Le extrasistoli ventricolari? Potrebbero non essere affatto ‘innocenti’
di Maria Rita Montebelli
Uno studio pubblicato online sulla rivista dei cardiologi americani suggerisce che le extrasistoli ventricolari rappresentino un fattore di rischio per scompenso cardiaco, un importante problema di salute pubblica per gli anni a venire. La speranza è che, trattando questa comune aritmia, si potrebbe riuscire a prevenire, almeno in parte, l’epidemia dei cuori affaticati.
08 LUG - In una società sempre più anziana, lo scompenso cardiaco rappresenta una bomba ad orologeria per le finanze pubbliche, destinata ad esplodere da qui ai prossimi anni. Per questo diventa sempre più importante mettere in atto la migliore prevenzione possibile, per mettersi al riparo da questa condizione.
E questo naturalmente passa per il trattamento dei fattori di rischio già noti e per l’individuazione di nuove, finora trascurate condizioni predisponenti.
Un passo avanti in questa direzione lo fa uno studio dell’Università della California di San Francisco (UCSF), appena pubblicato su
Journal of the American College of Cardiology (JACC), che suggerisce come anche le comuni extrasistoli ventricolari, finora considerate non proprio un pericolo, possano al contrario rappresentare un fattore di rischio modificabile per scompenso cardiaco e per la mortalità ad esso correlata.
Le extrasistoli sono dei battiti anomali che possono originare anche dai ventricoli; danno un’alterazione del ritmo cardiaco, che di per se non comporta grandi preoccupazioni e dunque non viene trattata.
I ricercatori americani hanno seguito per oltre dieci anni 1.139 soggetti inclusi nel
Cardiovascular Heart Study, uno studio di coorte sponsorizzato dal
National Heart, Lung and Blood Institute, che interessa circa 6.000 persone di età pari o superiore ai 65 anni. I partecipanti allo studio sono stati reclutati tra il 1989 e il 1993 e sono stati sottoposti al momento ‘zero’, ad una serie di test di base. Quindi, sono stati richiamati annualmente per controlli ambulatoriali e, ogni sei mesi, contattati al telefono per 10 anni.
“Non è possibile escludere del tutto la possibilità – afferma
Gregory Marcus, Direttore della ricerca clinica presso la Divisione di Cardiologia della UCSF – che le extrasistoli rappresentino un epifenomeno, un marker di scompenso cardiaco. Tuttavia, nessuno dei partecipanti al nostro studio aveva una storia di scompenso cardiaco. Al contrario, la funzionalità ventricolare, valutata all’ecocardiogramma, risultava normale. I risultati del nostro studio suggeriscono che le extrasistoli ventricolari rappresentano un importante predittore di scompenso cardiaco. Resta ancora da appurare la presenza o meno di una relazione di causalità. Qualora questa venisse dimostrata, avremmo a disposizione un nuovo approccio per prevenire la comparsa di scompenso cardiaco”.
In questo studio, i ricercatori americani hanno sottoposto ad ECG Holter (la registrazione dell’elettrocardiogramma per 24 ore) 1.139 dei partecipanti al
Cardiovascular Health Study , senza storia di scompenso cardiaco e con normale funzione ventricolare all’ecocardiogramma. Questi soggetti sono stati poi seguiti nel tempo per monitorare l’eventuale comparsa di scompenso cardiaco o il decesso. Tra i soggetti esaminati in questo studio, i ricercatori americani hanno notato che una maggior frequenza di extrasistoli ventricolari risultava associata con un’alterazione della funzionalità ventricolare sinistra, con aumentata comparsa di scompenso cardiaco clinicamente rilevante e con una maggiore mortalità correlata allo scompenso.
Visto che le extrasistoli ventricolari sono trattabili sia farmacologicamente, che con la metodica dell’ablazione trans-catetere, gli studiosi americani ritengono che questa potrebbe essere la strada da seguire per eliminare questo fattore di rischio per scompenso cardiaco e mortalità.
“Saranno necessari ulteriori studi – ammette Marcus – per stratificare con precisione la popolazione di pazienti più a rischio, individuando magari un
pattern particolare di extrasistoli ventricolari, più fortemente associato allo scompenso cardiaco. Una volta individuati questi fattori, sarà possibile organizzare
trial clinici randomizzati per valutare, tra i pazienti a rischio più elevato, l’efficacia dell’ablazione per la prevenzione dello scompenso cardiaco”.
Lo scompenso cardiaco è una condizione caratterizzata dall’incapacità del cuore di pompare sangue sufficiente per le necessità dell’organismo. Negli USA si prevede che la prevalenza di questa condizione aumenterà del 25% nei prossimi 15 anni. Tra i fattori di rischio già noti per scompenso cardiaco ci sono l’obesità, il diabete mellito e l’ipertensione. Tuttavia, un paziente su due di quelli affetti da scompenso cardiaco non presenta alcuna di queste condizioni.
Maria Rita Montebelli
08 luglio 2015
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