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Il capitolo Salute: valori in stand by e peggiorano gli stili di vita


18 DIC - Nel 2017 si ferma la crescita dell’indice composito per il dominio Salute, che si attesta a 105,8 (era 106,0 nel 2016), interrompendo il trend positivo che aveva caratterizzato il periodo 2010-2016. La dinamica territoriale mostra un peggioramento nell’ultimo anno sia nel Nord sia nel Mezzogiorno mentre nel Centro si registra un lieve progresso. Considerando l’intero periodo in tutte le aree del Paese l’indice mostra un miglioramento, ma rimane invariato il divario tra Nord e Mezzogiorno, mentre si riduce la distanza tra Nord e Centro.

Nell’ultimo anno 8 dei 13 indicatori del dominio segnalano una sostanziale stabilità rispetto all’anno precedente. Solo per 5 misure si osservano variazioni: in miglioramento la mortalità per tumore e la sedentarietà; in peggioramento gli indicatori su mortalità infantile e per demenza e malattie del sistema nervoso e sull’adeguata alimentazione (consumo di quantità giornaliere adeguate di frutta e verdura).
Rispetto al 2010, invece, la situazione è decisamente migliorata, con 10 indicatori che evidenziano un andamento positivo (su 12 disponibili per il confronto). Un peggioramento si osserva solamente per la mortalità per demenze e malattie del sistema nervoso tra gli anziani e per l’indicatore relativo ad una corretta alimentazione.

Nel 2016 l’Italia si attesta al primo posto nella graduatoria europea per la speranza di vita alla nascita per gli uomini (81 anni), mentre per le donne, con 85,6 anni, è preceduta da Spagna e Francia.
Meno favorevole la situazione per quanto riguarda il numero di anni da vivere senza limitazioni nelle attività a 65 anni, un indicatore che sintetizza la speranza di vita degli anziani e le loro condizioni di salute3 . In questo caso, tra gli uomini l’Italia, pur mantenendosi sopra la media europea, perde posizioni, collocandosi ben al sotto del paese europeo più virtuoso (la Svezia, con 15,1 anni, rispetto ai 10,4 dell’Italia); tra le donne il nostro Paese è in linea con la media europea (10,1 anni).

Per quanto riguarda la mortalità per tumore, l’Italia si posiziona tra i paesi con i valori più bassi: il tasso standardizzato relativo alla popolazione fino a 64 anni è pari a 6,6 per 10.000 nel 2015, rispetto al 7,9 della media Ue28. Anche il tasso di mortalità infantile in Italia continua ad essere tra i più bassi in Europa, con 2,8 decessi per 1000 nati vivi nel 2016. I paesi con i tassi più bassi sono la Finlandia e la Slovenia, con valori sotto ai 2 decessi per 1000, mentre Romania e Bulgaria superano i 6,5 decessi.
Per quanto riguarda la sicurezza stradale, il progressivo calo del numero di morti e feriti nell’Ue ha colmato solo parzialmente il gap rispetto all’obiettivo, indicato dalla Commissione europea4 , di dimezzamento dei decessi sulla strada entro il 2020. Sebbene nel 2017 il numero delle vittime di incidenti stradali nell’Unione europea sia diminuito dell’1,6% rispetto all’anno precedente, questo risultato ha comunque ampliato il divario tra i progressi effettivi e quelli necessari per il raggiungimento dell’obiettivo europeo. L’Italia si colloca su valori leggermente superiori rispetto alla media europea, con un tasso di 0,55 decessi per 10.000 persone, rispetto a 0,50 della media Ue28.

Stabile il livello di salute della popolazione

Nel 2017 la speranza di vita alla nascita rimane sostanzialmente stabile: il numero di anni di vita media attesa diminuisce lievemente per le donne, da 85 anni a 84,9, mentre si mantiene a 80,6 tra gli uomini. L’andamento meno regolare della speranza di vita è attribuibile alle variazioni nel numero dei decessi, tipiche di una popolazione che invecchia, a causa delle oscillazioni nella mortalità dei grandi anziani. Stabili gli indicatori sulla qualità della sopravvivenza, con 58,7 anni attesi di vita in buona salute e 9,7 anni attesi di vita senza limitazioni nelle attività a 65 anni.
A partire da questa edizione del rapporto si introduce un nuovo indicatore sulla salute mentale, che secondo l’Oms5 misura una componente essenziale della salute di una popolazione. L’indicatore, denominato Indice di salute mentale, utilizzato anche a livello europeo per misurare il benessere mentale, può variare tra 0 e 100 e assume per l’Italia il valore di 67,5. Il disagio psicologico si differenzia per genere e per territorio, evidenziando situazioni più sfavorevoli tra le donne (-3,3 punti percentuali rispetto agli uomini) e nel Mezzogiorno (rispettivamente -2,1 e -2,3 punti percentuali rispetto al Nord e al Centro).

In diminuzione la mortalità per tumore tra gli adulti

I dati più recenti sulla mortalità per causa sono riferiti al 2015, anno caratterizzato da un significativo aumento dei decessi, in contrasto con l’andamento decrescente della mortalità osservato negli anni precedenti. Non tutte le cause di morte monitorate dal Bes evidenziano questo aumento. In particolare, per la mortalità per tumori maligni prosegue il miglioramento, con un tasso pari a 8,9 per 10.000 residenti fra i 20 e i 64 anni (era 9 l’anno precedente).
Nel 2017, il tasso di mortalità per incidenti stradali tra i giovani (0,7 decessi per 10.000 residenti di 15-34 anni) si è mantenuto sui livelli dell’anno precedente, nonostante il tasso di mortalità stradale per il totale della popolazione sia tornato ad aumentare (+3%) dopo la flessione dell’anno precedente.

In aumento la mortalità infantile e per demenze e malattie del sistema nervoso

Sia la mortalità infantile sia quella per demenze e malattie del sistema nervoso hanno registrato un peggioramento: tra il 2014 e il 2015, il primo passa da 2,8 a 2,9 morti nel primo anno di vita per 1.000 nati vivi, in lieve aumento per la prima volta dal 2009. Nel periodo che va dal 2004 al 2015, la mortalità per demenze e malattie del sistema nervoso tra gli ultrasessancinquenni ha un andamento tendenzialmente crescente, con una breve interruzione nel 2013 e 2014, e un nuovo peggioramento nel 2015, anno in cui il tasso raggiunge il suo valore più elevato (32 decessi per 10.000 persone di 65 anni e più, rispetto al 27,9 nel 2014).
Una delle cause di questo andamento è attribuibile al progressivo incremento della quota di grandi anziani nella popolazione.

Le donne vivono più a lungo ma in peggiori condizioni di salute fisica e mentale

Nel 2017 il gap a favore delle donne per la speranza di vita registra il suo minimo: 4,3 anni in più di vita attesa alla nascita (erano 5 anni nel 2010). L’andamento è determinato dal miglioramento più marcato dell’indicatore tra gli uomini. Il vantaggio delle donne si inverte, però, quando si considerano anche le condizioni di salute: la maggiore longevità si affianca a un numero di anni vissuti dalle donne in condizioni di salute precarie più elevato. Nel 2017 una donna di 65 anni può aspettarsi di vivere in media ancora 22,2 anni, ma di questi 12,8 saranno vissuti con limitazioni nelle attività; un suo coetaneo invece vivrà in media ancora 19 anni, di cui 9 con limitazioni. Le donne, come illustrato precedentemente, presentano peggiori condizioni di salute mentale, e le differenze sono marcate tra i più giovani e tra gli anziani.
Per quanto riguarda le cause di morte qui considerate gli uomini mantengono tassi più elevati per i tumori maligni nelle età centrali della vita, nonostante la diminuzione nel 2015 (9,9 per 10.000 uomini, contro 10,3 nell’anno precedente) e il lieve incremento osservato tra le donne (da 7,9 a 8 per 10.000).
Anche per gli incidenti stradali tra i giovani e per la mortalità dovuta a demenza e malattie del sistema nervoso tra gli anziani si riscontrano tassi più elevati tra gli uomini: oltre il triplo per la prima causa di morte (1 decesso ogni 10.000 uomini di 15-34 anni contro 0,3 per le donne); solo lievemente superiore considerando i decessi per demenza (32,4 per 10.000 tra gli uomini di 65 anni e più, contro 31,2 tra le donne).
Permangono forti differenze territoriali

Nel 2017, per la speranza di vita aumenta il divario tra Nord e Mezzogiorno con una distanza di 1,3 anni a favore del Nord, la più alta dal 2005. Nel 2015 il lieve aumento della mortalità infantile è stato prevalentemente determinato dalle regioni del Centro dove il tasso ha raggiunto 2,9 per 1.000 nati vivi (era 2,4 l’anno precedente). Nel Nord e nel Mezzogiorno del Paese, invece, il livello della mortalità infantile resta costante (rispettivamente 2,5 e 3,4 per 1.000 nati vivi), confermando l’evidente svantaggio del Mezzogiorno.
Considerando la cittadinanza dei genitori, si evidenzia una significativa differenza tra stranieri e italiani, accentuatasi nel 2015 quando il tasso di mortalità infantile per gli stranieri ha raggiunto il 4,5 per 1.000 nati vivi (era 3,8 l’anno precedente) mentre per gli italiani si mantiene stabile (2,6 per 1.000 nati vivi). Il contributo all’incremento della mortalità infantile nel 2015 è pertanto attribuibile quasi esclusivamente ai bambini residenti nati da genitori stranieri.
Anche per quanto riguarda la mortalità per tumori il Mezzogiorno presenta un quadro più sfavorevole rispetto alle altre ripartizioni. Il fenomeno è da attribuire all’evoluzione registrata per gli uomini mentre per le donne la distanza tra regioni meridionali e centrali si è ridotta. Il valore più elevato di questo indicatore si riscontra per gli uomini in Sardegna, dove nel 2015 si ha una mortalità per tumori maligni pari a 12,3 per 10.000 abitanti; la Campania si conferma invece la regione con il livello di mortalità maggiore per le donne.
La mortalità degli anziani per demenze e malattie del sistema nervoso presenta una diversa geografia, con i livelli più elevati nelle regioni del Nord e quelli più bassi in alcune regioni meridionali, come la Calabria e la Campania.
Più attività fisica ma aumenta la popolazione obesa o sovrappeso

Nel 2017 continua a ridursi la sedentarietà: la percentuale di persone che non praticano alcuna attività fisica nel tempo libero passa dal 39,4% al 37,9% (persone di 14 anni e più). La flessione è maggiore nel Mezzogiorno che, tuttavia, continua a presentare un’incidenza di sedentari significativamente superiore a quella del Nord (+22,2 punti percentuali).
Si mantengono stabili le differenze di genere, con stili di vita sedentari più diffusi tra le donne (+7 punti percentuali rispetto agli uomini). La percentuale di adulti in eccesso di peso nel 2017 non evidenzia miglioramenti, mantenendosi al 44,8% della popolazione di 18 anni e più. Considerando la fascia maggiormente a rischio, cioè gli obesi, il fenomeno è in aumento tra gli uomini, per i quali si registra il massimo dal 2005 (11,5%).
La sedentarietà e l’eccesso di peso sono fattori di rischio che spesso si cumulano, con possibili ripercussioni sfavorevoli sulle condizioni di salute: nel 2017 un maggiorenne su 5 è sia in eccesso di peso sia sedentario, e la percentuale arriva quasi al 30% nel Mezzogiorno (contro il 15% nel Nord). Inoltre, è interessante confrontare la sovrapposizione dei due fattori di rischio per la salute a parità di quota di eccesso di peso: su 100 persone in eccesso di peso, nel Mezzogiorno quasi 60 sono anche sedentarie, mentre al Nord la quota scende al 35,4 per cento.
Stabili gli altri comportamenti

In merito alla adeguata alimentazione, si riduce lievemente la percentuale di persone che consumano porzioni giornaliere adeguate di frutta e verdura (19,2%). Il livello comunque è in linea con quello della media degli ultimi anni (19%). Il peggioramento è determinato dall’evoluzione osservata tra le donne (-1 punto percentuale rispetto al 22,9 del 2016), che sono comunque maggiori consumatrici di frutta e verdura rispetto agli uomini (+5,5 punti percentuali nel 2017).
Negli ultimi quattro anni rimangono stabili sia l’abitudine al fumo sia il consumo a rischio di alcol (rispettivamente 19,9% e 16,7% delle persone di 14 anni e più nel 2017). Entrambi questi comportamenti sono più diffusi tra gli uomini, e interessano circa il 25% delle persone di 14 anni e più per entrambi gli indicatori, rispetto al 15,4% di fumatrici e al 9,3% di donne che hanno abitudini rischiose nel consumo di alcol.
Tra gli uomini meno diffusi i comportamenti salutari

L’analisi delle disuguaglianze negli stili di vita, non può prescindere dall’analisi congiunta di alcune caratteristiche individuali e di contesto che hanno impatto sui comportamenti. Fatta eccezione per la sedentarietà, a parità di altre caratteristiche, sono gli uomini ad assumere più spesso stili di vita dannosi per la salute. Il rischio di un consumo dannoso di alcol è quasi 3 volte e mezzo più elevato che tra le donne, quello di essere fumatore o di essere in eccesso di peso è oltre 2 volte più alto rispetto alle donne.
Anche per quanto riguarda gli stili alimentari, a parità di altre condizioni, il rischio di non seguire un comportamento salutare nel consumo di frutta e verdura è del 50% più alto tra gli uomini. Tra le donne, al contrario, la propensione alla sedentarietà è del 60% più alta rispetto agli uomini. Anche le differenze territoriali emergono nitidamente: a parità di altre caratteristiche, la propensione alla sedentarietà è maggiore nel Mezzogiorno (quasi 3 volte più alta rispetto al Nord), così come per il consumo di quantità insufficienti di frutta e verdura o per l’eccesso di peso. Il Nord si caratterizza invece per una maggiore propensione a seguire comportamenti rischiosi nel consumo di alcol (rischio del 50% più alto rispetto al Mezzogiorno).

Più attenzione ai comportamenti salutari tra i più istruiti

Il possesso di un elevato titolo di studio rappresenta un fattore protettivo per la salute, e, in particolare, per la prevenzione primaria. A parità di altre condizioni, avere un basso titolo di studio (non superiore al diploma di scuola media) comporta un rischio di essere sedentari tre volte e mezzo più alto rispetto alle persone laureate. Anche per l’abitudine al fumo, l’eccesso di peso e comportamenti alimentari non corretti, il rischio tra le persone con bassi livelli di istruzione è quasi il doppio rispetto ai laureati. Non emerge invece alcun legame del titolo di studio con il consumo a rischio di alcol.

18 dicembre 2018
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