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Consiglio di Stato. Anche i farmaci SOP possono “farsi” pubblicità. Respinto ricorso della Salute

di Annalisa Scalia

Tale possibilità, fino alla pronuncia di primo grado dello scorso giugno, era da ritenersi preclusa in Italia, in ragione della prassi del Ministero della Salute volta ad ammettere la pubblicità solo dei medicinali OTC e non dei SOP. Il Consiglio di Stato ha precisato che una legislazione nazionale che introducesse divieti generali ulteriori rispetto a quelli previsti dalla direttiva 2002/83/CE si esporrebbe al rischio di incompatibilità comunitaria. LA SENTENZA

16 MAG - Con sentenza n. 2217 del 12 maggio 2017, il Consiglio di Stato ha respinto l'appello proposto dal Ministero della Salute avverso la sentenza del Tar Lazio n. 7539/2016, così confermando la piena ammissibilità della pubblicità presso il pubblico dei medicinali senza obbligo di prescrizione (SOP), ma non appartenenti alla categoria dei medicinali di automedicazione (OTC, over the counter, da banco o di automedicazione, cioè medicinali che il farmacista può esporre sul banco per la libera vendita).
 
Come si ricorderà, tale possibilità, fino alla pronuncia di primo grado dello scorso giugno, era da ritenersi preclusa in Italia, in ragione della prassi del Ministero della salute volta ad ammettere la pubblicità presso il pubblico solo dei medicinali OTC e non dei SOP, e fondata sull’assunto che l'ordinamento non avrebbe permesso tale attività in base all’art. 8, co. 10, lett. c-bis), della l. 537/1993, (non abrogato ed espressamente richiamato dall’art. 96 d.lgs. 219/2006), e dell’art. 115 d.lgs. 219/2006 che, nel disporre quale categoria di medicinali può essere oggetto di pubblicità presso il pubblico, utilizzerebbe la medesima definizione assegnata ai medicinali da banco (OTC) dall'art. 3 d.lgs. 539/1992.
 
Il Consiglio di Stato, dopo una puntuale ricostruzione del quadro normativo vigente, volta ad evidenziare l'insussistenza, nell'ordinamento italiano, di un espresso divieto alla pubblicità dei medicinali in questione, ha altresì precisato che una legislazione nazionale che introducesse divieti generali ulteriori rispetto a quelli previsti dalla direttiva 2002/83/CE si esporrebbe al serio rischio di incompatibilità comunitaria, non trattandosi, nel caso in esame, di tutelare interessi prevalenti, quale quello della salute pubblica, che può al più legittimare diverse cautele e prescrizioni in sede di autorizzazione alla pubblicità.
 
In particolare, i Giudici di appello hanno così statuito:
a) se è vero che il d.lgs. 219/2006 richiama la lettera c-bis) dell’art. 8, co. 10, l. 537/1993, è pur vero che lo fa esclusivamente per dettare specifiche disposizioni sulle diverse modalità di etichettatura e sull’immediata disponibilità in esposizione dei medicinali OTC, questioni che sono del tutto estranee al tema della pubblicità, cui è invece dedicato l’art. 96, co. 2, che, nell’ammettere la pubblicità, fa un generico rinvio al comma 1 del medesimo articolo, e quindi a tutti i medicinali SOP, e non solo a una parte di essi (quelli OTC);
 
b) peraltro, se il Legislatore avesse davvero inteso operare tale distinguo ai fini della pubblicità lo avrebbe fatto espressamente, e non attraverso la riproduzione di formule contenute in leggi non più vigenti, comunque ambigue e non decisive a fini interpretativi, quale è l’art. 3, co. 1, d.lgs. 539/1992;
 
c) una conferma decisiva rispetto a tali conclusioni si ricava dall’art. 88 della direttiva 2001/83/CE, che ha stabilito in generale il divieto di pubblicità per determinate categorie di medicinali, dovendosi così desumere, a contrario, che la pubblicità deve intendersi sempre consentita per le restanti, alla luce dell’art. 95 (oggi 114) del Trattato istitutivo della CEE, che consente agli Stati membri di introdurre limiti e restrizioni solo ove strettamente necessario per tutelare interessi prevalenti, quale quello della salute umana; pertanto, una legislazione che introducesse in via generale, in assenza di specifiche necessità, divieti ulteriori, travalicando i limiti tracciati dall’art. 88 cit., si esporrebbe al serio rischio di incompatibilità comunitaria;
 
d) un eventuale diverso grado di pericolosità per la salute dei farmaci SOP rispetto agli OTC non potrebbe, in ogni caso, giustificare l’estensione di un divieto generalizzato che non trova fondamento nella normativa europea, potendo al più legittimare diverse cautele e prescrizioni in sede di autorizzazione alla pubblicità (certamente possibili alla stregua della vigente legislazione).
 
Risulta, dunque, finalmente superata la tradizionale distinzione, prettamente italiana, tra medicinali OTC e restanti SOP, improntata sulla possibilità o meno di pubblicizzarli al pubblico, a favore di un sostanziale allineamento alla normativa europea, che non conosce tale distinguo (prevedendo il divieto di pubblicità presso il pubblico per i soli medicinali soggetti a prescrizione medica).
 
Avv. Annalisa Scalia
Studio Legale Astolfi e Associati

16 maggio 2017
© Riproduzione riservata

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