Scienza, comunicazione e campagna vaccinale: che cosa è andato storto?
20 APR -
Gentile Direttore,
il 10 aprile 2021 il presidente della regione Sicilia, Nello Musumeci, ha dichiarato che l’80% di coloro che avrebbero diritto ad accedere alla vaccinazione con AstraZeneca ha deciso nei giorni precedenti di rinunciare. Non dissimile la situazione in Calabria. Cosa è successo in poco più di quattro mesi di campagna vaccinale? È noto a tutti quanto avvenuto nelle ultime settimane con il vaccino AstraZeneca, ma oltre che sui fatti, molto c’è da ragionare sulla comunicazione che in merito a questi eventi è stata fatta.
Lo sviluppo dei vaccini per COVID-19 è la storia di un grande successo della ricerca medica; tuttavia portare a compimento una vaccinazione di massa senza precedenti nella storia è molto più della realizzazione di un vaccino efficace e deve tenere in considerazione, oltre agli aspetti di approvvigionamento, organizzazione e distribuzione, anche il grande ostacolo dell’esitazione vaccinale.
Ostacolo reso ancora più grande dalle vicende connesse ai potenziali effetti avversi dei vaccini a vettore virale, ma anche dal disastro comunicativo che ha accompagnato queste vicende e dalla completa assenza di una cultura scientifica nel nostro paese. Molte scelte cautelative adottate, in assenza di motivazioni facilmente comprensibili ai più, hanno dato l’impressione di essere legate a una qualità in assoluto peggiore dei vaccini a vettore virale.
Non è un caso che la Sicilia, regione per la quale i giornali hanno riportato il maggior numero di casi di potenziali morti correlate all’impiego del vaccino AstraZeneca, sia la regione in cui c’è il più elevato tasso di rifiuto del vaccino in questione.
Ancora una volta risulta evidente quanto gli avanzamenti della biomedicina non bastino per rendere la medicina efficace e capace di curare le persone.
La necessità di un approccio integrato che tenga in considerazione anche gli aspetti psicologici e sociali della malattia è emersa ormai da lungo tempo e ha trovato conferma negli ultimi anni, specie in relazione alle patologie croniche e alla medicina preventiva, che spesso richiedono cambiamenti di lungo termine nello stile di vita delle persone. La pandemia poi ha dimostrato con assoluta chiarezza che anche nel caso di una patologia infettiva la biomedicina non basta e che per il completamento della campagna vaccinale sono necessari molti altri strumenti.
Un primo strumento essenziale è la ricostruzione di un rapporto di fiducia con i medici e un riconoscimento di autorevolezza della medicina. Il problema è che questa fiducia è stata profondamente minata da un dilagante approccio antiscientifico e sensazionalista. Siamo in una fase storica di messa in discussione della scienza che attraversa tutta la società occidentale e spesso il modo in cui vengono fornite le notizie non aiuta. Possiamo identificare uno specifico metodo con cui alcune questioni mediche vengono affrontate dal giornalismo sensazionalistico, il cosiddetto “metodo Iene”, come lo ha chiamato Luciano Capone.
Tale metodo, applicato a questioni di scienza o di medicina, consiste nell’individuare un argomento che susciti una reazione emotiva e che per questo sia in grado di cancellare non solo un atteggiamento razionale, ma la fiducia stessa verso le persone competenti, ovvero scienziati e tecnici, dotate di metodi validati per calcolare i benefici e i rischi di una qualche attività umana. Il “metodo Iene” punta quindi a cercare un argomento che generi un’emozione forte (paura, indignazione o compassione se si tratta di malattie), per scatenare delle percezioni soggettive dei rischi e mettere in discussione l’affidabilità di scienziati o tecnici.
La diffusione di internet ha determinato una vera e propria rivoluzione nell’informazione e nella conoscenza, rendendo facilmente accessibile a tutti una immensa mole di informazioni prima difficili da reperire. Ciò ha determinato l’illusione della conoscenza per il pubblico generale, che confonde la disponibilità dei dati con la loro comprensione. Ma la comprensione è qualcosa di molto più complesso e profondo del semplice accesso ai dati: questa necessita di preparazione e istruzione, che consentono di selezionare ed elaborare appropriatamente le informazioni di cui si dispone.
Per navigare in mezzo a questo mare di dati è necessaria per il pubblico una appropriata comunicazione della scienza, un lavoro per professionisti che non si può improvvisare. In tal senso, la sovraesposizione mediatica di alcuni esperti del settore poco avvezzi alla divulgazione e poco inclini a distinguere efficacemente il piano del discorso pubblico dal dibattito scientifico, unita alla richiesta spasmodica di responsi e risposte assolute da parte del pubblico, non ha affatto aiutato, ha anzi reso il dibattito pubblico ancora più complesso.
Ma dal momento che non si può seminare in un campo non arato, la buona comunicazione della scienza non basta, è necessaria una vera e propria educazione alla scienza, una consapevolezza di cosa sia il metodo scientifico, dei meccanismi di funzionamento della scienza e dei suoi limiti, della natura probabilistica della medicina, e più in generale di una serie di strumenti di logica di base, che sono fondamento di qualsiasi processo conoscitivo.
Vediamo dunque alcuni degli errori logici più frequenti durante questa pandemia.
Post hoc ergo propter hoc. La confusione tra nesso causale e nesso temporale, il famoso post hoc ergo propter hoc. Le innumerevoli notizie fornite dai giornali sono state recepite da una larga parte del pubblico come un’immediata prova di un nesso di causalità. Tuttavia il reale accertamento di un nesso di causalità diretto tra due fatti è ancora una volta un processo lungo che richiede una piena comprensione dei fenomeni e un’analisi dei singoli eventi avversi. Una singola esperienza costituisce un aneddoto e un insieme di aneddoti costituiscono al massimo una storia, non una prova scientifica. In tal senso esiste una grandissima responsabilità dei giornali nel limitare l’aneddotica fine a se stessa. Il buon giornalismo in Italia è ormai merce rara e il pubblico non è interessato o capace di leggere articoli di più di 20 righe. Eppure il giornalismo vero è lavoro di indagine e di informazione e contestualizzazione che ormai fanno davvero pochi giornali.
Il problema della scacchiera e del grano. La leggenda della nascita degli scacchi spiega con sufficiente chiarezza come è facile ingannarsi quando si tratta di crescite esponenziali.
Secondo la tradizione, l'inventore degli scacchi fu il bramino Sissa ibn Dahir, maestro di un principe. Con questo gioco Sissa voleva far capire che il successo del comandante deriva dalla giusta armonia tra lui ed i suoi sottoposti, così come il Re degli scacchi per quanto il pezzo più importante, non può che perdere senza l'appoggio dei pedoni e degli altri pezzi. Il principe, colpito dalla brillante invenzione, consentì a Sissa di scegliere per sé qualsiasi ricompensa desiderasse. Il saggio chiese di avere un chicco di grano per la prima casella, due per la seconda, quattro per la terza e così via, sempre raddoppiando fino alla sessantaquattresima casella.
Sembrava una richiesta modesta, e Sissa fu deriso da molti: avrebbe potuto chiedere molto oro, ma apparentemente si stava accontentando di poco. Il principe ordinò che la richiesta fosse esaudita ma dopo che i contabili di palazzo calcolarono il numero dei chicchi promessi, la verità venne presto rivelata: si trattava di dare al furbo Sissa quasi 18.5 miliardi di miliardi di chicchi, una quantità tale di grano che i raccolti di tutto il mondo non sarebbero bastati a soddisfare per secoli. Questo è il ben noto “problema del grano e della scacchiera”. Razionalmente conosciamo l’andamento delle curve esponenziali e come esse improvvisamente rompano, eppure la nostra mente stenta a comprenderle. Ancora una volta in Italia ci siamo fatti cogliere impreparati dalla terza ondata epidemica, affrontandola di nuovo reattivamente e non proattivamente.
Perché ci preoccupiamo degli attacchi degli squali più che degli incidenti d’auto? Un buon articolo divulgativo di psicologia di qualche anno spiegava con chiarezza ciò che è ben noto alle scienze cognitive: come esseri umani siamo tendenzialmente poco capaci di valutare i rischi e le probabilità.
Nel linguaggio corrente "rischio" è un evento futuro dannoso al quale è possibile assegnare una probabilità. La valutazione del rischio in medicina è frutto di una valutazione dei dati medico-scientifici, ma anche di una valutazione personale: che peso avrebbe per il singolo il verificarsi di quell’evento, ma anche quanto percepisce quella scelta come rischiosa. La nostra percezione del rischio è distorta da numerosi fattori non oggettivi e da elementi emotivi e in generale tendiamo a sovrastimare gli eventi rari.
Quando si tratta di medicina poi, in virtù di un approccio magico di mancata comprensione dei funzionamenti della medicina stessa, tendiamo a non accettare tout court l’esistenza di margini di rischio che sono connaturati alla pratica medica stessa, la quale dal punto di vista metodologico è una scienza stocastica (basata sulle probabilità).
In questo periodo assistiamo a un diffuso atteggiamento di rifiuto di accettare i ridotti rischi connessi alla somministrazione di un vaccino, mentre i più elevati rischi di mortalità e morbilità connessi a COVID-19 vengono trascurati. Per quale ragione? La nostra percezione del rischio legato a COVID-19 è cambiata rispetto a un anno fa, con un meccanismo fisiologico ci siamo “assuefatti” a quel rischio, così come i nostri nonni si erano abituati a vivere sotto i bombardamenti. I potenziali rischi connessi al vaccino sono invece un fatto nuovo, capace ancora di suscitare forti emozioni che ci rendono incapaci di valutarli oggettivamente, mentre accettiamo come una nuova normalità centinaia di morti per COVID ogni giorno.
Lucia Craxì
Bioeticista, Università degli Studi di Palermo
Responsabile della Sezione Sicilia della Consulta di Bioetica Onlus
20 aprile 2021
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