. Dalla costruzione del SSN, passando attraverso l’aziendalizzazione, hanno dato prova di grande capacità di cambiamento dei sistemi, non ultimo con un banco di prova tra i più impegnativi nel quale potessero cimentarsi, vale a dire la pandemia.
Quello che ormai non risulta più accettabile è che la retribuzione del top management del SSN (ferma al 2001!) non sia, ad oggi, correlata alle accresciute dimensioni medie delle aziende del SSN - e dei correlati livelli di responsabilità, di ogni tipo e profilo - e non risulti economicamente competitiva con riguardo a omologhe posizioni dirigenziali, essendo i salari inferiori del 50% rispetto a ruoli analoghi nel settore sanitario privato e del 30% inferiori a quelli del top management delle amministrazioni pubbliche, spesso molto meno soggetti ai pesantissimi rischi ai quali è assoggettata la classe dirigente sanitaria.
Certo è che, senza affrontare questi nodi, sarà difficile avere una rinnovata e moderna governance per un nuovo SSN.
Per contribuire allo sviluppo del dibattito sulle politiche per il personale, Federsanità e Crea Sanità hanno avviato una survey su queste tematiche, indirizzata alle Direzioni strategiche: i risultati verranno illustrati e discussi nel corso del Forum Risk management di Arezzo, con l’obiettivo di formulare proposte condivise di riforma del settore.
Tiziana Frittelli
Presidente Nazionale Federsanità
Federico Spandonaro
Università San Raffaele Roma - C.R.E.A. Sanità