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Speciale 2011. Le aspettative della sanità. Intervista a Sergio Dompé (terza puntata)


L'anno che verrà secondo il presidente della Farmindustria. Crisi finita?:  il vero problema è che "il Paese è  vittima di un fenomeno generale che ne ha reso discontinua la capacità di competere sui mercati". La spesa farmaceutica 2011: "Sarà stabile". La ricerca: "Nel 2011 arriveremo a quota 270 progetti innovativi in Italia. Ma la vera innovazione terapeutica oggi è quella che permette di aumentare la qualità della vita nella vecchiaia".

10 GEN - Crisi economica, prospettive del settore farmaceutico, rapporti con le farmacie e le altre componenti della filiera, le novità nella ricerca e il futuro per i giovani, anche alla luce dell'appello di fine anno del presidente Napolitano. Questi i punti più salienti dell'intervista esclusiva al presidente di Farmindustria Sergio Dompé che, in ogni caso e al di là delle difficoltà oggettive di prevedere come e quando si potrà considerare conclusa questa fase di crisi economica, si dice ottimista sulle possibilità di tenuta del sistema del farmaco. (Vedi altri interventi: 3 gennaio 20115 gennaio 2011).
 
Presidente Dompé, come si chiude il 2010 per l’industria farmaceutica?
È stato un anno non facile. Abbiamo dovuto combattere su due fronti: la continua discesa del ricavo netto medio sul mercato interno e la diminuzione dell’incremento del fatturato ospedaliero dovuto alle molte iniziative messe in atto dalle Regioni per comprimere la spesa farmaceutica negli ospedali. È stato un anno difficile anche dal punto di vista dell’accesso all’innovazione. Segnato, peraltro, dalla riduzione subita sul margine per l’industria tagliato dell’1,83% sul prezzo del farmaco al pubblico. Un taglio che, nei fatti, diventa del 2,70% sul fatturato delle imprese, già tra i più bassi in Europa, a parità di prezzo. Una scelta che ha penalizzato l’industria per favorire la farmacia.

Il confronto tra i diversi protagonisti della filiera è stato molto acceso nel corso dell’approvazione della manovra di luglio. Il presidente della Fofi, Andrea Mandelli, ha auspicato che nel 2011 vi sia spazio per un confronto più sereno e una visione comune. Crede sia possibile?
Gli auspici del presidente Mandelli sono validi e condivisibili. La questione, però, è di non fermarsi alle parole e, di fronte alle difficoltà oggettive, studiare soluzioni che non penalizzino le altre componenti del settore. Sono il primo a ritenere che la battaglia dei farmacisti contro la manovra sia stata legittima, perché il taglio dei margini nei loro confronti era ingiusto dato che negli ultimi anni non si è registrato alcun incremento dei loro introiti per la farmaceutica convenzionata a fronte di un forte aumento dei costi. Ma la questione non andava addebitata alle imprese, soprattutto se si considera che la distribuzione intermedia di fatto avrebbe avuto ricadute pesanti sul suo margine. Personalmente credo molto alla possibilità di avere una farmacia “tonica” e un servizio efficiente per i cittadini. E questo perché, al di là delle questioni interne, il futuro di tutte le parti dipende dall’efficienza e dalla competitività del servizio reso, oltre che naturalmente dall’accessibilità ai farmaci e all’innovazione in tempi rapidi. Spero proprio, quindi, che nel 2011 questa visione comune possa realizzarsi.

La legge di stabilità non prevede ulteriori tagli all’industria farmaceutica. È un segnale positivo?
Al di là di quanto detto, non posso non riconoscere una certa disponibilità del Governo ad evitare ulteriori penalizzazioni del settore. Dobbiamo infatti registrare alcuni elementi positivi quali il finanziamento dei contratti di programma per la ricerca e il cambiamento sostanziale di affidamento dei fondi del ministero della Salute, oggi distribuiti con criteri competitivi. Abbiamo inoltre assistito a un netto miglioramento dell’attività dell’Aifa e al rafforzamento della sua visibilità a livello internazionale, con una collaborazione e una spinta all’innovazione che ha visto partecipe anche l’Istituto superiore di Sanità. Un modo di lavorare nuovo e positivo.

Un giudizio particolare sul ministro della Salute?
Il ministro Fazio ha avuto innanzitutto il coraggio di dare trasparenza e visibilità a tutti gli indicatori sanitari, un’azione fondamentale per creare un sistema capace di guardare non solo al costo, ma al suo rapporto con la qualità. Da sottolineare, poi, il decreto per l’accesso ai farmaci innovativi.
Sono tutte azioni che hanno rappresentato un impegno significativo verso l’incardinamento del sistema in un modello moderno. Segnali positivi, dopo anni di politiche di compressione che, nell’arco di un quadriennio, hanno portato al taglio di circa 8mila posti di lavoro su un totale di 73mila unità. Un dato estremamente significativo. L’industria italiana è comunque riuscita a mantenere un alto livello di competitività. Ed è stato possibile perché si è puntato sull’export, che oggi rappresenta più della metà del nostro fatturato.

Quali sono, allora, le prospettive per il 2011? La farmaceutica e l’Italia usciranno dalla crisi?
La crisi che stiamo attraversando, e parlo soprattutto per l’Italia, non si è caratterizzata con picchi ben definiti e tali da far ipotizzare momenti di ripresa facilmente individuabili. Siamo piuttosto dinanzi a una crisi di sistema e soprattutto del sistema di competitività che ha governato l’economia negli ultimi decenni. In altri termini non c’è stato alcun fenomeno recessivo repentino e limitato nel tempo. Altrimenti basterebbe attendere la fine di quel momento per confidare in una ripresa dell’economia. Ritengo che il Paese sia piuttosto vittima di un fenomeno generale che ne ha reso “discontinua” la capacità di competere sui mercati. E nella realtà internazionale se non si è competitivi, non si può rimanere a galla.
Il settore farmaceutico si salva più di altri perché sa distinguersi grazie alla ricerca. Anche se all’interno del settore alcune imprese sono rimaste competitive mentre altre sono in sofferenza. Tuttavia confido nella tenuta complessiva del sistema del farmaco; ritengo però che si debba avere il coraggio di agire ad ampio raggio. In caso contrario i miglioramenti registrati nel corso del 2010, e che, probabilmente, continueranno nei prossimi anni, serviranno solo a far sopravvivere un sistema che nasconde profonde disomogeneità e criticità. In sostanza per il 2011 penso di non sbagliare ipotizzando una sostanziale stabilità della spesa farmaceutica complessiva con una riduzione dei margini industriali, pur in presenza di un aumento dei volumi di vendita e dell’innovazione. Dal punto di vista della spesa pubblica ciò è molto positivo, ma per l’industria non si può nascondere il rischio di una ulteriore riduzione dei costi che potrebbe incidere sull’occupazione.

E allora quali auspici per il nuovo anno?
Ci auguriamo di recuperare una visione integrata del sistema pure da parte delle altre categorie. Auspichiamo inoltre stabilità nella spesa, anche considerato il trasferimento di 600 milioni appena operato dalla componente ospedaliera a quella convenzionata, dove occorre evitare lo sforamento del tetto. Da parte dell’Aifa ci aspettiamo di raccogliere i frutti del lavoro positivo avviato nel 2010: un impegno per l’efficienza del sistema che punti ad azzerare i ritardi che ancora si registrano nelle procedure per l’accesso ai prodotti innovativi. Non vanno poi trascurate le ricadute che potrà avere la riforma Gelmini, che giudichiamo positivamente perché aiuterà le università a migliorare e a dare spazio alla competitività, spingendo i migliori atenei italiani a una maggiore interazione con l’industria.

Il presidente della Repubblica, Napolitano, ha lanciato un appello perché si investa più sui giovani. Quale ruolo può avere l’industria del farmaco in questo ambito?
Nella legge Gelmini ci sono molte possibilità anche per quanto riguarda la capacità di attrarre talenti dall’estero che, per la ricerca, sono talenti giovani. L’Italia ha assolutamente bisogno di investire sui giovani, ma credo che questo possa avvenire solo incrementando la competitività che, del resto, è la forza trainante del mondo giovanile. Sapere che in Italia avremo mille giovani ricercatori in più è una bella notizia. Ma la vera bella notizia sarebbe sapere che ci sono 25 progetti di ricerca in più. Il secondo elemento automaticamente traina il primo, ma non è detto il contrario.

Abbiamo parlato del contesto italiano. In che contesto si muove, invece, l’industria farmaceutica a livello europeo?
Talvolta ho qualche dubbio sulla tenuta dell’Unione Europea: non appena emergono problemi di competitività internazionale ecco riapparire le politiche individualiste di ciascuno Stato membro. Non sembra esserci capacità di condivisione. Come dimostra il caso, recentissimo, della battaglia – di retroguardia – sulla scelta delle lingue per l’eurobrevetto. Mentre oggi l’impegno vero, a livello europeo, dovrebbe concentrarsi sulla definizione di un sistema brevettuale che dia maggiori possibilità a tutti di dare il proprio apporto alla innovatività complessiva del sistema. In questo, purtroppo, l’Europa ha dimostrato più debolezza che forza.

Sul fronte della ricerca e delle novità terapeutiche, cosa possiamo aspettarci dal 2011?
Oggi le industrie del farmaco che operano in Italia stanno sviluppando circa 240 progetti di ricerca. Ritengo ci siano buone possibilità di raggiungere, nel giro di un anno, quota 270. Credo che il 2011 ci riserverà ottime notizie, perché continuano a fluire novità terapeutiche. Non voglio però fare annunci del tipo “sconfiggeremo questa malattia”: si tratta di slogan che non consentono un’esatta valutazione della vera innovazione terapeutica. Il salto terapeutico resta certamente un obiettivo ma anche un’eccezione. La vera innovazione terapeutica oggi è quella che permette – e ha permesso in questi anni – di aumentare enormemente le possibilità di sopravvivenza per malattie anche molto gravi, come quelle tumorali e neurologiche. E la grande innovazione terapeutica è quella che rende migliore la qualità di vita di questi anni guadagnati. Si tratta di un risultato che si ottiene attraverso una pluralità di agenti terapeutici. Ma che ha anche bisogno di una classe medica sempre più preparata che sappia far interagire nel migliore dei modi gli agenti terapeutici con le condizioni di ogni singolo paziente. L’Italia ha una classe medica ottima e un buon livello di tutela sul territorio. Occorre difendere questo sapere insieme all’accesso all’innovazione: sono queste le condizioni che permettono ai diversi agenti terapeutici di fare la differenza e di ottenere il migliore risultato possibile in termini di lunghezza e qualità della vita.

10 gennaio 2011
© Riproduzione riservata

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