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Sclerosi multipla: studio californiano svela l’insospettato ruolo dei macrofagi nell’avviare la malattia

di Maria Rita Montebelli

Uno studio pubblicato su Nature Immunology suggerisce che i macrofagi sono in grado di attirare i linfociti T autoreattivi all’interno del sistema nervoso, facendo loro attraversare il Rubicone della barriera ematoencefalica. Qui giunte le cellule T cominciano a sferrare il loro attacco alla proteina basica della mielina producendo così i ben noti danni tipici di questa malattia. Ma non basta, i macrofagi sembra possano fare molto di più

02 NOV - Si continuano quest’autunno a raccogliere i frutti di interessanti ricerche sul ruolo del sistema immunitario nella sclerosi multipla. Dopo lo studio australiano pubblicato la scorsa settimana su Nature Communication, che evidenziava l’attività dei linfociti Th17 nel determinare la progressione della malattia, arrivano oggi su Nature Immunology i risultati di una ricerca americana che chiama in causa i macrofagi come protagonisti delle fasi iniziali di questa patologia.
 
La sclerosi multipla è una condizione neurologica su base autoimmune scatenata dalle cellule T che infiltrano cervello e midollo spinale dove sferrano un attacco alla mielina, la guaina ‘grassa’ che riveste e isola le fibre nervose. Col passare del tempo questi attacchi ripetuti determinano un danno permanente al rivestimento assonale mielinico, alterando in questo modo la trasmissione dei segnali nervosi che viaggiano dal cervello alla periferia e viceversa.
 
Fino ad oggi tuttavia non era noto cosa consentisse ai linfociti T di attraversare la barriera emato-encefalica (che rappresenta normalmente un confine invalicabile) e di infiltrarsi così all’interno del sistema nervoso centrale.
Ma questo nuovo studio californiano pubblicato online first su Nature Immunology propone una teoria interessante. Ad attirare le cellule T, protagoniste dell’attacco autoimmune all’interno del sistema nervoso, sarebbero i monociti e i macrofagi, le cosiddette cellule ‘spazzino’ del sistema immunitario.
 
“I risultati del nostro studio – spiega l’autore senior, Catherine Hedrick, Divisione di Inflammation Biology,La Jolla Institute for Allergy and Immunology (USA) – dimostrano che macrofagi e monociti svolgono un ruolo attivo sia nelle fasi iniziali, che nella progressione della sclerosi multipla, considerata tradizionalmente una malattia causata dalle cellule T. Queste cellule sono in grado di esacerbare la gravità di questa condizione, emettendo segnali chimici che potenziano l’infiammazione e attirano le cellule T autoreattive verso il sistema nervoso”.
 
Rivelando alcuni nuovi meccanismi molecolari che controllano la neuroinfiammazione, questo studio arricchisce le conoscenze sulla complessa patogenesi di questa condizione e supporta la crescente importanza del ruolo causale svolto dal dialogo incrociato tra sistema immunitario periferico e cervello. Questa scoperta naturalmente apre anche la strada a potenziali nuove terapie mirate a modulare i regolatori immunitari che contribuiscono all’infiammazione nel sistema nervoso centrale.
 
“Ciò che sorprende – riflette il primo autore dello studio, Iftach Shaked – è che tutti noi abbiamo linfociti T autoreattivi che riconoscono la proteina basica della mielina (MBP), ma queste cellule normalmente non infiltrano il sistema nervoso centrale e non provocano dunque la malattia”.
 
E’ noto che lo stress è in grado di peggiorare i sintomi di qualunque malattia infiammatoria, tra l’altro anche della sclerosi multipla. Ma i meccanismi molecolari che collegano lo stress alla neuroinfiammazione sono rimasti a lungo ignoti. Un incontro fortuito avvenuto in corridoio tra il dottor Shaked e Richard Hanna, l’altro coautore principale della ricerca, ha segnato l’avvio di una collaborazione che ha consentito di gettare luce su questa relazione elusiva. In particolare Hanna sta studiando la funzione della proteina Nr4a1 che risponde sia ai segnali di stress che a quelli infiammatori; secondo i ricercatori californiani questa proteina rappresenterebbe un fattore cruciale nel proteggere il sistema nervoso centrale dagli attacchi dell’ autoimmunità.
 
Per valutare il ruolo di questa misteriosa proteina i ricercatori hanno indotto una encefalomielite autoimmune sperimentale (il modello utilizzato per lo studio della sclerosi multipla) nei topi con e senza proteina Nr4a1. In quelli carenti della proteina Nr4a1 le cellule T autoreattive arrivavano ad infiltrare il sistema nervoso centrale molto più precocemente e in maniera più massiccia rispetto agli animali con la proteina Nr4a1, esacerbando in questa maniera la progressione e gravità della malattia.
 
Gli autori dello studio sono riusciti a scoprire anche che la proteina Nr4a1 inibisce la produzione di norepinefrina, agendo sulla tirosina idrossilasi, un enzima limitante la sintesi di norepinefrina. La norepinefrina è un mediatore della risposta del corpo allo stress, sia fisico che psicologico. Negli animali privi di questa proteina ‘calmierante’, macrofagi e monociti producono norepinefrina senza freni, fatto questo che a sua volta provoca l’attivazione dei macrofagi, amplificando in questo modo la neuroinfiammazione e causando l’arrivo in massa di cellule T nel sistema nervoso centrale. Per contro, l’inibizione della tirosina idrossilasi nelle cellule mieloidi protegge i topi dalla malattia.
 
“Le cellule mieloidi come i macrofagi – spiega Hanna – presentano recettori per le molecole che segnalano lo stress e questo consente loro di rispondere a sollecitazioni provenienti dal sistema nervoso simpatico. La novità sta nel fatto che evidentemente queste cellule non stanno lì solo per ‘sentire’ ma anche per mandare i loro segnali”.
 
Un piccolo studio pilota ha dimostrato che anche nelle persone con sclerosi multipla, vengono utilizzati gli stessi canali di comunicazione  per inviare messaggi tra cervello e sistema immunitario periferico. “Monociti e macrofagi – afferma Shaked – sono in grado di amplificare la risposta infiammatoria all’interno del sistema nervoso centrale; e questo dimostra che le cellule mieloidi giocano un ruolo importante e inaspettato nelle malattie cerebrali”.
 
Maria Rita Montebelli

02 novembre 2015
© Riproduzione riservata

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