Vaccini. Il Lazio ha ben recepito il nuovo Piano nazionale ma persistono problemi di comunicazione e organizzazione
Questi gli elementi salienti emersi nel corso della discussione promossa da Quotidiano Sanità nell’ambito di un più ampio progetto di indagine sul territorio sostenuto incondizionatamente da MSD e che sta coinvolgendo più Regioni italiane con lo scopo di fare il punto sul grado di recepimento del nuovo Pnpv. La Regione ha pienamento recepito obiettivi e azioni indicate dal piano, ma il sistema non è riuscito a contrastare fake news e derive mediatiche sensazionalistiche con un linguaggio comune e analoga intensità.
13 DIC - La Regione Lazio non ha sostanziali problemi di recepimento del Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale ma, semmai, di comunicazione (anche ai cittadini) e di organizzazione dei servizi sul territorio. Questi, in estrema sintesi, gli elementi salienti emersi nel corso della discussione promossa da
Quotidiano Sanità nell’ambito di un più ampio progetto di indagine sul territorio sostenuto incondizionatamente da MSD e che sta coinvolgendo più Regioni italiane con lo scopo di fare il punto, tra l’altro, sul grado di recepimento del nuovo PNPV che, come è noto, descrive in tutto e per tutto un importante Lea per la prevenzione primaria.
In particolare, seguendo quella che è la scansione temporale di alcune azioni descritte nel PNPV stesso, il 2018 avrebbe dovuto essere, tra l’altro, l’anno delle vaccinazioni legate anche all’età adulta e anziana e che sono purtroppo rimaste forse un po’ schiacciate dalla preponderante attualità della cronaca e delle polemiche scatenate dalle vaccinazioni obbligatorie dell’infanzia.
Insomma, una sorta di “vaccinazioni orfane” che, seppure previste con grande specificità nel Calendario vaccinale del Piano, non sembrano godere da un lato di quella spinta comunicativa che meriterebbero e, dall’altro (forse per necessità) di quella attenzione anche organizzativa che possa tradursi fattivamente in un deciso innalzamento delle coperture. Dall’annuale antiinfluenzale alla “new entry” dello zoster fino alle “repliche” di mpr o meningo l’età adulta ha di crto un fondamentale riferimento nel medico di medicina generale la cui azione, tuttavia, non può essere disgiunta dalla rete di servizi rappresentata dai Distretti piuttosto che dai Dipartimenti di prevenzione. Il tutto sotto l’attenta regia regionale.
All’incontro di Roma, primo appuntamento del viaggio di
QS nel mondo dei “vaccini orfani” hanno partecipato
Antonietta Spadea (Delegata dalla Regione per il PNPV) –
Paolo Fortunato D’Ancona (Dipartimento Malattie Infettive ISS) –
Teresa Rongai (Segretario Regionale FIMP) –
Massimo Sabatini (Delegato FIMMG) –
Angelo Tanese (Direttore Generale ASL Roma1) -
Giovanni Rezza (Dipartimento malattie Infettive ISS) –
Rosario Mete (Presidente CARD Lazio).
Come accennato in apertura la regione Lazio ha pienamente recepito gli obiettivi e le azioni indicate dal PNPV e, in alcuni casi, è andata oltre le raccomandazioni del Piano stesso ampliando l’offerta vaccinale per alcuni destinatari. Ampliamenti delle coorti ci sono state per l’anti-rotavirus e per l’anti-meningo HCVY, così come immediata è stata l’offerta del Anti-Meningo B e dell’anti-Papilloma Virus sia per le femmine sia per i maschi e, accanto alla “tradizionale” vaccinazione anti-influenzale (gratuita per le coorti previste previste dal Piano) è partita immediatamente anche l’offerta per l’anti-Zoster agli over 64 anni.
Dal punto di vista formale, dunque, la Regione ha ben agito e le problematiche di questo ambito così importante di sanità pubblica (in buona sostanza il livello di copertura per ciascuna età ben lungi da quanto previsto come obiettivo) sono semmai da ricondurre a fattori di carattere di comunicazione e organizzativi.
Per gli esperti riuniti attorno al tavolo il sistema nel suo complesso non è riuscito a contrastare fake news e derive mediatiche sensazionalistiche con un linguaggio comune e analoga intensità. Medici, operatori, aziende sanitarie e la regione stessa in pratica hanno subito l’attacco “novax”, che ha pesantemente influito anche sul resto delle vaccinazioni raccomandate e non obbligatorie on riuscendo a mettere in campo strategie efficaci né per per contrastare le pseudoscienze né, purtroppo, per aiutare i cosiddetti “esitanti” a capire quale fosse la strada corretta. Su questo esistono in Regione Lazio (come del resto in tutto il paese, enormi spazi di azione. A cominciare , è uno degli esempi citati, dalla necessità per i medici di famiglia, pediatrie non, di non assumere più atteggiamenti attendisti nei confronti del genitore o del paziente che, autonomamente, si rivolge al proproio medico per saperne di più.
Anche quello della prevenzione primaria può e deve essere lo spazio in cui rendere pratica clinica la spesso citata “medicina di iniziativa”. Ma analogo, corale, impegno, a giudizio dei partecipanti all’incontro di Roma, sebbene con punti di vista e prospettive differenti, deve essere garantito ai modelli organizzativi che, ancora oggi, da un lato non facilitano l’accesso ai cittadini dall’altro, nella loro diversità anche tra azienda e azienda, non identificano il sistema sanitario regionale del Lazio come un sistema coeso ed equo. In questo ambito la Regione ha governato con non poche difficoltà i flussi organizzativi aziendali e le stesse aziende hanno alla fine organizzato i propri servizi in maniera indipendente (e quindi difforme sul territorio) dal sistema sanitario regionale.
In alcune ASL i distretti praticamente non esistono più o sono stati trasformati in altro e su queste dinamiche organizzative del tutto interne alla discrezionalità e decisionalità del top management aziendale, la regione sembra non abbia voluto giocare alcun ruolo di controllo e verifica. L’importante, questo l’appunto più significativo degli operatori sul territorio, era di “portare a casa il risultato economico poi, cosa si fa, quale tipo di assistenza, quale tipo di comunicazione, quale tipo di risorsa viene utilizzata e con quali esiti di salute sono tutti elementi che appaiono in secondo piano.
Un punto di vista, quest’ultimo che, come è lecito che sia, non coincide pienamente con la vision del decisore o di chi è chiamato a darne attuazione.
Il mito dell’omogeneità dei modelli, della visione dell’organizzazione uguale per tutti o del chiamare le cose allo stesso modo, nella convinzione che siano elementi necessari e sufficienti a garantire servizi e prestazioni omogenee sul territorio viene considerato da molti un modo per non guardare la realtà, a discapito della capacità di costruire quotidianamente qualità e efficienza.
Il vero problema secondo questo punto di vista è riuscire a lavorare insieme, seppure nelle diversità di visione, chiamando in causa le capacità organizzative e di responsabilità di tutti gli operatori in un’ottica di servizio. Anche per dare attuazione a quanto previsto dal Piano, in quest’ottica non c’è qualcuno che pensa e qualcuno che attua. C’è semmai la necessità, dipendente da precise scelte politiche, di diffondere una maggior cultura della responsabilità. Una visione dell’organizzazione che si costruisce lavorando insieme e non pensandola e definendola a priori credendo che poi automaticamente tutto si configuri automaticamente di conseguenza.
13 dicembre 2018
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