Scoperta una nuova tossina botulinica, la ‘X’
di Maria Rita Montebelli
Da un campione stoccato nel lontano 1995, proveniente da un neonato giapponese, un gruppo di ricercatori dell’Università di Stoccolma è riuscito, dopo aver sequenziato il genoma del clostridio responsabile dell’infezione, ad individuare il codice genetico di una neurotossina finora sconosciuta. Presto un test diagnostico mirato e nuovi filoni di terapia, da sviluppare in collaborazione con l’Università di Harvard.
03 AGO - La tossinica botulinica, più nota al grande pubblico per la schiera di fronti ‘spianate’ e di volti amimici prodotti da medici e chirurghi estetici dalla mano un po’ pesante (non tutti fortunatamente), è un presidio utilizzato anche per il trattamento di almeno 80 condizioni che vanno dagli spasmi muscolari, alla distonia cervicale, alla vescica iperattiva, all’emicrania cronica, all’iperidrosi.
A distanza di 120 anni dalla scoperta della prima tossina botulinica (la tipo A, scoperta nel 1897, è stata seguita nel tempo da altre 6 - B, C1, D, E, F e G - ma quelle utilizzate in ambito medico sono solo la A e la B), dall’Università di Stoccolma giunge ora la notizia della scoperta di un nuovo tipo di neurotossina botulinica, la tipo X (BoNT/X) che, a detta dei suoi scopritori, avrebbe le potenzialità di aprire un nuovo filone di trattamenti e di diagnostica. La ricerca è pubblicata su
Nature Communications.
“La scoperta della BoNT/X – spiega
Pal Stenmark, Dipartimento di Biochimica e Biofisica, Università di Stoccolma - faciliterà lo sviluppo di test diagnostici e di contromisure terapeutiche di enorme importanza per i soggetti esposti a quantità tossiche di queste sostanze”.
Il passo successivo di questa ricerca consisterà infatti proprio nello sviluppo di anticorpi in grado di rivelare e di inattivare questa tossina. “Di qui a pochi mesi saremo in grado di sviluppare nuovi test diagnostici per stabilire se un paziente è stato esposto a questa neurotossina”.
La storia della scoperta della nuova neurotossina parte dal Giappone, da un neonato che aveva contratto l’infezione nel 1995. Solo vent’anni dopo, nel 2015 il genoma del clostridio responsabile della sua patologia è stato finalmente sequenziato e depositato in un database; ed è qui, tra i 4 milioni di ‘lettere’ del suo codice genetico, che i ricercatori svedesi hanno individuato quelle relative alla nuova neurotossina.
“All’inizio abbiamo pensato di aver fatto qualche errore nell’analisi – ammettono i ricercatori svedesi – ma poi, dopo aver controllato varie volte, abbiamo capito di essere nel giusto. Questa scoperta apre una serie di nuovi filoni di ricerca che esploreremo insieme al team dell’Università di Harvard, diretto dal professor
Min Dong”.
Maria Rita Montebelli
03 agosto 2017
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