Crisanti: “Se tornassi indietro sarei ancora più determinato. Oggi il virus è sotto traccia ma c’è ancora e i giovani sono quelli più a rischio”
di Endrius Salvalaggio
“Se tornassi indietro darei retta solo a me stesso e non cederei in nessun modo ad alcun tipo di pressioni. In questi mesi è passato un messaggio errato e mi sto rivolgendo ai giovani. Non è vero che si infettano prevalentemente gli anziani: è esattamente il contrario. Si infettano primariamente i giovani che trasmettono la malattia quando entrano in contatto con le persone più vulnerabili”, così in questa intervista esclusiva il Direttore di microbiologia all’Università di Padova, tra gli artefici del successo del Veneto nella lotta al Coronavirus
24 GIU - Nel periodo da febbraio a maggio, il professor
Andrea Crisanti, Direttore del Dipartimento di microbiologia all’Università di Padova, ha assunto suo malgrado un ruolo quasi profetico nel prevedere l’evoluzione dell’epidemia e soprattutto nell’individuare le strategie migliori per contrastarla.
L’esempio Veneto, al di là di qualche polemica, è infatti indubbiamente riconosciuto come quello da seguire se e quando si dovesse ripresentare un nuovo attacco Covid.
Adesso la situazione è certamente diversa da quella drammatica e concitata di fine febbraio, inizio marzo quando, in poche settimane, l’Italia piombò nell’incubo Cronavirus. E forse anche per questo è utile, oggi, in una situazione di quasi ritorno alla normalità delle nostre abitudini di vita e di lavoro, rileggere quanto accaduto con chi ha saputo gestire al meglio l’epidemia.
Professor Crisanti, lei fu tra i primi a sollevare il sospetto che la diffusione del virus avvenisse anche da parte degli asintomatici?
I micro organismi molto spesso si trasmettono fra persone attive: se fosse il contrario, avrebbero poche possibilità di sopravvivenza. E’ una questione di selezione naturale e, quasi tutte le malattie si trasmettono prevalentemente fra gli asintomatici, ecco perché questi virus sono difficili da controllare. Un esempio: la malattia più diffusa al mondo è la tubercolosi e si trasmette fra gli asintomatici, idem per la malaria. Altra cosa è l’Ebola che si trasmette solo fra le persone sintomatiche e non pone, per l’appunto sotto, il profilo epidemiologico delle grosse sfide. Tornando alla domanda, la mia intuizione è nata proprio da queste considerazioni, che poi hanno trovato riscontro concreto con lo studio fatto a Vò Euganeo.
Prima di arrivare a Vò Euganeo lei aveva iniziato a fare diagnosi alle persone che tornavano dalla Cina, è corretto?
Si è corretto. Sin dai primi giorni l’attenzione era stata rivolta sulle persone sintomatiche, come chi aveva febbre, polmoniti ecc.. Il mio ragionamento è stato, invece, quello di aprire il ventaglio della diagnosi sulle persone senza sintomi. Avevamo perciò con la copertura dell’Università di Padova ideato un test che in tre ore ci dava delle risposte sulla presenza o meno del coronavirus. L’idea era quella poi di sottoporre al test, innanzitutto, gli studenti di ritorno dalla Cina. Poi quando la stessa comunità cinese, di circa cinquemila persone, si era spontaneamente sottoposta ai test, ci è arrivato lo stop dalla stessa Regione.
E poi cos’è successo?
Abbiamo dovuto fermarci. Successivamente, quando sono arrivati i primi casi, proprio da Vò Euganeo, telefonai al Presidente Luca Zaia spiegandogli che questa era un’occasione unica di studio. Proposi, quindi, l’intero isolamento dell’area con un paio di campionamenti. La mia verifica era duplice: capire se le misure del primo campionamento avevano avuto effetto e poi, dopo otto/dieci giorni dal primo test, eseguire un secondo campionamento per capire chi trasmetteva cosa. Ebbene il secondo campionamento ci ha permesso di capire con certezza, visto che i sintomatici erano tutti a casa, che gli asintomatici trasmettevano il virus. Infatti il tre per cento della popolazione di Vò con un R0 stimato all’epoca del 3,6 avrebbe comportato, se non vi fossero state le misure di isolamento, che in una sola settimana le persone infette potevano diventare il dieci per cento, poi passare al trenta per cento, fino a contagiarsi tutto e tutti. Le percentuali che c’erano a Lodi in quel periodo sono le stesse di contagiati coerenti con quello che avevamo stimato noi se non avessimo chiuso Vò Euganeo in una mini zona rossa.
Sulla scorta della sua esperienza se si dovesse ripresentare la pandemia cosa farebbe?
Se ci fossero dei focolai o dei cluster, farei quanto già fatto a Vò Euganeo: isolamento e tamponi a tutti ripetuti due volte a distanza di otto-dieci giorni l’uno dall’altro. Questo vorrebbe dire isolare i Covid+ dai Covid-. Nell’esperimento di Vò Euganeo è successo proprio questo: chi non era positivo al virus usciva, mentre i positivi restavano a casa.
Qualche rammarico? Tornando indietro, in quei giorni cosa non rifarebbe?
Bella domanda. Se dovessi ritornare indietro e più precisamente agli inizi della epidemia, ricordo di aver ricevuto pressioni da più parti e ciò per non creare panico, anche se la mia vocina mi diceva “così non si fa”! Ecco, se tornassi indietro darei retta solo a me stesso e non cederei in nessun modo ad alcun tipo di pressioni.
Dopo l’Italia, il virus ha colpito l’Europa. In qualche modo, a questi Paesi che ci hanno seguito a ruota, abbiamo dato un contributo?
Sicuramente mentre il virus ci stava colpendo, i Paesi contigui si sono resi conto che da lì a poco sarebbe arrivato anche da loro, quindi hanno avuto qualche giorno in più per prepararsi seguendo il nostro modello, che già da metà marzo, come si vedeva dalle prime statistiche in Veneto, aveva dato dei risultati tenendo sempre più sotto controllo il diffondersi del coronavirus. Mi spiego. Dallo studio di Vò Euganeo abbiamo capito che il virus più si replica, più la carica virale aumenta. Succede questo: Tizio si infetta con una carica virale bassa però, se questa persona sta in mezzo ad un nucleo di persone, ne infetta altre che, a loro volta, sin dal quarto giorno reinfettano nuovamente Tizio il quale nel frattempo non ha avuto modo di produrre gli anticorpi. Ne consegue che Tizio, viene caricato di una carica virale sempre maggiore che, ricomincia a ripassarla agli altri.
Adesso il virus come si sta comportando?
Esiste ancora un circuito di trasmissione del virus sotto traccia e sono quelle centinaia di casi che ogni giorno leggiamo nei giornali. Restiamo comunque in allerta perché ogni caso è un caso di troppo. In questi mesi è passato un messaggio errato e mi sto rivolgendo ai giovani. Non è vero che si infettano prevalentemente gli anziani: è esattamente il contrario. Si infettano primariamente i giovani che trasmettono la malattia quando entrano in contatto con le persone più vulnerabili.
Cosa le ha lasciato dentro questa esperienza?
Emotivamente parlando una tragedia, che però non potevo non viverla. Un’esperienza dove ho incontrato e conosciuto molta gente con grandi valori e che mi hanno voluto molto bene. Un’esperienza che non dimenticherò.
Endrius Salvalaggio
24 giugno 2020
© Riproduzione riservata
Altri articoli in Scienza e Farmaci