Chirurgia della spalla. Gli esperti europei: “Tra il 7 e il 15% torna sotto i ferri”. I risultati al congresso sulla chirurgia ‘secondaria’
L'incontro, che si apre oggi a Roma, si concentrerà sulla gestione dei fallimenti del trattamento chirurgico di diverse condizioni patologiche intorno alla spalla, come: instabilità della gleno-omerale, patologia della cuffia dei rotatori, patologia del capo lungo del bicipite e l’artrosi gleno-omerale. Tabagismo primo nemico: interferisce anche sulla guarigione dei tessuti in generale e sui tendini della cuffia dei rotatori in particolare.
02 OTT - Si apre oggi a Roma (NH Hotel Corso Italia) il primo Meeting Biennale sulla gestione dei fallimenti in chirurgia della spalla che riunisce i chirurghi ortopedici della European Shoulder Associates (Esa – Esska). Il meeting si concentra sugli ‘interventi secondari’: l'incontro si concentrerà sulla gestione dei fallimenti del trattamento chirurgico di diverse condizioni patologiche intorno alla spalla, come: instabilità della gleno-omerale, patologia della cuffia dei rotatori, patologia del capo lungo del bicipite e l’artrosi gleno-omerale. Con una particolare attenzione in caso di fallimento di protesi di spalla.
“Le cause che determinano la necessità di un intervento 'secondario' sono il dolore e l’impotenza funzionale - spiega
Andrea Grasso, Specialista in Chirurgia Ortopedica e Chairman del Meeting insieme al Prof Giuseppe Milano -.“Infatti solamente a causa di uno di questi due problemi il paziente torna dal medico ed è disposto a sottoporsi nuovamente ad un intervento. E una quota invece attiene a complicanze come le infezioni”.
La chirurgia ortopedica è ad alto rischio di fallimento? Insomma, quanti sono gli interventi non riusciti sul totale di quelli eseguiti? “Dipende dalla patologia: nel caso delle lussazioni le percentuali sono variabili. Infatti un ragazzo che si opera perché la sua spalla esce, se torna a visita mesi o anni dopo l’intervento, è perché la sua spalla si è nuovamente lussata o sub lussata. La percentuale è una variabile dipendente dall’età. Basti pensare che il trattamento artroscopico, al di sotto dei 20 anni di età vede una percentuale di insuccesso intorno al 15%, mentre al di sopra dei 25 anni si dimezza e arriva al 7%”, spiega l'esperto.
Le cause? Diverse, alcune riferibili al paziente, quando non osserva le precauzioni post-operatorie e non osserva il protocollo rieducativo. Alcuni interventi sono dovuti a comportamenti del paziente che ha messo sotto stress o ha danneggiato la cicatrice che si sta formando a livello dei tendini o dei legamenti operati. Per mantenere un buon risultato nel tempo invece è fondamentale mantenere un buon trofismo della muscolatura, elemento fondamentale per contenere e proteggere l’articolazione.
Ci sono poi condizioni patologiche che interferiscono sul processo di guarigione: “Il diabete è un grosso fattore di rischio di fallimento dell’intervento perché il microcircolo è alterato ed interferisce con il fisiologico processo riparativo dei tessuti - prosegue Grasso -. Il diabete inoltre aumenta il rischio di rigidità post-operatoria e aumenta il pericolo di infezioni, fattore importante e derimente nel caso di interventi protesici negli anziani. Ma il nostro nemico numero uno è il tabagismo. È oramai scientificamente dimostrato che il fumo interferisce anche sulla guarigione dei tessuti in generale e sui tendini della cuffia dei rotatori in particolare. In un articolo scientifico della scuola statunitense su 235 pazienti sottoposti ad intervento di sutura della cuffia i risultati eccellenti o buoni sono stati, rispettivamente, dell’84% nei non fumatori e del solo 35% nel gruppo dei fumatori. Molto bassi invece gli errori causati dall’operatore, il dato è tratto dal numero di richieste di risarcimento. L’errore più frequente nella chirurgia della spalla, a mio parere, è l’errata indicazione”.
Non tutti i casi di intervento fallito però tornano in sala operatoria, questa eventualità deve essere sempre discussa con il paziente, tenendo conto della sua età, delle condizioni generali di salute, del suo stile di vita. E’ fondamentale essere chiari con il paziente e dirgli chiaramente cosa può aspettarsi dalla nostra chirurgia. Non sempre è possibile risolvere il problema al 100% e tornare ad una ‘restitutio ad integrum’, questo è molto importante. E’ proprio il paziente a decidere cosa è importante per lui ma nella mia esperienza chi accetta di subire un nuovo intervento lo fa perché vuole eliminare il dolore dalla sua esistenza e accetta, di converso, alcune eventuali limitazioni nella mobilità e nella funzionalità dell’arto.
02 ottobre 2015
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