Emofilia. Ridimensionato il rischio dell’inibitore nel caso di passaggio a terapie ad emivita prolungata
La comparsa dell’inibitore è uno dei rischi più temuti dai pazienti e rappresenta un costo gravoso anche per il SSN. Rischi scongiurati anche nel passaggio dalle terapie tradizionali ai farmaci ad emivita prolungata
19 OTT - La comparsa dell’inibitore rappresenta uno dei rischi più temuti dai pazienti con emofilia e rappresenta anche un costo gravoso per il Servizio Sanitario Nazionale (Snn). L’inibitore è infatti un anticorpo che può manifestarsi dopo l’inizio della terapia e renderla inefficace: per questo è necessario attuare un trattamento specifico molto impattante sulle qualità della vita, e anche molto costoso per il sistema sanitario.
A fare il punto sono stati gli esperti riunitisi lo scorso 3 ottobre in contemporanea a Bologna e Napoli in occasione del Convegno “PROGress in emofilia”, coordinato da
Giovanni Di Minno, presidente dell’Associazione Italiana Centri Emofilia. Il corso si è svolto grazie al supporto dall’azienda farmaceutica svedese SOBI, che di recente ha portato sul mercato due terapie, Elocta per l’Emofilia A e Alprolix per l’Emofilia B, farmaci ad emivita prolungata che consentono alle persone affette dalla malattia di ridurre il numero di infusioni venose settimanali mantenendo una copertura costante dai possibili sanguinamenti.
“La comparsa di anticorpi è molto più frequente nell’emofilia A, dove avviene fino al 30% dei casi, rispetto all’emofilia B, con solo il 3-5% dei pazienti”, spiega
Giancarlo Castaman, Direttore del Centro Malattie Emorragiche e della Coagulazione dell’AOU Careggi di Firenze. “Solitamente gli inibitori compaiono nei bambini, entro le prime 15-20 infusioni, e neutralizzano la terapia, ma possono svilupparsi anche in tarda età e dopo centinaia di infusioni. Per i pazienti che non rispondono all’induzione dell’immunotolleranza è possibile un trattamento sintomatico o più raramente in profilassi con agenti bypassanti, ma non c’è mai la certezza piena che la terapia abbia successo, o che abbia successo in tempi brevi come avviene con il fattore VIII, ma solo un 80% di probabilità”.
“Gli inibitori – spiega
Cristina Santoro, del Dipartimento di Biotecnologie Cellulari ed Ematologia del Policlinico Umberto I, Sapienza Università di Roma – hanno un impatto negativo per il paziente, che presenta una sintomatologia emorragica più grave e meno controllabile con i farmaci a disposizione. Sono pazienti molto complicati, che non possono fare la profilassi se non con i cosiddetti agenti bypassanti, non ugualmente efficaci rispetto alla terapia preventiva con il concentrato del fattore carente. Inoltre – aggiunge Santoro – l’utilizzo degli agenti bypassanti e la terapia di induzione dell’immunotolleranza hanno un peso importante anche sul piano economico; dunque, l’impatto degli inibitori è particolarmente gravoso”.
L’inizio della terapia è dunque un momento particolarmente temuto dalle famiglie per la possibilità di veder comparire l’inibitore, ma anche l’idea di cambiare terapia risveglia questo timore. Su questo fronte arrivano però delle notizie positive correlate all’introduzione sul mercato dei nuovi farmaci ad emivita prolungata. Oltre al vantaggio di rendere necessario un numero più basso di infusioni gli studi condotti mostrano come non vi sia un maggior rischio di sviluppare la temuta complicanza nel passare a questa terapia.
Un recente studio canadese (
Keepanasseril et al.) pubblicato sulla rivista Haemophilia, mostra infatti che nel passaggio dalle precedenti terapie ai nuovi farmaci non si sono verificati casi di sviluppo di inibitori, come confermato dal Canadian Hemophilia Safety Surveillance (
CHESS). Un dato confortante, rilevato su 139 pazienti con emofilia A e B, per il 93% in forma grave passati ad Elocta (Emofilia A) o Alprolix (Emofilia B).
Anche uno studio post-marketing giapponese sul farmaco Elocta (
Taki et al., PB 978) va nella stessa direzione, presentando i primi dati di sicurezza raccolti in un contesto “real world” e riportati al congresso della Società Internazionale per la Trombosi e l’Emostasi (ISTH), che si è svolto nel luglio scorso a Berlino. Nei 70 pazienti che hanno ricevuto il farmaco in Giappone non sono stati riportati eventi di inibitore, gravi reazioni allergiche o eventi trombotici vascolari gravi: un fatto che supporta il profilo di sicurezza favorevole del prodotto a emivita prolungata.
Leggi l’intervista completa Giancarlo Castaman
19 ottobre 2017
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