Tumori e fertilità. Il 20% delle donne non informata sulle strategie per preservarla
15 MAG - Si stima che in Italia, nel 2012, siano stati diagnosticati circa 364.000 nuovi casi di tumore maligno, di cui circa 11.000 a pazienti con età inferiore ai 40 anni. Molte neoplasie e diversi trattamenti possono compromettere la fertilità, creando disagio psicologico e sociale ai pazienti. È importante, quindi, informarli precocemente dei possibili danni alla fertilità e delle strategie esistenti per preservarla. Se per gli uomini tale aspetto viene più facilmente trattato al momento della pianificazione del progetto terapeutico, anche per l’efficacia, la rapidità e la sicurezza del processo di raccolta e conservazione dei gameti maschili, nel caso delle giovani pazienti i curanti sono più restii ad affrontare l’argomento. Nel caso delle bambine in età pre-pubere, poi, la questione è ancora più complessa. A partire dal riscontro di queste lacune, l'Associazione italiana malati di cancro (Aimac) ha collaborato al pioneristico progetto “Strategie sinergiche per la diffusione della cultura della preservazione della fertilità nei pazienti oncologici: approccio integrato tra medicina della riproduzione ed istituzioni”, finanziato dal Ministero della Salute, insieme al Registro di Procreazione Medicalmente Assistita dell’Istituto Superiore di Sanità, l’U.O. di Scienze della Natalità dell’Ospedale San Raffaele di Milano e coinvolgendo il Servizio di Psicologia dell’Istituto Regina Elena di Roma e l’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom).
Le attività del progetto comprendevano uno studio esplorativo volto a indagare il livello di soddisfazione delle pazienti ammalate di cancro rispetto all’informazione ricevuta dai medici relativamente all’impatto che i trattamenti anti-tumorali hanno sulla fertilità e alle strategie atte a preservarla. Anche se i dati ottenuti potrebbero riflettere una situazione presente solo in alcune strutture oncologiche italiane, perché non in tutte sono presenti referenti medici e paramedici con una preparazione adeguata sull’argomento, essi indicano che al 77,6% delle pazienti intervistate era stata offerta l’informazione sui potenziali danni delle cure sull’apparato riproduttivo e il 57,8% era stato informato sulle diverse metodiche per una possibilità di preservazione della fertilità. Soltanto il 16,6% delle donne aveva scelto di attuare una di queste metodiche prima dei trattamenti. Questi dati indicano che, in circa il 20% dei casi si era discusso dell’effetto negativo delle terapie senza fornire una possibile strategia per limitare i danni indotti da queste. Inoltre, osservando il numero esiguo di pazienti che avevano scelto di preservare la fertilità, si può ipotizzare che non tutte fossero state informate sull’efficacia delle metodiche di preservazione della stessa.
Allo scopo di fornire informazioni chiare e scientificamente fondate, in collaborazione con gli altri partner del progetto Aimac ha realizzato il libretto “Madre dopo il cancro e preservazione della fertilità”.
“Il desiderio di maternità è di per sé vita, è guardare oltre la malattia sperando in un ritorno alla normalità dopo le cure - ha affermato
Elisabetta Iannelli, segretario generale Favo - le richieste di aiuto e di informazione sulla possibilità di preservare la fertilità e quindi di diventare madre dopo il cancro sono sempre più numerose, sia per l’aumento delle diagnosi di tumore in età giovanile sia per i migliori risultati delle terapie. Questa pubblicazione vuole portare un messaggio di conforto e speranza a tutte le donne che si sono ammalate, ma che vogliono vincere la vita progettando di diventare madri dopo il cancro”.
Il libretto, disponibile gratuitamente sul sito www.aimac.it, è strutturato per orientare le giovani donne che si ammalano sul tema della preservazione della fertilità e della genitorialità dopo il cancro. Oltre a presentare le principali strategie di preservazione della fertilità (soppressione ovarica con analogo LH-RH, criopreservazione degli ovociti, criopreservazione embrionaria, crioconservazione del tessuto ovarico), la pubblicazione affronta il tema della genitorialità adottiva e della gravidanza dopo il cancro. A quest’ultimo proposito, infatti, sono ancora vive le preoccupazioni sui possibili effetti nocivi dei pregressi trattamenti sulla gravidanza e sullo sviluppo del bambino, eppure i pochi dati disponibili non dimostrano un aumento del rischio di difetti genetici o di altro tipo nei nati da donne precedentemente sottoposte a terapie antineoplastiche, ma si osserva un tasso di aborto relativamente più alto (20-44%) rispetto a quello della popolazione non trattata. E’ consigliabile comunque un monitoraggio più attento della gravidanza, dal momento che è stata osservata un’aumentata incidenza di complicazioni da parto, tagli cesarei, nascite pre-termine o neonati con un basso peso alla nascita nella donne trattate rispetto ai controlli.
Altro timore diffuso è che la gravidanza possa influire su una eventuale ripresa di malattia nella madre. Tuttavia, i dati clinici attualmente disponibili suggeriscono che le donne che hanno avuto una gravidanza dopo la diagnosi di tumore mammario non hanno una prognosi peggiore rispetto alle donne che non l’hanno avuta. E’ comunque consuetudine diffusa suggerire di attendere almeno due anni dalla fine dei trattamenti, anche se è più ragionevole, nella pratica clinica, tener conto della possibilità di suggerire tempi diversi di attesa, in rapporto alla prognosi della malattia e all’età della paziente. In questo campo molto delicato, è necessaria una corretta comunicazione, fra l’oncologo, il paziente e il medico specialista in riproduzione umana per definire una corretta programmazione della gravidanza che tenga conto del rischio di recidiva e della prognosi oncologica.
15 maggio 2013
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