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Chirurgia. Sufficienti quattro giorni di antibiotici per le infezioni intra-addominali

di Gene Emery

Se vengono controllate le fonti di infezioni, quattro giorni di terapia antibiotica potrebbero essere sufficienti per il trattamento delle infezioni intra-addominali. È quanto emerge da uno studio condotto tra USA e Canada.

22 MAG - (Reuters Health) – Secondo uno studio Nord Americano (Stati Uniti e Canada) condotto su 518 casi, molti casi complicati di infezione intra-addominale potrebbero essere tenuti sotto controllo somministrando al paziente quattro giorni di antibiotici. "Questi dati sostengono il concetto che, dopo un’adeguata procedura di controllo della sorgente dellì’infezione, gli effetti benefici della terapia antimicrobica sistemica sono limitati ai primi giorni dopo l’intervento”, hanno riferito i ricercatori.

Lo studio randomizzato, conosciuto come STOP-IT e pubblicato ieri sul New England Journal of Medicine online, ha preso in esame i pazienti di 23 ospedali di Stati Uniti e Canada. Curare le infezioni intra-addominali, in cui la morbidità può raggiungere quasi il 50% negli anziani o nelle persone gravemente malate, può essere difficoltoso e non esistono linee guida chiare in merito alla durata della parte antibiotica della terapia. Alcuni esperti sostengono che prima bisognerebbe risolvere tutte le evidenze riguardo la sindrome da risposta infiammatoria sistemica (SIRS). Altri, invece, suggeriscono che potrebbe essere corretto somministrare dai tre ai cinque giorni di antibiotico invece che dai sette ai quattordici. Tuttavia, l’uso eccessivo di antibiotici pone dei problemi in termini di costi e resistenza.

Nello studio specifico, un gruppo di pazienti ha ricevuto quattro giorni di terapia antibiotica, dopo il controllo della fonte di infezione. I pazienti nel gruppo del trattamento standard, invece, hanno assunto antibiotici fino a due giorni dopo la scomparsa dei problemi causati dalla SIRS (ciò significa che i soggetti non avevano avuto la febbre per un giorno intero, i globuli bianchi erano meno di 11.000/ mm3 e riuscivano a mangiare senza problemi) o per un massimo di 10 giorni. L’infezione era localizzata nel colon o retto nel 34% dei casi, nell’appendice e nell’intestino tenue nel 14%.
 
I ricercatori non hanno controllato il tipo di antibiotici usati, sebbene i medici dovessero attenersi alle linee guida pubblicate congiuntamente dalla Surgical Infection Society e dalla Infectious Diseases Society of America. Tuttavia, hanno richiesto che tutti i partecipanti ricevessero un adeguato controllo della fonte di infezione. Ciò è stato effettuato nel 33% dei casi tramite drenaggio percutaneo, nel 27% attraverso resezione chirurgica e anastomosi o chiusura e nel 21% con il solo drenaggio chirurgico.

Dallo studio è emerso che il 21,8% dei pazienti sottoposti a terapia breve sviluppavano un’infezione del sito chirurgico, un’infezione intra-addominale ricorrente o morivano entro 30 giorni rispetto al 22,3% dei soggetti che ricevevano una terapia più lunga (P=0.92). 47 dei 258 pazienti del gruppo della terapia breve hanno ricevuto un prolungamento del trattamento: 16 a causa dell’elevato numero di globuli bianchi, 2 per febbre e 12 a causa di problemi gastrointestinali in corso che non gli permettevano di mangiare normalmente. Infine, 10 hanno sviluppato una nuova infezione.

Tre pazienti del gruppo sperimentale e due del gruppo di controllo sono morti. La causa di tutti i decessi è stata attribuita a un problema coesistente come cancro o malattia cardiovascolare e non all’infezione. Un trattamento più breve potrebbe essere migliore poiché i dati sperimentali “suggeriscono che una SIRS prolungata potrebbe essere più un riflesso dell’attività immunitaria dell’ospite che un’indicazione della presenza di microrganismi vitali”, hanno detto i ricercatori, guidati da Michael Choti, primario di Chirurgia all’University of Texas Southwestern Medical Center di Dallas (USA), e da Christopher Guidry, del Dipartimento di Chirurgia della University of Virginia Health System di Charlottesville (USA).

I nuovi risultati offrono un’evidenza a sostegno di questo concetto. Inoltre, anche altri studi più piccoli hanno supportato questa tesi. I risultati suggeriscono anche che “un vero miglioramento clinicamente significativo nella gestione della patologia probabilmente attende interventi tecnici o che modificano la risposta immunitaria più efficaci”, ha affermato il team di Guidry.

Fonte: New England Journal of Medicine 2015

Gene Emery
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science) 

22 maggio 2015
© Riproduzione riservata

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