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Il punto di vista dei parlamentari


06 NOV - Onorevole Enrica Segneri, Movimento 5 Stelle - XI Commissione Lavoro
“Ci sono molte cause che determinano la perdita del posto di lavoro, ma una, in particolare, necessita della nostra attenzione in un momento storico quale quello attuale, connotato da una pandemia che ha reso tutti più sensibili, più attenti e più umani dinnanzi alla malattia. Purtroppo, soprattutto nel caso di patologie gravissime, le tutele attualmente approntate dall’ordinamento giuridico sono insufficienti: si tratta in particolare delle patologie oncologiche e delle altre gravi malattie temporaneamente invalidanti. È necessario sottoscrivere un nuovo patto sociale, più equo e solidale, che rafforzi ulteriormente il diritto al lavoro e alla retribuzione dei malati gravi, in particolare quelli oncologici. Infatti, la legge prevede che, al superamento del centottantesimo giorno di assenza dal lavoro, tecnicamente definito “periodo di comporto”, il lavoratore perde il diritto all’indennità. Fortunatamente a ciò non consegue il licenziamento automatico, che tuttavia rimane una facoltà del datore di lavoro”.
 
Onorevole Walter Rizzetto, Fratelli d’Italia - XI Commissione Lavoro
“Tra i diritti del lavoratore vi è quello alla conservazione del posto di lavoro per un determinato periodo di tempo, a fronte della sua temporanea impossibilità di svolgere la prestazione lavorativa in caso di malattia. Al riguardo, infatti, l’articolo 2110 del codice civile e i contratti collettivi nazionali di lavoro di settore prevedono che, in caso di assenza per malattia, sia garantito al lavoratore, oltre alla copertura dei contributi previdenziali e all’indennità di malattia, un determinato periodo di tempo entro il quale gli viene conservato il posto di lavoro. Si tratta del cosiddetto “periodo di comporto”, istituto per il quale la legge non prevede una specifica regolamentazione per i malati oncologici o affetti da altre gravi patologie, rinviando alla contrattazione collettiva la relativa disciplina, nonché la previsione dei casi di esclusione. In mancanza di un’unica disciplina, il periodo di comporto segue, dunque, regole profondamente diverse e disomogenee, determinando, inevitabilmente, una disparità di trattamento tra lavoratori pubblici e lavoratori privati”.
 
Onorevole Silvia Comaroli, Lega - V Commissione Bilancio
“L’articolo 32 della Costituzione definisce la salute come un diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività. In materia di salute i rapporti di lavoro sono regolati dal codice civile all’articolo 2110, il quale prevede che, in caso di malattia, oltre che di infortunio, gravidanza e puerperio, il rapporto di lavoro venga sospeso e che il datore di lavoro non possa licenziare il lavoratore malato se non sia scaduto il periodo di conservazione del posto (il cosiddetto “periodo di comporto”) appositamente previsto dai contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL). Il periodo di comporto per malattia consiste in un lasso di tempo in cui il lavoratore, pur assente dal lavoro, ha diritto alla conservazione del proprio posto di lavoro. Questo periodo è generalmente stabilito dalla legge e regolato dal CCNL o, in mancanza di riferimenti, dagli usi e dalla prassi. Questa tutela costituisce, quindi, una sorta di “schermo protettivo” per il lavoratore: finchè è operativo, il datore di lavoro può licenziarlo solo per giusta causa o per giustificato motivo dovuto a sopravvenuta impossibilità della prestazione ovvero a cessazione totale dell’attività d’impresa”.
 
Onorevole Luca Rizzo Nervo, PD - XII Commissione Affari Sociali
“Il caso del giovane Steven Babi di Cesenatico che, a soli ventiquattro anni, è deceduto dopo una lunga lotta contro il sarcoma di Ewing, e che per il prolungarsi della malattia si è visto revocare l’indennità di malattia dall’INPS, l’ente titolato all’erogazione delle prestazioni economiche per malattia, è solo l’ultimo in ordine di tempo di una lunga casistica che periodicamente viene portata all’attenzione dell’opinione pubblica e della politica. Tali paradossali situazioni sono la conseguenza, da una parte, dei progressi della scienza medica, che fortunatamente ha consentito di prolungare la vita di pazienti affetti da malattie oncologiche o da malattie un tempo sconosciute o ritenute incurabili, e, dall’altra, dell’arretratezza della disciplina che tutela il diritto del lavoratore di mantenere il proprio posto di lavoro anche in caso di malattia prolungata, il cosiddetto “periodo di comporto” disciplina risalente addirittura al 1924”.
 
Onorevole Elvira Savino, Forza Italia - XIV Commissione Politiche Comunitarie
“La Costituzione, all’articolo 32, tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, inserendola tra i diritti fondamentali della persona. Questo comporta che la salute deve essere tutelata in ogni ambito, compreso quello lavorativo, ove infatti vige il principio per cui un lavoratore non può essere danneggiato o rischiare di perdere il proprio posto di lavoro per malattia o infortunio. Per questo motivo negli anni il legislatore e i contratti collettivi nazionali di lavoro hanno disciplinato, nell’ambito della normativa dedicata al rapporto di lavoro, il cosiddetto ‘periodo di comporto’, ossia il periodo di tempo concesso al lavoratore che deve assentarsi dal lavoro per malattia, infortunio, gravidanza o puerperio. Detto periodo viene concesso per motivi strettamente collegati alla salute della persona, la quale non può essere posta in secondo piano rispetto al lavoro, conformemente al principio per cui anche in ambito lavorativo occorre che la salute venga tutelata prioritariamente. La proposta di legge in esame si preoccupa di mettere le persone affette da una patologia grave – come sono le patologie oncologiche, invalidanti o croniche – nelle condizioni di conservare il proprio posto di lavoro, ed essere così pienamente tutelate in relazione alle proprie necessità terapeutiche e ad eventuali altre esigenze particolari, per un periodo maggiore di quello attualmente previsto, e quindi in parziale deroga da quanto sancito dalla normativa vigente e dai contratti collettivi di lavoro. In particolare si prevede che, in caso di patologie oncologiche, invalidanti o croniche, il lavoratore possa chiedere e ottenere un’assenza dal lavoro per motivi di cura per un periodo massimo di trenta mesi, durante i quali il trattamento retributivo è comunque riconosciuto senza decurtazioni. È chiaro che la necessità di assentarsi dal lavoro per seri motivi di salute deve comunque essere certificata dal medico specialista dell’azienda sanitaria locale competente”.
 

06 novembre 2020
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