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Psa, attenzione all’inappropriatezza


Negli Usa, gli ultrasettantenni si sottopongono allo screening per il cancro alla prostata più dei cinquantenni. Un dato che preoccupa gli esperti: gli anziani potrebbero essere portati a sottoporsi a interventi che producono più danni che benefici.

30 MAR - Sull’opportunità di impiegare il dosaggio del Psa nella diagnosi precoce del cancro della prostata il dibattito è ancora aperto. Ma su una cosa sostenitori e detrattori sono d’accordo: fare il test sopra i 70 anni è quasi inutile dal momento che l’aspettativa di vita non è tale da poter beneficiare dell’anticipazione diagnostica.

Ed è per questo che i risultati di uno studio appena pubblicato sul Journal of Clinical Oncology hanno immediatamente sollevato le preoccupazioni degli esperti: dall’analisi di un censimento sanitario federale americano è emerso che si sottopone al dosaggio del Psa il 24 per cento degli uomini di età compresa tra i 50 e 54 anni. La percentuale continua a cresce fino a toccare il picco del 45,5 per cento tra i 70-74enni. Ma fa il test anche il 24,6 per cento degli ultraottantacinquenni.

I numeri hanno fatto immediatamente drizzare le antenne dei ricercatori: “La nostra ricerca mostra che un’alta percentuale di uomini anziani (che sono spesso malati) si sottopone inappropriatamente allo screening per il cancro alla prostata. Siamo preoccupati che questo screening possa portare a sottoporli a un trattamento che, in definitiva, avrebbe bassissime probabilità di dare benefici e, paradossalmente, potrebbe produrre più danni che benefici”, ha commentato Scott Eggener, docente di chirurgia alla University of Chicago e coordinatore dello studio. Ma il gruppo non si è soltanto limitato a commentare i dati, cercando invece una spiegazione. 

Innanzitutto, notando che i tassi di adesione allo screening riflettano la frequenza con cui i pazienti si rivolgono al loro medico di famiglia. Ed è quindi su questi ultimi che puntano il dito i ricercatori: “dovrebbero essere più selettivi nel consigliare il dosaggio del Psa agli anziani - hanno sottolineato - soprattutto a quelli con una limitata aspettativa di vita”.

D’altro canto, anche la bassa adesione dei cinquantenni allo screening preoccupa gli esperti: “Siamo stati inoltre sorpresi nel rilevare che circa i tre quarti dei cinquantenni non si era sottoposto a screening nell’anno precedente. Questi risultati enfatizzano la necessità di una più forte interazione con il medico sui benefici e i limiti dello screening per il cancro alla prostata in tutti gli uomini di tutte le età”.

Una preoccupazione, quest’ultima, che se non fa dormire oltre Atlantico, in Italia ci assilla molto meno. L’American Cancer Society ha recentemente incoraggiato tutti gli uomini con un’aspettativa di vita di almeno 10 anni a rivolgersi al proprio medico per valutare l’opportunità di sottoporsi al test del Psa (cominciando a 50 anni se si è a medio rischio o a 45 se ad alto). 

Tutt’altra storia in Italia, dove uno studio non molto recente (2000-2002) stimava che il 31 per cento della popolazione maschile con più di 18 anni si fosse sottoposto a un test del Psa (uno studio del 2008 condotto in Emilia Romagna parla invece del 38% dei 55-69enni). 

Nel novembre scorso un documento di consenso sottoscritto da diverse società scientifiche nell’alveo dell’Osservatorio nazionale screening ha per il momento ritenuto opportuno non raccomandare lo screening. Nonostante la recente pubblicazione di diversi studi che confermavano l’efficacia dell’esame di ridurre la mortalità. 

“A questo punto abbiamo la sicurezza che la diagnosi precoce può ridurre la mortalità”, ha commentato in una recente pubblicazione dell’Osservatorio nazionale screening il suo direttore, Marco Zappa. «Il problema che si pone, però, è che questo avviene al prezzo di effetti negativi molto alti, come confermano gli elevati tassi di sovradiagnosi (intorno al 50 per cento). Ciò significa che vengono trovati molti tumori che non sarebbero mai comparsi nella storia della persona”. Inoltre, dal momento che “oggi non siamo in grado di riconoscere quali tumori sono aggressivi e quali no, si è costretti a trattarli tutti, o con la chirurgia o con la radioterapia”, ha aggiunto. “E gli effetti di questi trattamenti possono essere molto pesanti: incontinenza e impotenza sono quelli più comuni, ma in alcuni casi si può arrivare fino la morte”.

Per questa ragione, i sottoscrittori del documento di consenso raccomandano che non vengano attivati programmi di sanità pubblica che prevedano l’impiego del test del Psa come esame per la diagnosi precoce del tumore della prostata e che anche l’impiego sul singolo sia accompagnato da una completa informazione sui rischi e i benefici.

30 marzo 2011
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