Il cupping e gli atleti olimpici. Simfer mette in guardia da “facili illusioni” e dai “potenziali rischi”
Per la Società italiana di medicina fisica e riabilitativa la metodica del cupping "non è raccomandabile come misura terapeutica di scelta, né come intervento a sé stante, in presenza di altre possibilità di efficacia più comprovata; è inoltre necessario che, qualora essa venga effettuata, sia accompagnata ad una precisa valutazione medica ed un corretto inquadramento diagnostico".
23 AGO - Ogni evento collegato ai Giochi Olimpici ha una risonanza mediatica mondiale; non stupisce quindi che abbiano fatto il giro del mondo le immagini di alcuni atleti, fra cui il nuotatore plurimedagliato
Michael Phelps, che mostrano vistosi lividi circolari in varie parti del corpo, come se prima delle gare fosse stato afferrato dai tentacoli di un gigantesco polipo.
Sono i segni causati dal “cupping”, una tecnica basata sull’applicazione di una specie di ventosa, che “risucchia” la pelle ed i tessuti sottostanti, e che viene proposta per trattare diversi problemi, fra cui i disturbi muscolari che possono colpire chi fa attività sportiva. Sono bastate queste immagini ad accendere i riflettori su una metodica ben conosciuta da tempo, e, come accade in questi casi, a scatenare la fantasia del web e di altri media, alimentando facili illusioni sui suoi poteri taumaturgici.
La Società italiana di medicina fisica e riabilitativa (Simfer), a tal proposito, ha ritienuto necessario "fornire alcune informazioni aggiornate e scientificamente corrette" su questo tema, per aiutare il pubblico a comprenderne le possibili indicazioni, i limiti ed i rischi, e per evitare il ricorso indiscriminato ed inappropriato ad una metodica solo apparentemente innocua.
"Il cupping è una metodica che in italiano prende il nome di 'coppettazione' - afferma il fisiatra
Giampaolo de Sena -.
Questo termine deriva dall’utilizzo di coppette trasparenti, solitamente in vetro, nelle quali viene fatto il vuoto con differenti metodiche. Questo vuoto, quando la coppetta viene posta a contatto con la pelle, provoca un effetto di risucchio che provoca 'ematomi a pois' dovuti al richiamo di sangue sugli strati superficiali della cute. Questa metodica - precisa il fisatra - ha origine nella medicina tradizionale cinese e da un tempo relativamente recente è stata studiata, con metodo scientifico, in ambito riabilitativo".
Alcuni esperti del gruppo di studio Sìimfer sulla Medicina Basata sulle Evidenze hanno esaminato le pubblicazioni che hanno cercato di valutare in modo scientifico l’efficacia terapeutica di questa metodica. "Vi sono diverse revisioni sistematiche, cioè studi che raccolgono e confrontato i risultati di diverse ricerche singole - affermano i fisiatri
Stefano Mazzon e
Roberto Iovine - la metodica è stata applicata in varie patologie come l’herpes zoster, l’acne, il dolore della colonna cervicale e lombare, l’ipertensione, l’ictus cerebrale, ma la maggioranza degli studi non è risultata sufficientemente rigorosa per esprimere un giudizio definitivo sull’efficacia terapeutica".
Alcuni studi hanno evidenziato un effetto antidolorifico del cupping: tuttavia la rilevanza clinica, cioè la reale entità del beneficio ottenuto, non è stata dimostrata in modo conclusivo.
Gli effetti collaterali sono limitati ma comunque possibili, come le lesioni e le infezioni cutanee (specialmente nella forma detta “wet” cupping che prevede l’incisione della cute). "Per ricordare che anche pratiche terapeutiche apparentemente poco invasive non sono scevre da rischi anche gravi - aggiungono Mazzon e Iovine - segnaliamo che in letteratura è stato presentato un caso di emorragia cerebrale correlato ad una crisi ipertensiva dopo un cupping della regione cervicale".
In concusione, in base ai dati disponibili attualmente, secondo la Simfer "la metodica del cupping non è raccomandabile come misura terapeutica di scelta, né come intervento a sé stante, in presenza di altre possibilità di efficacia più comprovata; è inoltre necessario che, qualora essa venga effettuata, sia accompagnata ad una precisa valutazione medica ed un corretto inquadramento diagnostico, in modo da inserirla in un adeguato progetto riabilitativo che tenga conto anche dei possibili effetti negativi".
23 agosto 2016
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