Indebolita da oltre due anni di pandemia, la salute degli italiani è in equilibrio precario e le previsioni per il futuro non si prospettano tanto rosee.
La sua stabilità - peraltro già traballante in molte realtà - è stata compromessa dal calo delle visite di controllo (con un peso elevato soprattutto sulle cronicità) e specialistiche, dal peggioramento per molti versi degli stili di vita degli italiani (per esempio dal 2019 al 2020 si è assistito a un aumento dei consumi di alcolici pari al +6,5% per i maschi e al +5,6% per le femmine e da una riduzione della quota di sportivi regolari).
Soprattutto è stata resa ancor più precaria dalla riduzione, nelle strutture sanitarie travolte dallo tsunami pandemico, della presa in carico e della continuità assistenziale per i pazienti con patologie acute e croniche. Una “ridotta” assistenza causata dal rinvio di attività chirurgiche programmate e ambulatoriali, dalla riorganizzazione delle strutture di assistenza e dalla riallocazione del personale, nonché dall’assorbimento pressoché totale delle risorse territoriali.
In calo anche gli interventi programmati, strategici per la prevenzione e contrastano la mortalità evitabile. Un esempio per tutti, l’intervento di bypass coronarico: nel 2020, un valore pari a 76,6 per 100mila, in diminuzione rispetto al 2019 (100,9 per 100mila).
“La pandemia ha drasticamente tagliato i ricoveri, sia perché i pazienti per paura si sono rivolti meno all’ospedale in caso di urgenze, sia perché il sistema ospedaliero non ha retto l’impatto dirompente del Covid – sottolinea Ricciardi – chiaramente ciò non è privo di conseguenze a breve e a lungo termine per la salute degli italiani; basti pensare che un ictus non trattato con la dovuta tempestività si traduce spessissimo in una disabilità permanente che ha costi umani, sociali e sanitari non indifferenti. Inoltre, il calo degli interventi programmati per diverse procedure chirurgiche che rappresentano tra l’altro un indicatore di qualità e appropriatezza organizzativa dell’attività ospedaliera – continua Ricciardi – suggerisce che nei prossimi anni non solo gli ospedali dovranno smaltire i ritardi accumulati, ma si troveranno anche ad affrontare un carico di morbidità, cronicità e disabilità generato proprio dagli interventi troppo posticipati o non eseguiti”.
Con la pandemia calano anche le coperture vaccinali. Impatti negativi importanti anche sul fonte vaccinale: nel 2020 nessuna vaccinazione obbligatoria raggiunge il target raccomandato dall’Oms del 95%. Nell’ultimo anno i valori di copertura più alti si osservano per Tetano (94,04%), Pertosse (94,03%) e Poliomielite (94,02%), mentre Parotite (92,47%), Rosolia (92,21%) e Varicella (90,28%) presentano i valori più bassi.
Calati i proventi delle aziende sanitarie. Anche il Ssn ha subito notevoli contraccolpi: c’è stata una contrazione notevole dei proventi propri delle aziende sanitarie (per esempio ticket e libera professione). I dati relativi alla compartecipazione alla spesa farmaceutica indicano una netta diminuzione: se nel periodo 2016-2019 ammontava a 1,6 miliardi (mld) medi annui, nel 2020 scende a 1,5 mld e tra gennaio-maggio 2021 è pari a 0,6 mld. Anche i proventi per l’assistenza specialistica appaiono ridotti: nel periodo 2016-2019 ammontavano a 1,8 mld annui; nel 2020 calano a 1,2 mld; tra gennaio-maggio 2021 il dato è di 0,6 mld.
Nuove risorse ma ancora insufficienti. Come spesso accade, ricordano gli autori del Rapporto nella prefazione ”una emergenza come quella che stiamo vivendo diventa un’opportunità per rivedere alcune scelte e strategie, per migliorare e rendere più efficace ed efficiente un sistema”. Infatti, si è avviato un processo virtuoso per ridisegnare l’organizzazione del Ssn e impegnare maggiori risorse per investimenti finalizzati alla modernizzazione. Un progetto di rinnovamento che sarà reso possibile grazie al piano predisposto dall’Ue, il Next Generation EU, finanziato con il Fondo per la Ripresa e Resilienza, per accedere al quale i Paesi devono presentare un pacchetto di investimenti e riforme: il Pnrr. Il nostro Paese, ha infatti previsto una specifica missione sulla Salute, sul piatto ci sono 15,63 miliardi di euro, dei quali 7 sono per l’assistenza sanitaria territoriale, le reti di prossimità, le strutture e la telemedicina e 8,63 miliardi per l’innovazione, la ricerca e la digitalizzazione del Ssn. A queste risorse si aggiungono altri 2,9 miliardi di euro che andranno a valere sul Fsn.
”Si tratta di importanti investimenti per la modernizzazione del sistema - aggiungono - anche se permane una atavica carenza di risorse economiche per la gestione corrente che ci colloca ancora al di sotto dei maggiori Paesi dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico”. In sostanza, rimarcano, ”gli stanziamenti previsti nella Legge di Bilancio per il 2022 appaiono ancora insufficienti per far fronte al costo dell’innovazione e all’aumento della domanda sanitaria connessa all’invecchiamento della popolazione. Il nuovo livello del finanziamento del Ssn per il periodo 2022-2024 è stato fissato, rispettivamente, in 124.061, 126.061 e 128.061 milioni di euro”. Incoraggiante, ma solo nel segnale, l’ulteriore incremento del finanziamento, per aumentare il numero di contratti di formazione specialistica dei medici, rispettivamente, per 194, 319 e 347 milioni di euro nel triennio.
a cura di Ester Maragò