Farmaci. Sui biosimilari Aifa replica ma non risponde
di Fabrizio Gianfrate
Credo che il pur ottimo position paper di Aifa, ritirando all’ultimo momento la mano che doveva indicare la direzione, resti un’occasione non pienamente sfruttata per rendere più equa ed efficiente l’assistenza in un’area dove variabilità ed indeterminazione sono ancora troppo elevate.
28 MAG - Per
Benedetto Croce l’editorialista è bravo se ogni volta che scrive dà un dispiacere a qualcuno. Magari non è proprio così, ma è vero che a volte ti tocca farlo. Come nel mio recente articolo, a cui
AIFA replica.
Di AIFA scrivo da anni in modo (sinceramente e soprattutto disinteressatamente) lusinghiero. Non stavolta. Torno quindi sui biosimilari, nello spirito di un dibattito in cui, pur se da punti di vista diversi, l’indiscutibile assunto di partenza è certo la condivisione dell’obiettivo comune di tutti noi di una assistenza farmaceutica migliore, equa ed efficiente.
AIFA, con EMA, ti dice giustamente che branded e biosimilari sono intercambiabili (stessi “efficacia, sicurezza e qualità, rischio-beneficio), poi che “offrono un risparmio irrinunciabile” (intorno ai 600 milioni, domani fino al triplo con le incipienti scadenze brevettuali) che potrebbe essere destinato ai sempre più numerosi innovativi.
Poi vedi la spesa farma che sfonda di un miliardo e mezzo; che l’AIFA continua a non saperla arginare; poi che il tasso di sostituibilità è enormemente difforme tra le Regioni (dal 10% all’80%); e che le differenze sono inspiegabili dal lato clinico-medico, ma dovute alla variabilità sia delle misure regionali, sia della discrezionalità dei prescrittori.
Metti insieme tutti questi elementi e pensi che per limitare lo sfondamento di spesa e rendere l’uso dei biosimilare più equo ed omogeneo se ne stabilisca la sostituibilità secondo precisi e definiti criteri di selezione, se non addirittura automaticamente. Invece no, l’AIFA sancisce un generico: “decide il medico”
Nel suo position paper esalta l’intercambiabilità ma non la fa evolvere in policy. E senza policy, cioè regole, all’atto pratico resta tutto com’è: spesa sfondata e uso disomogeneo. Il documento, per quanto molto ben fatto e indirizzato, resta così solo consultivo. “Noi sanciamo questo e ve lo diciamo chiaro e tondo, poi però fate come credete”. Come se fosse una società scientifica. Solo che è l’Autorità nazionale per la regolazione dei farmaci.
Al mio commento AIFA replica (testuale): “la discrezionalità riconosciuta al medico rappresenta una garanzia per i pazienti, che vedono così riconosciuta tutta la loro specificità. Solo il confronto diretto e costante con il paziente consente di definire la terapia più appropriata al caso concreto”.
Bello. Ma sembrano i gramsciani “brevi cenni sull’universo”. Astratto, senza indicazioni concrete a cambiare lo status quo attuale. Secondo quali criteri il medico il biosimilare a Tizio sì e a Caio no? In che consistono le (testuali): “concretezza del caso”, “specificità del paziente” nel “confronto diretto e costante”, dato che branded e biosimilare hanno medesime indicazione, tipologie di pazienti, patologie e terapie concomitanti incluse, forma farmaceutica, dosaggi, schemi, vie di somministrazione perciò compliance e aderenza, ecc.
Quale allora il percorso decisionale del medico, ovviamente dopo che ha deciso la terapia, se poi farla col branded o col biosimilare? Come garantire l’oggettività di una scelta basata sulla soggettività del paziente? I criteri? La loro omogeneità? Se non li codifichiamo, come garantirne l’applicazione uniforme ed equa da tutti i medici, per tutti i pazienti e su tutto il territorio?
Di qui il timore che citavo nel mio articolo di una discrezionalità decisionale che rischia di essere basata, certo in buona fede, sulla convinzione personale, sull’aneddotica individuale soggettiva e non sull’oggettività statistica della metodologia condivisa e accertata dalle Istituzioni preposte, oggi l’”abc” della regolazione. Contro ogni moral hazard.
Va certo bene la profusione di stima verso i medici (e le loro influenti associazioni e società), ci mancherebbe. Ma bisognerebbe anche chiedersi se invece molti di loro gradirebbero indicazioni concrete dalle Istituzioni, specialmente oggi che sono sotto pressione, tra medicina difensiva, cause temerarie e aggressioni fisiche. Analogamente per i pazienti: se sei Tizio non vorresti fossero chiari i criteri della sostituzione a te sì e a Caio no, e che siano gli stessi da Bolzano a Capo Passero?
L’AIFA dice di non esprimere policy in merito come pure fa l’EMA. Che però, a differenza delle Agenzie nazionali, non ha responsabilità su spesa ed equità/omogeneità all’accesso. Se invece sei il delegato dell’Imperatore in Giudea, su certe cose così importanti la responsabilità è tua, ti pagano proprio per questo (biga blu con autista inclusi)
Credo, insomma, che il pur ottimo position paper, ritirando all’ultimo momento la mano che doveva indicare la direzione, resti un’occasione non pienamente sfruttata per rendere più equa ed efficiente l’assistenza in un’area dove variabilità ed indeterminazione sono ancora troppo elevate.
La replica di AIFA al mio articolo contribuisce forse persino a peggiorarle. “Pèzo el tacòn del buso”, direbbe un suo illustre ex direttore. Uno che, come pure altri suoi omologhi succedutisi, la mano al momento cruciale non la tirava via.
Fabrizio Gianfrate
28 maggio 2018
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