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Orario di lavoro in eccesso e danni per la salute. Cosa dice la Cassazione

di Domenico Della Porta

31 MAG - Lo studio dell’Oms e dell’Oil (al quale ha preso parte anche Inail) in cui viene evidenziato l’incremento del rischio di cardiopatia ischemica e ictus in prestatori d’opera che lavorano più di 55 ore a settimana, ha suscitato non poche preoccupazioni tra gli operatori del comparto sanità che hanno aderito, oltre il proprio impegno orario contrattuale, a partecipare alla campagna vaccinale anti Covid 19.
 
Non a caso il direttore del Dipartimento dell’Istituto assicuratore di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale Sergio  Iavicoli ha dichiarato, tra l’altro, che sono: “Necessarie iniziative mirate per proteggere i lavoratori più esposti”.
 
Ecco perché vale va pena ricordare la sentenza della Corte di Cassazione n.5066 del 2018 in cui viene trattato il caso del di un dipendente soggetto a stress lavorativo per via di un’eccessiva usura, causata dal ricorso continuo agli straordinari. Nella ordinanza, infatti,   la Cassazione ha ritenuto indennizzabile il dipendente sottoposto a troppe ore di straordinario anche se la malattia professionale non rientra nelle tabelle dell’Inail.
 
Ovviamente resta il fatto che il lavoratore è chiamato a dimostrare di aver subito un danno alla salute: attenzione però chi è stakanovista per propria vocazione o, per sua particolare indole, si preoccupa per nulla e, a causa di ciò, si ammala non può chiedere risarcimenti all’azienda che, in questo, non ha alcuna colpa se si è sempre comportata bene.
 
Nel caso di specie la Cassazione ha riconosciuto il risarcimento e la rendita Inail al lavoratore affetto da crisi di depressione e attacchi di panico determinati dall’eccessivo lavoro. Un numero alto di ore di straordinari aveva causato al ricorrente un forte stress, accompagnato da stati depressivi e attacchi di panico. Nel giudizio, l’interessato è riuscito a dimostrare che la malattia era stata determinata proprio dall’ambiente lavorativo e non da altre cause.
 
A tal proposito ci sembra utile riproporre uno stralcio della sentenza in questione.
 
Esistono a riguardo delle malattie cosiddette tabellari, riportate in un elenco per le quali spetta in automatico l’indennizzo dell’Inail. Questo non significa però che eventuali ulteriori patologie non siano indennizzabili; l’unica differenza sta nel fatto che per le malattie professionali non indicate nelle tabelle spetta al dipendente dimostrare il danno e la lesione alla salute.
 
Secondo la Corte, anche se non è tabellata, va comunque indennizzata la malattia professionale che causa ansia e stress al dipendente sottoposto a molte ore di lavoro straordinario. Il lavoratore, in questi casi, dovrà soltanto dimostrare la consequenzialità l’ambiente di lavoro e la malattia diagnosticata. Sono infatti indennizzabili – continua la Cassazione – «tutte le malattie di natura fisica o psichica la cui origine sia riconducibile al rischio del lavoro, sia che riguardi la lavorazione, sia che riguardi l’organizzazione del lavoro e le modalità della sua esplicazione». È illegittima qualsiasi distinzione in tal senso, «posto che il lavoro coinvolge la persona in tutte le sue dimensioni, sottoponendola a rischi rilevanti sia per la sfera fisica che psichica».
 
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale – evidenziano infatti i giudici – a rilevare non è solo il rischio specifico proprio della lavorazione, ma anche il cosiddetto rischio specifico improprio «non strettamente insito nell’atto materiale della prestazione ma collegato con la prestazione stessa»: un principio, questo, applicabile anche quando si parla di malattie professionali. In questo contesto, per la Cassazione nel momento in cui il lavoratore è stato ammesso a provare l’origine professionale di qualsiasi malattia, sono necessariamente venuti meno anche i criteri selettivi del rischio professionale inteso come rischio specificatamente identificato in tabelle, norme regolamentari o di legge. Un’interpretazione, quest’ultima, confermata dall’articolo 10, comma 4, della legge 38/2000.
 
In definitiva, quindi, secondo la Corte «ogni forma di tecnopatia che possa ritenersi conseguenza di attività lavorativa risulta assicurata all’Inail, anche se non compresa tra le malattie tabellate o tra i rischi tabellati, dovendo in tal caso il lavoratore dimostrare soltanto il nesso di causa tra la lavorazione patogena e la malattia diagnosticata».
 
Domenico Della Porta
Presidente Osservatorio Malattie Occupazionali e Ambientali Università degli Studi di Salerno

31 maggio 2021
© Riproduzione riservata

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