Coronavirus e plasma iperimmune. “Terapia ancora sperimentale, servono certezze e una strategia su larga scala”. Intervista a Gianpietro Briola, presidente di Avis
di Ester Maragò
L’utilizzo del plasma iperimmune per i pazienti affetti da Covid 19 necessita di approfondimenti e l’ultima parola spetta alla scienza. L’ideale per il presidente Avis è produrre delle immunoglobuline, attraverso la lavorazione industriale che possano essere somministrate in quantità standardizzate, a tutti, sia a scopo terapeutico o anche in via profilattica e sull’intero territorio nazionale
13 MAG - “Se finora abbiamo dimostrato di essere utili al sistema salute, a maggior ragione continueremo a garantire la generosità e la disponibilità dei nostri associati in questa difficile fase emergenziale e per il futuro. Ma sempre in ottemperanza alle indicazioni dettate dalla comunità scientifica e dalla Legge e non in base a strategie o indicazioni terapeutiche ancora solo sperimentali. Quindi, per quanto riguarda la donazione e l’utilizzo del plasma iperimmune agiremo con le dovute cautele in attesa degli esiti della ricerca e di certezze sulla possibilità di un’applicazione clinica di questa metodica”.
Parla chiaro
Gianpietro Briola, presidente di Avis e coordinatore Civis (Coordinamento delle Associazioni nazionali dei donatori di sangue): l’Avis non si tira indietro sulla terapia anti Covid-19 basata sull’utilizzo del plasma iperimmune, ma servono più certezze. In sostanza è una “terapia efficace ma sperimentale ed emergenziale che necessita di approfondimenti”.
Soprattutto, come ci ha spiegato in questa intervista, sarebbe più utile seguire altre strategie. In primis produrre delle immunoglobuline, attraverso la lavorazione industriale, che possano essere somministrate in quantità standardizzate, a tutti, sia a scopo terapeutico o anche in via profilattica e sull’intero territorio nazionale.
Presidente Briola, negli ultimi giorni non sono mancate polemiche sui media che vi hanno chiamato in causa ventilando una vostra possibile resistenza nei confronti dell’utilizzo del plasma iperimmune per i pazienti affetti da Covid 19. Facciamo chiarezza?
L’Avis non si è mai tirata indietro. Non mi sono mai opposto, né ho mai avanzato critiche sia sull’utilizzo di questa metodica “sperimentale”, né sulla conservazione del plasma. Tuttavia continuo a considerarla una terapia temporanea e non definitiva almeno fino a quando non avremo dal mondo scientifico delle certezze. L’Avis si sta muovendo portando avanti un’indagine di incidenza e prevalenza tra i nostri donatori per capire chi ha gli anticorpi e quindi chi potenzialmente potrebbe diventare donatore di plasma iperimmune. Non solo, per dare un contributo fattivo al sistema stiamo anche cercando di capire come utilizzare e mettere a disposizione le nostre strutture, il nostro know how, la rete di conoscenze e la nostra capacità di sensibilizzazione sul territorio, ricordo che abbiamo 3.400 sedi in tutta Italia attraverso le quali possiamo fare un’opera di proselitismo.
Da dove nascono quindi le vostre cautele sull’utilizzo del plasma iperimmune?
Partiamo dalla premessa che l’indicazione clinica sull’utilizzo del plasma, su chi deve prendere l’iniziativa e deve procedere alla raccolta del plasma sono temi che devono essere approfonditi e sviluppati dalla comunità scientifica. Inoltre, lo sottolinea ancora una volta, l’utilizzo del plasma iperimmune è, per ora, una terapia sperimentale e compassionevole.
Dobbiamo quindi capire qual è la tipologia di anticorpi o il mix di sostanze che hanno outcome positivi ai fini di una possibile guarigione; dobbiamo essere in grado di isolarli e titolarli per individuare i potenziali donatori (non tutti i convalescenti hanno un titolo adeguato di anticorpi neutralizzanti per essere arruolati) e i pazienti che possono riceverlo.
In questa prima fase sperimentale i Governatori stanno puntando a creare delle banche del plasma da poter utilizzare in caso di una recidiva epidemica, ma il tema vero è che non possiamo immaginare di curare e gestire tutti i pazienti con la somministrazione di plasma iperimmune: fin ora è stato utilizzato solo su pazienti critici con distress respiratorio e ricoverati nelle terapie intensive. Va da sé che questa non può essere una strategia terapeutica. Inoltre non avremo il plasma iperimmune per tutti, nel caso di una eventuale recrudescenza del virus: potrebbe essere utilizzato solo nelle Regioni dove l’incidenza del virus è stata molto alta, nelle altre dovremmo cercare donatori paucisintomatici e mi sembra veramente complicato. Inoltre non tutti i Centri sono organizzati alla titolazione e al trattamento di inattivazione del plasma prima della trasfusione.
Ecco perché Avis deve muoversi con cautela.
Qual è allora a suo parere la strategia più consona per garantire plasma iperimmune a tutti?
Passare alla fase due, ossia produrre delle immunoglobuline, attraverso la lavorazione industriale che possano essere somministrate in quantità standardizzate, a tutti, sia a scopo terapeutico o anche in via profilattica, aspetto quest’ultimo importantissimo per quei pazienti immunodeficienti o che hanno una bassa capacità di risposta immunitaria. Questo, fino a quando non avremo un vaccino, che sarà la strategia di massa preventiva. Allora sì che saremo in grado di produrre quella immunità passiva, idonea a consentire ai soggetti vaccinati di diventare a loro volta donatori.
Tirando le somme, serve una strategia su larga scala. Una cosa è la raccolta di plasma da congelare e utilizzare per l’emergenza, quindi anche da pazienti convalescenti, cosa diversa è organizzare una rete di raccolta del plasma da inviare all’industria che sarà quella scientificamente comprovabile con una somministrazione di immunoglobuline con dosaggio controllato per le differenti tipologie di pazienti.
Ester Maragò
13 maggio 2020
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