Il bifosfonato non funziona senza vitamina D
Per chi ha livelli di vitamina D circolanti inferiori a 33 nanogrammi per millilitro le probabilità di non rispondere ai farmaci sono 7 volte più alte.
08 GIU - Arriva dal 93esimo meeting annuale dell’Endocrine Society in corso a Boston l’ultima novità in tema di vitamina D. Le donne con ridotta densità ossea hanno una probabilità 7 volte maggiore di beneficiare dei bifosfonati se i loro livelli di vitamina D sono nella norma.“Mantenere adeguati livelli di vitamina D, al di sopra da quelli raccomandati recentemente dal Institute of Medicine è importante per ottimizzare la terapia standard per l’osteoporosi: quella con bifosfonati”, ha commentato Richard Bockman, primario del reparto di Endocrinologia al Weill Cornell Medical College di New York City. Secondo l’istituto americano, gli anziani con più di 70 anni non dovrebbero scendere al di sotto delle 600 Unità internazionali di vitamina al giorno, una quantità appena sufficiente a far raggiungere i 20 nanogrammi per millilitro ai livelli circolanti di vitamina.
Dallo studio, condotto in 160 donne con osteporosi, è emerso che le donne con livelli di vitamina D circolante compresi tra i 20 e i 30 nanogrammi per millilitro avevano il 77,8 per cento di probabilità di non rispondere al trattamento con bifosfonati. Mentre era del 42,3 la percentuale dei non responders nel gruppo con livelli dei vitamina compresi tra i 30 e i 40 nanogrammi per millilitro.In particolare, i pazienti con un valore superiore a 33 presentavano una probabilità 7 volte più alta di rispondere al trattamento con bifosfonati rispetto a quelli con un livello inferiore.
“Questo livello è più alto rispetto a quello considerato adeguato dall’Institute of Medicine e molto probabilmente è necessario un consumo di vitamina D superiore alle 600 UI per raggiungere questi valori”, ha affermato Bockman.
Intanto, in Italia, un recente studio ha evidenziato che sono gravemente carenti di vitamina D il 40% delle persone con meno di 45 anni e il 95% di quelle oltre i 65 anni. Tra i motivi alla base di questo fenomeno le abitudini di vita, il lavoro sedentario, la scarsa attività all’aperto.
Per questo gli esperti consigliano di passeggiare all’aria aperta per circa 20 minuti tutti i giorni, con braccia, mani e viso scoperti nelle ore centrali della giornata. Fare un’alimentazione attenta che comprenda per esempio pesce “grasso”, come salmone, merluzzo e sgombri, almeno tre volte alla settimana.
E, se necessario, ricorrere alla supplementazione farmacologica. “Per migliorare l’aderenza alla terapia la soluzione più idonea è quella di ricorrere alla monosomministrazione mensile”, ha commentato Silvano Adami, ordinario di Reumatologia della Università di Verona. “Una volta ingerito, il bolo viene stoccato nel tessuto adiposo e rilasciato man mano nell’arco dei 30 giorni, in base alle richieste dell’organismo”.
08 giugno 2011
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